Lo scrittore Jonathan Bazzi introduce la nuova edizione di un grande classico della letteratura, “I dolori del giovane Werther” di Johann W. Goethe. E cita Pier Vittorio Tondelli…

Parliamo di un grande classico della letteratura, I dolori del giovane Werther di Johann W. Goethe, che Marsilio propone in un’edizione (con testo a fronte) a cura di Maria Fancelli, con una riflessione dello scrittore Jonathan Bazzi, che pubblichiamo integralmente di seguito.

La storia è quella della breve vita di Werther, un giovane uomo redditiere, aspirante pittore, che vive in una imprecisata cittadina della Germania tardo-feudale circa quindici anni prima della Rivoluzione francese. Uscito di casa per un viaggio legato all’eredità materna, si innamora perdutamente di Lotte, promessa e poi sposa di Albert, il consorte esemplare.

Mentre nella prima parte vive una stagione di travolgente felicità fisica, in armonia con se stesso e con gli altri, nella seconda parte Werther cade in uno stato depressivo e si abbandona a una crescente pulsione di morte. Finché, di fronte all’impossibilità di poter amare Lotte, medita una decisione estrema. Sistema le sue carte e scrive un biglietto di addio, quindi manda il servitore a chiedere le pistole ad Albert per un improbabile viaggio.

Si lascia guidare in questo percorso dalle drammatiche pagine di un bardo gaelico appena scoperto, Ossian. Le accarezzerà a lungo, quelle pistole passate attraverso le mani di lei, contemplandole come un vettore d’amore. Lei che aveva tremato e trasalito nel porgere al servitore l’oggetto richiesto dall’amato. Altri temi si affacciano all’orizzonte del libro: la decadenza di un’aristocrazia al tramonto, la società chiusa, la pulsione artistica, il rifiuto della cultura accademica, lo spirito di libertà, la natura splendente e divina, la città ostile, il giardino, il sogno di un abbandono al dionisiaco. Ossian e Omero sono le contrastanti letture.

La curatrice del volume, nata a San Miniato nel 1938, allieva di Vittorio Santoli, è professoressa emerita di Letteratura tedesca all’Università di Firenze. Maria Fancelli ha insegnato anche nelle Università di Siegen (Germania), Trieste e Siena. Nel 2000 ha ricevuto la laurea honoris causa all’Università di Bonn. Ha promosso e diretto vari progetti di ricerca e collane di studio. Le sue pubblicazioni sono state soprattutto nel campo della letteratura tedesca dal Settecento a oggi. In particolare ha studiato il periodo del classicismo, all’interno del quale ha legato il suo nome all’edizione italiana in tre volumi dell’epistolario di Johann Joachim Winckelmann (Roma, Istituto Italiano di Studi Germanici, 2016).

i dolori del giovane werther

Per gentile concessione della casa editrice, pubblichiamo il testo di Jonathan Bazzi tratto da I dolori del giovane Werther di Johann W. Goethe, in libreria per Marsilio dal 23 settembre, a cura di Maria Fancelli.

di Jonathan Bazzi

WERTHERIANA

DOMANDARE UNA MISURA, CERCARE IL COMPROMESSO.
PROVARE A STARE NEL MONDO

Giugno 2022, giorni pensando alla forma specifica per quest’introduzione, non escludo che ci stessi pensando anche un attimo prima di finire qui seduto alla caffetteria simil americana in piazza Oberdan.

Tavoli esterni di plastica arancio desaturato, accanto il trolley che ho trascinato a piedi dalla stazione.

Undici passate, il sole impietoso ma l’ombra insolitamente fresca.

Il mio ragazzo non si è fatto sentire: sapeva che sarei tornato stamattina, l’entusiasmo manifesto che non c’è stato. Bevo e scorro foto e post sul telefono, puro automatismo. Poi il mio nome, mi sento chiamare. Ventenne maglietta e pantaloni corti della tuta, chirurgica azzurra. Ho letto i tuoi libri, dice, possiamo fare una foto? È ferito, tagli ed ecchimosi sparsi sul viso e non solo, sopracciglio, fronte, gamba sinistra. Piuttosto recenti. Quando si abbassa per un attimo la mascherina, esponendo la porzione inferiore del volto: labbra ipertrofiche da trauma. Incidente, caduta, possibile lite con nemico, ladro, aggressore. Sfila lo smartphone dalla tasca, estende il braccio: lo schermo del cellulare a sua volta marchiato da una mille raggi.

