A mezzo secolo dal Bloody Sunday, sullo sfondo dell’Irlanda del Nord operaia degli anni ’70, Tony Doherty racconta la sua storia e quella del padre Patsy, una delle vittime di quella maledetta domenica che cambiò la sua vita e la storia di un Paese intero. Dai felici e spensierati ricordi di un’infanzia come tante a quei tragici giorni, “Il piccolo di papà” è il primo libro di una trilogia dedicata alla città di Derry e all’amato genitore scomparso: una preziosa testimonianza, a metà tra una saga familiare e un memoir

«Broken bottles under children’s feet – Bodies strewn across the dead-end street
But I won’t heed the battle call – It puts my back up, puts my back up against the wall»
(Sunday Bloody Sunday, War, U2)

L’Irlanda è stata la prima colonia britannica, ed è ora l’ultimo pezzo rimasto in piedi di un superbo edificio politico ormai quasi completamente crollato. La storia ci racconta di come spesso gli inglesi abbiano agito nei confronti degli irlandesi con una crudeltà ingiustificata, con l’arrogante pretesa di costruire il proprio grande impero.

Talmente profondo il legame che unisce i due paesi, sarebbe necessario risalire all’epoca tardo-medievale per ricostruire le origini dell’oppressione, che è praticamente impossibile anche solo immaginare quanto sarebbe stata diversa la storia irlandese senza l’ingombrante vicino.

Il piccolo di papà di Tony Doherty, pubblicato in Italia da Nutrimenti con la traduzione di Maria Antonietta Binetti e l’introduzione di Riccardo Michelucci, è il primo libro di una trilogia dedicata a Derry e al padre scomparso: un racconto in prima persona a metà tra una saga familiare e un memoir. Sullo sfondo dell’Irlanda del Nord operaia degli anni ’70, l’autore ci racconta la sua storia e quella di suo padre, dai felici ricordi d’infanzia ai tragici giorni del Bloody Sunday, a cinquant’anni da quegli avvenimenti.

Bloody Sunday Il piccolo di papà di Tony Doherty

Nell’agosto del 1969, il quartiere di Bogside a Derry (la seconda città per importanza nell’Irlanda del Nord dopo Belfast), riconosciuto come una roccaforte nordirlandese della resistenza repubblicana e cattolica, viene attaccato dai residenti (lealisti, separazionisti e protestanti) con sassi e bottiglie, dando vita a una vera e propria guerriglia urbana.

L’esercito inviato da Londra, mandato a presidiare le strade nel tentativo di riportare l’ordine pubblico, viene inizialmente visto come un alleato da parte dei nazionalisti, tra i quali il piccolo Tony e la sua famiglia. Agli occhi di un bambino dell’epoca, “i soldati che pattugliavano le strade del quartiere potevano emanare un certo fascino perché erano armati come nei film western ed erano inglesi proprio come i calciatori famosi”. Non sarà così, e bambini e adulti lo scopriranno presto sulla propria pelle.

La battaglia termina con un drammatico bilancio di sei morti e più di mille feriti, segnando di fatto l’inizio dei Troubles, che sconvolgeranno per decenni il Paese.

Prima di questi eventi l’infanzia di Tony Doherty, vissuta nel quartiere operaio e cattolico di Brandywell, si potrebbe definire normale, felice, innocente. Terzo di sei fratelli, cresce in una antiquata e umile casa al 6 di Moore Street, “la casa con la porta verde e il pesante battente di ottone. I battenti delle altre porte di Moore Street erano lucidi, il nostro no”.

I ricordi dei giochi in strada con i fratelli e gli amici, delle parate improvvisate suonando tamburelli fatti con scatole di latta per i biscotti, delle biglie, dello stravagante zio, si intrecciano con il ricordo del padre. Patsy Doherty era un uomo amato da tutti, un genitore severo e amorevole, generoso e con un grande senso di giustizia. Testardo e fiero come da perfetta tradizione irlandese.

