“Melanconia di classe” di Cynthia Cruz è un viaggio attraverso le vite di scrittori, artisti, registi e musicisti. L’autrice si sofferma sulla loro malinconia, derivata dal momento in cui ognuno lascia le origini operaie e proletarie per “diventare qualcuno” – Su ilLibraio.it un estratto, in cui si parla di Amy Winehouse

Come influisce la classe a cui apparteniamo sul modo che abbiamo di vivere, di lavorare, di fare arte? Cynthia Cruz si pone questa domanda nel libro Melanconia di classe (Blu Atlantide, traduzione di Paola De Angelis).

Cruz è una poetessa, saggista e ricercatrice tedesco-americana. Nata a Berlino ma cresciuta in California, si occupa di filosofia, studi sociali e filosofia politica. Il titolo del suo libro si ispira proprio alle teorie di Sigmund Freud e al suo concetto di melanconia. Ha pubblicato vari libri di poesia e una raccolta di saggi critici, Disquieting: Essays on Silence. 

In Melanconia di classe l’autrice, attraverso le vite di scrittori, artisti, registi e musicisti, esamina la malinconia di ognuno, nel particolare momento in cui ognuno di loro lascia le origini operaie e proletarie per “diventare qualcuno”. Tutti loro – da Amy Winehouse a Ian Curtis fino a Barbara Loden – scopriranno che ciò che si perde davvero nel processo non è semplicemente il proprio passato, ma la loro stessa anima.

melanconia di classe

Su ilLibriao.it, per gentile concessione della casa editrice, proponiamo un estratto, in cui si parla di Amy Winehouse:

(…)

Un esempio del libidico in una persona anoressica della working class nel mondo della musica è Amy Winehouse. Osservarla mentre canta “Love is a Losing Game” in versione acustica significa assistere al libidico puro: non c’è distanza tra Winehouse e la sua vita, i suoi versi, la musica o la performance. Come Curtis e Weller, tuttavia, la sua non è una performance del libidico: ogni parte del suo essere ne è una manifestazione concreta, non una rappresentazione. L’anoressia è, fra le altre cose, un tentativo di controllare il corpo, cioè di controllare ciò che rimane fuori dal proprio controllo. All’inizio della sua carriera, nelle foto e nei filmati, Winehouse appare piena di vita, sensuale, sexy: il corpo formoso, il rossetto, la gestualità emanano desiderio. Ma con il crescere del successo e della fama, il suo corpo si fa più esile e Amy precipita nei disturbi alimentari e diventa sempre più dipendente dall’amore e dalle droghe. La seconda Amy – quella che abbiamo conosciuto attraverso le foto dei paparazzi, sconvolta, con il corpo emaciato, l’enorme parrucca ad alveare, le labbra deformate in una smorfia di derisione – è il ritratto del libidico nella sua forma estremamente compressa.

A quel punto, la stampa le dava la caccia, la seguiva ovunque andasse, nella frenesia di fotografarla mentre era in preda al caos e alla confusione. Nelle performance, la seconda Amy, il suo corpo, la sua voce e il suo modo di essere, sono un distillato estremo della versione precedente: non emana più sensualità e sesso ma un fervore, un’energia incessante. Si percepisce come quell’energia sia intrappolata e repressa in un corpo minuto, un’energia infinita che impone ad Amy i suoi manierismi, i movimenti e la musica. Un’energia che diventa così travolgente, repressa in quel corpicino, che a un certo punto deve trovare uno sfogo: come scrive Freud, il principio del piacere opera per moderare lo stato di eccitazione. Il libidico può essere sublimato nella creazione artistica: nel caso di Winehouse cantando, scrivendo versi, ballando e facendo concerti. Ma poi, quando questa forza interna diventa troppo potente, troppo illimitata, viene reindirizzata in altri canali: il disturbo alimentare può essere uno di questi, come fumare una sigaretta dopo l’altra e fare uso di alcol e droghe, tutte attività a cui Winehouse si dedicava in modo compulsivo.

Con il passare del tempo il suo corpo si rimpicciolisce, e anche la sua vita diventa sempre più circoscritta e compressa: si riduce al corpo di una bambina che si droga e patisce la fame insieme al suo fidanzato in un piccolo appartamento di Camden Town. Alla fine Winehouse, come Curtis, diventa un contenitore del libidico: simbolico, un gesto disperato che cerca di comunicare l’indicibile, mentre le parole restano intrappolate all’interno del corpo.

Il compito della libido è indirizzare questa energia, buttarla fuori. Come scrive Freud: «La libido ha il compito di mettere questa pulsione distruttiva nell’impossibilità di nuocere, e assolve la sua funzione dirottando gran parte della pulsione distruttiva verso l’esterno. […] La pulsione prende allora il nome di pulsione di distruzione, di appropriazione, di volontà di potenza». La pulsione di morte, Todestrieb, è la spinta verso la morte e l’autodistruzione, secondo la definizione coniata originariamente da Sabina Spielrein nel saggio “La distruzione come causa della nascita”. In Al di là del principio di piacere, Freud lo definì «un netto contrasto fra le “pulsioni dell’io” e le pulsioni sessuali, poiché le prime spingono verso la morte e le seconde verso la continuazione della vita». C’è quindi una sovrapposizione tra la pulsione di morte, ovvero tra ciò a cui spesso si fa riferimento semplicemente come “la pulsione”, e l’energia libidica: entrambe sono forze vitali che ci spingono verso il piacere, eppure entrambe possono portare all’autodistruzione e alla morte.

Spesso definita con termini denigratori a causa della sua classe sociale, Winehouse fu vituperata per il suo rifiuto di assimilarsi. Fino alla sua scomparsa, il motivo principale degli insulti fu la sua appartenenza alla working class, a cui però lei continuava a restare fedele: polo Fred Perry, abiti vintage, canzoni che parlavano di luoghi, persone e oggetti del mondo da cui veniva. Ad esempio, nella canzone “You Know I’m No Good” canta:

Meet you downstairs in the bar and hurt

Your rolled up sleeves in your skull t-shirt

You say, “What did you do with him today?”

And sniffed me out like I was Tanqueray

’Cause you’re my fella, my guy

Hand me your Stella and fly.

Ogni riferimento presente nella canzone riconduce Winehouse alle sue origini. Quello che il pubblico vuole da un’artista della working class è la sua trasformazione a opera di un Pigmalione: vuole vedere la ragazza povera e proletaria con un accento marcato, la pelle rovinata e i gusti rozzi, barattati con la sua versione ripulita, raffinata e ambiziosa. Se lei accetta il baratto sarà amata, se si oppone o rifiuta, sarà odiata.

(continua in libreria…)

Scopri le nostre Newsletter

Iscrizione alla Newsletter
Il mondo della lettura a portata di mail

Notizie, approfondimenti e curiosità su libri, autori ed editori, selezionate dalla redazione de ilLibraio.it

scegli la tua newsletter Scegli la tua newsletter gratuita

Libri consigliati