Non mi toccare, pensare senza dire: stammi lontano. Mi basta poco per avere paura di moltissime cose. Ma lui solo ringrazia e torna dal punto imprecisato da cui è venuto, io mi rimetto a contemplare l’esposizione digitale di vita varia.

Dieci minuti, venti, il mio ragazzo che irrompe su Whatsapp, dove sei, ti raggiungo. Raziono, dilato l’intervallo tra le risposte, il solito impulso di fargliela pagare con il silenzio, il più semplice e pavido dei contrappassi. Per un giorno intero o due non farmi trovare, lasciarlo nel dubbio che mi si sia successo qualcosa. Poi cedo, canonico botta e risposta, ed è qui che il giovane lettore malconcio torna indietro con più energia dell’esordio, non aveva finito: posso chiederti una cosa, sorridendo. Sincero però. Certo certo, e dentro è tutta una sottile furiosa danza di fastidio e timore. Secondo te, dice, meglio rischiare tutto per l’arte e l’amore o proteggersi un po’? A volte – e allude proprio alle sue ferite in bella vista, sbrego nero sopra l’occhio, labbro superiore turgido, che indica – faccio casini.

RIFIUTARE UNA MISURA, RESTITUIRE IL COMPROMESSO.
USCIRE DAL MONDO

Christel von Lassberg viene ritrovata il 16 gennaio 1778, nel fiume Ilm, a Weimar.

Affogata nei pressi della casa di Goethe, a 17 anni ha scelto di morire dopo essere stata lasciata dall’uomo che ama. In tasca ha I dolori del giovane Werther. L’autore la ricorda per tre volte nei diari e traccia analogie tra la giovane e il suo protagonista (quasi un alter ego dato che il libro usa materiale biografico, anche Goethe ebbe una sua Charlotte impossibile).

Non si tratta di un’eccezione: il romanzo epistolare uscito nel 1774 in pochi mesi genera un’ondata clamorosa di suicidi mimici. Giovani che si sparano sulle pagine aperte del libro, avvelenamenti a letto col romanzo sotto al cuscino. Nel giro di pochi anni i casi salgono a duemila.

Arriva la censura, divieto di stampa, in Spagna la messa all’Indice dei libri proibiti – «maligna influenza di quest’opera pericolosa». Mitomania portata all’estremo, sproporzione empatica, altro. Il sociologo David Phillips nel 1974 parlerà proprio di «effetto Werther» in riferimento a ciò che talvolta accade con le morti volontarie di personaggi famosi. Rodolfo Valentino, Kurt Cobain, Marilyn Monroe: la tragica fine dell’attrice pare provocare a Los Angeles il quaranta per cento di suicidi in più nel mese successivo. Nel giro di pochi mesi le imitazioni sono oltre trecento.

Goethe dicono volesse mettere in guardia dalla fragilità di una personalità sopraffatta dall’interiorità, dall’autocompiacimento nel dolore, dal solipsismo, ma l’esito si rivela opposto: i libri colgono cose del loro tempo che neanche l’autore conosce. Forse Werther porta la giovane borghesia dell’epoca a prendere contatto col materiale emotivo represso. Una cosa esiste davvero solo se iniziamo a dirla, raccontarla. C’è chi parla di pura coincidenza o di influenza inversa: il suicidio per amore già andava alla grande in epoca preromantica, Goethe avrebbe scientemente cavalcato un’inclinazione sociale.

Qualunque siano state le intenzioni dell’autore, ecco Werther, coi suoi disegni e le sue poesie, col suo amore impossibile per Lotte, promessa ad Albert, il suo odio per l’addomesticamento borghese e il privilegio aristocratico, l’impulso diretto verso una natura che intende avvicinare senza mediazioni, distanze di sicurezza. Ecco Werther coi suoi abiti eccentrici, troppo informali (le apparenze contano sempre tantissimo per chi non è conforme), il perenne completo azzurro con panciotto giallo per andare a cavallo, anche questi oggetto di imitazione ossessiva. «Wertherismo», «febbre di Werther» viene chiamata, si diffondono anche profumi, eau de Werther, porcellane coi ritratti dei due amanti impossibili nelle abitazioni.