Quella spensieratezza, tuttavia, è destinata a scontrarsi ben presto con gli avvenimenti che travolgeranno il Paese, la città, il quartiere e tutti gli abitanti. Il piccolo Tony, un bambino di appena sei anni, è costretto suo malgrado a imparare parole nuove: B-men, IRA, informatore, sono tutti nomi che entrano a far parte del suo vocabolario quotidiano.

Il 30 gennaio del 1972, sempre a Derry, sempre a Bogside, va in scena la tragica “domenica di sangue”, nota a tutti come Bloody Sunday o come domhnach na fola in gaelico, che segnerà il punto di non ritorno.

Durante un corteo pacifico per i diritti civili e contro l’internamento preventivo, il 1° Battaglione del Reggimento Paracadutisti britannico, inizia a fare fuoco sulla folla, uccidendo 14 manifestanti, civili e disarmati, tra i quali 5 colpiti alle spalle e 2 investiti. Qui si spezza tutto.

Bloody Sunday Photo by PL Gould/Images/Getty Images/Getty editorial

L’infanzia di Tony finisce bruscamente quella maledetta domenica, precisamente nel momento in cui la madre, attonita, guardando il figlio di appena nove anni pronuncia la frase “papà è morto, l’esercito gli ha sparato”. Oltre al dolore e al vuoto incolmabile provocato dal lutto, si aggiunge presto il senso di impotenza davanti all’ingiustizia e alla verità negata.

Il governo inglese, infatti, non cede un millimetro, si affretta anzi a garantire immunità e anonimato ai propri parà e addirittura premia con una medaglia al valore chi diede l’ordine di aprire il fuoco. Scontri armati, rappresaglie, arresti, attentati. Il Bloody Sunday non segna solo la fine di 14 vite e dell’innocenza dei figli delle vittime, ma anche l’inizio di un periodo buio che andrà avanti per decenni, segnando in modo indelebile alcune generazioni.

Qui i ricordi di Tony prendono una piega differente. La quotidianità viene stravolta: i giochi e le corse vengono sostituiti da esplosioni e morte. La notte non si riesce più a dormire, “in tutta Brandywell si sentivano i coperchi di latta dei bidoni sbattere contro il cemento dei marciapiedi, il segnale che l’esercito stava arrivando”. La vicina di casa, madre di sei bambini, viene uccisa da un proiettile inglese mentre si trovava nel proprio giardino. Un compagno di classe muore travolto da un blindato britannico. Da Belfast si rincorrono notizie di attentati e omicidi.

Dopo la strage, dopo le perdite, moltissimi giovani irlandesi repubblicani decidono di arruolarsi nelle fila dell’I.R.A. (Irish Republican Army, il braccio armato della resistenza), per combattere i nemici. Tra queste nuove reclute c’è anche il nostro protagonista, ma anche questa storia non finisce bene. Presto Tony si ritrova in carcere, costretto a scontare quattro anni di reclusione.

Non tutti i mali, non sempre almeno, vengono per nuocere. Durante la prigionia Doherty matura una nuova idea di resistenza e un nuovo modo per rendere giustizia all’amato padre. Una volta libero, nei primi anni ’90, diventa attivista dei comitati dei familiari per la verità e la giustizia sul Bloody Sunday, dando vita a una campagna per la riabilitazione delle 14 vittime.

Dopo quella che sarà la più costosa inchiesta della storia giudiziaria del Regno Unito, nel 2010 arriva il pieno riconoscimento dell’innocenza dei 14 innocenti uccisi e la condanna dell’operato dei militari inglesi (definito “ingiustificato” e “ingiustificabile”), che porterà a un fatto senza alcun precedente storico: le scuse ufficiali del governo britannico. Oggi Tony Doherty lavora per l’Healthy Living Center Alliance e per la riforma del sistema sanitario pubblico nordirlandese.

In memoria delle vittime, a Derry, un muro bianco con la scritta “You Are Now Entering Free Derry”, e i murales che lo circondano, ricorda la strage che ha cambiato la storia del Paese.

Bloody Sunday Photo by Christine Spengler/Sygma/Sygma via Getty Images

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