Candidato al Booker Prize, acclamato dalla critica, “Le figlie di Saffo” di Selby Wynn Schwartz è un libro che parla di donne (tra le protagoniste, Lina Poletti, Eleonora Duse, Sibilla Aleramo, Virginia Woolf e Vita Sackville-West), sodalizi creativi e lotta per l’indipendenza femminile – Su ilLibraio.it un estratto e la video-intervista all’autrice

Non è facile definire Le figlie di Saffo di Selby Wynn Schwartz (Garzanti, traduzione di Maria Giulia Castagnone), perché è diverso da tutto ciò che ci si aspetterebbe aprendo un libro e molto più simile a un’elegia greca, spezzata, rinvenuta in uno scavo archeologico.

Le figlie di Saffo racconta storie di donne che cercano la loro strada e che, per inseguire un obbiettivo, o anche solo la loro libertà e indipendenza, spezzano tutti i legami dietro di loro, per ricostruirne di nuovi e più prosperi facendo a frammenti la loro vita precedente.

Donne che hanno dovuto sposarsi, avere figli, stare in silenzio, essere belle, essere cortesi, piegare il capo, finché hanno deciso di non farlo più. E non sono donne qualunque: Lina Poletti, Eleonora Duse, Sibilla Aleramo, Virginia Woolf, Vita Sackville-West, tra le altre citate, storie che si rincorrono vorticosamente e che sono destinate a incontrarsi e annodarsi.

Ed è proprio così che è composto il libro, per pezzi, una raccolta di frammenti, slegati tra loro, ma dentro al quale si intuisce un filo che, a tirarlo, fa emergere un’intera storia, come una collana di pietre preziose. Un romanzo-verità femminista, potente e storicamente accurato.

Acclamato dalla critica e molto amato dai librai, è stato inserito nella longlist del prestigioso Booker Prize nel 2022 e inserito tra i 100 libri più importanti del 2023 secondo il New York Times.

Le figlie di Saffo di Selby wynn Schwartz

Selby Wynn Schwartz è un’autrice statunitense. Ha conseguito un dottorato in letteratura comparata presso l’Università della California-Berkeley. Le figlie di Saffo, pubblicato in Italia da Garzanti nel 2024, è il suo esordio.

L’autrice è stata anche ospite del profilo Instagram di ilLibraio.it, rispondendo (in italiano) ad alcune delle nostre domande.

 

 

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UN ESTRATTO DA LE FIGLIE DI SAFFO

Per gentile concessione dell’editore, su ilLibraio.it pubblichiamo un estratto del libro:

RINA, 1901

Di sera Rina si dedicava alla lettura e andava a teatro. Nell’Italia del Nord si cominciava a sentire la parola «femminista», che ricordava il termine francese femme, nel significato di moglie e di donna. Visto che preferivamo di gran lunga le donne alle mogli, cercammo di cogliere i segni degli sviluppi futuri. A Milano il teatro era così affollato che Rina stentò a trovare un posto a sedere. Il dramma era Casa di bambola di Ibsen, la storia di Nora, una donna che decide di tagliare i ponti con la vita matrimoniale. Nell’ultimo atto, Nora lascia la casa, il marito, i figli, sbattendosi la porta alle spalle con un suono simile a quello di un secolo che si chiude di scatto.

ELEONORA DUSE, NORA, 1891

Casa di bambola, arrivata in Italia, aveva assunto le fattezze dell’attrice Eleonora Duse. La Duse era già famosa quando, nel 1891, fece il suo ingresso trionfale a Milano. Aveva trentadue anni ed era malinconica e determinata. Sul palcoscenico freddo si tolse il cappello e la pelliccia, poi chinò la testa perché potessero infilarle al collo una catena munita di pesanti chiavi. La catena le arrivava fino alle cosce, cosicché ogni suo passo produceva un rumore di oggetti metallici che sbattevano tra loro, catene e chiavi, chiavi e catene. La sera della prima i biglietti avevano raggiunto un prezzo che era il doppio di quello abituale, ciò nonostante il teatro era zeppo di persone, che si inerpicavano fino all’ultima fila della balconata. Quando si levò il sipario, Eleonora Duse diventò Nora.

RINA, SIBILLA, 1902

Nel 1902 Rina abbandonò il marito, il figlio e anche il suo nome. Fuggì a Roma e affittò una stanzetta con una scrivania. Tra le lezioni private e la sua attività di volontariato all’ambulatorio del Testaccio per i bambini poveri, trovò il tempo di innamorarsi di un famoso scrittore. Quando lui le chiese come si chiamava, lei gli disse Sibilla, come la sibilla di Delfi. Un nuovo nome era come un taccuino intonso, in cui Rina poteva descriversi come voleva. Su quelle pagine bianche poteva operare la sua trasformazione in Sibilla, creatura enigmatica e sibilante. Secondo il Codice Pisanelli la sua condotta era imperdonabile: nessuna donna poteva abbandonare il matrimonio, meno che mai se era una madre. Un avvocato la ricevette per pura bontà, ma le disse che il suo caso era senza speranza: non avrebbe più rivisto suo figlio. I suoi vecchi nomi le sarebbero pesati addosso come catene. Quando lasciò lo studio dell’avvocato, Sibilla emise un suono dal fondo della gola che ricordava quello di un getto di vapore che fuoriesce dalle crepe di un terreno riarso. Dopodiché tornò alla scrittura.

SIBILLA ALERAMO, NATA NEL 1906

Sibilla Aleramo soleva dire che lei era nata nel 1906, quando la sua opera Una donna era stata stampata per la prima volta a Torino. Prese il libro e lo tenne tra le mani. Non era come tenere un bambino e neanche una bottiglia di laudano. Era un oggetto solido, la storia di una vita. Sul dorso recava il suo nome. Difficile dire se fosse un romanzo o un’autobiografia, ma le sue pagine furono il cibo di cui Sibilla si nutrì quando, a trent’anni, venne al mondo di nuovo senza il minimo turbamento. Quella era la storia che lei si era raccontata, come una sibilla che si nutre delle sue parole.

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