Ecco Werther che abita liberamente il suo corpo andando contro i costumi dell’epoca: si sdraia nei prati, gioca alla lotta coi fratellini di Lotte. Posture inusitate, maleducazione. Ecco Werther che ama e si ammazza per amore, sparandosi in testa con la pistola che la stessa Lotte, vero nodo tragico del romanzo, ha accettato di consegnargli. Un classico è un libro che continua ad andare oltre sé stesso, e questo è un romanzo che ha irretito il cuore di più di una generazione, mostrando quanto la letteratura, piena di immaginazione, abbia allo stesso tempo entrambi i piedi piantati nella realtà, sappia agire concretamente anche su ciò che si vede. I dolori del giovane Werther è un ultralibro sulle iniziazioni del desiderio che ha prodotto mondo, più mondo di quello che c’era: un nuovo mito della giovinezza, ad esempio, facendo collassare in un unico punto vitalità e tragedia, sfida del limite e rinuncia fatale. Critica alla modernità o abbozzo/rilevazione di una questione che taglia le partizioni del tempo: i ragazzi sanno tutto, per poter continuare a vivere a volte devono fare finta che non sia così.

IMPROVVISARE LA MISURA, RISCRIVERE IL COMPROMESSO
INVENTARSI UN MONDO

Correggio, 1978, Pier Vittorio Tondelli prima di diventare Pier Vittorio Tondelli nel Cortile dei Principi mette in scena otto minuti di performance. Primo esperimento di scrittura creativa, le ossessioni si annunciano subito.

Jungen Werther/Esecuzioni consiste nella lettura di estratti narrativi, intervallati da brani musicali di un altro artista antagonista, il cantautore bretone degli anni sessanta e settanta Glenmore. Protagonisti dei quattro monologhi: Werther e altri giovani outsider suicidi tratti dai libri di Foscolo, Arbasino, Dario Bellezza. Ragazzi, tardoadolescenti che non si sono adattati al mondo dei padri e delle madri, a una società normale, normalizzante. Antiborghesi o omosessuali, amanti segreti o intellettuali senza strategie, inetti. Eroi romantici della sconfitta.

La giovinezza non è una fase, insinua Tondelli, tappa di passaggio all’interno di un percorso. La giovinezza, ieri come sempre, è la non adesione. Gli Altri libertini rivendicheranno la dignità del margine, la Beat Generation insegnerà a Tondelli la soluzione del viaggio, della fuga viva nell’altrove, l’anomalia assunta, rivendicata. Werther, Ortis e gli altri riescono ad affermare sé stessi solo nell’autodistruzione: c’è solo la morte come rimedio per non cedere alla sicurezza collettiva che ammazza. Alle spalle il giovane Tondelli si allestisce una cameretta-pantheon, e nel canovaccio della performance rimasto ne specifica gli attributi iconografici, accessori simbolici: inginocchiatoio illuminato da candele con fumo di incenso indiano (il sincretismo della controcultura dell’epoca), pubblicità delle Clarks, uno Snoopy di pezza. Il cane di Charlie Brown, incompreso come il padrone, che vuole essere tutto, aviatore, rinoceronte, avvoltoio, astronauta, rifiuta il limite avvalendosi di mille alter ego, come ben compreso da Umberto Eco nelle sue analisi sui Peanuts, un soggetto fluido dalla “continua mistificazione” che non si arrende all’evidenza, all’impossibilità della scalata di specie e sociale. Poi alcuni poster di Marilyn Monroe nuda, torna la strabiliante e imitatissima suicida, e foto di Tondelli stesso. 1774-1978, duecento anni e il margine a questo punto può essere abitato, riempito di immagini. Assunto come osservatorio, punto per vedere altro, di più, creare immaginario.

Meglio rischiare tutto per l’arte e l’amore o proteggersi un po’?

Passano due secoli e Tondelli nell’unica performance della sua vita mette in scena la comprensione della domanda e forse una risposta. O cerca solo compagni di strada, amici, storie di ragazzi che ci hanno provato e non ci sono riusciti, accanto a quelli che stanno dentro di lui, e che a breve prenderanno parola. Resta in ogni caso la dismisura del sentire, il desiderio che spariglia e fa del bene un presupposto del male, ovvero la questione di Werther, da cui sempre, dentro e fuori i libri, tutti dobbiamo ricominciare. Perlopiù da soli, data l’abissale inaffidabilità dell’intorno sociale: al giovane innamorato agonizzante per emorragia i dottori giunti in suo soccorso praticano un salasso al braccio.

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