Arriva in libreria “Lorna Mott torna a casa” di Diane Johnson, scrittrice statunitense classe 1934, curiosamente mai pubblicata in Italia prima d’ora. Finalista per due volte al National Book Award e al Pulitzer, e co-autrice della sceneggiatura di “Shining”, Johnson firma una commedia elegante e ironica sui costumi odierni – Su ilLibraio.it un estratto

Lorna Mott Dumas è una donna americana di mezza età che, dopo aver trascorso vari anni in Francia con il suo secondo marito, un anziano e affascinante tombeur de femmes, stanca delle continue scappatelle di questi decide di lasciare lui e il grazioso villaggio in cui vivono e tornare in America per riprendere in mano la propria vita e la propria professione di storica dell’arte.

Ma non tutto è così semplice come immaginato, anzi: arrivata a San Francisco e avvertiti i tre figli del suo ritorno e della rottura con il marito, Lorna scopre che non solo la propria carriera è decisamente a un punto morto, tanto più nell’America di oggi, ma che i suoi figli sono alle prese con problemi economici e scelte personali a cui lei non sa proprio come fare fronte.

Parte da queste premesse Lorna Mott torna a casa (Blu Atlantide, traduzione di Chiara Manfrinato) di Diane Johnson, scrittrice statunitense classe 1934 curiosamente mai pubblicata in Italia per ciò che riguarda le sue opere maggiori, come Le Mariage e Le Divorce, quest’ultimo divenuto anche un film diretto da James Ivory, con Kate Hudson e Naomi Watts.

Finalista per due volte al National Book Award e al Pulitzer, e autrice insieme a Stanley Kubrik della sceneggiatura di Shining, Johnson è tornata alla forma del romanzo dopo più di dieci anni, con questa commedia dai toni eleganti e ironici sui costumi odierni, che si configura come l’opera della tarda maturità di una scrittrice già molto apprezzata e definita “la Edith Wharton contemporanea”.

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Quando la sua protagonista si rende conto di dovere affrontare sfide ben più complesse del previsto, infatti, la sua unica possibilità sembrerebbe quella di chiedere aiuto al primo marito e padre dei suoi tre figli, ma quest’ultimo, un medico che ha sposato in seconde nozze una famosa influencer ben più giovane di lui, è a sua volta angustiato dai problemi della figlia adolescente nata dal nuovo matrimonio, portando così a dei risvolti inaspettati

Copertina del libro Lorna Mott torna a casa

Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, pubblichiamo un estratto:

Niente è più fragile dell’ego di un autore appena pubblicato.

Prima di partire per la California, Lorna trascorse un’altra giornata a New York e fece tappa alla Rudolf Lang Cie Art Publications per firmare alcune copie di Pittori dimenticati. In vetrina campeggiavano diverse novità ma non c’era traccia del suo saggio, così, un po’ in imbarazzo, chiese a un commesso se lo avessero. «Sa, è appena uscito, e ho pensato che avrei potuto firmare qualche copia».

Non si aspettavano di vederla e furono costretti a mentire: non potevano certo dirle che, nonostante il volume fosse stato pubblicato da poco, le copie erano ancora in magazzino. «Forse è già esaurito», dissero. «È un piacere conoscerla, signora Dumas. Immagino che siano al deposito, in attesa che le consegnino. Sa, abbiamo dovuto fare un nuovo ordine».

In magazzino c’erano delle scatole. Lorna si rese conto che, diversamente da quanto aveva immaginato, alla Rudolf Lang & Cie Art Publications non erano poi così entusiasti di vederla, e si sentì mortificata. Si vergognò per averli messi in imbarazzo e lei stessa provò imbarazzo per aver pensato che il suo libro avesse un qualche valore; capì che adesso che circolavano tanti video su Internet, le conferenze erano fuori moda, e da quando aveva cercato di tornare in pista, seppure in maniera discreta, si era resa conto che le persone erano cambiate: erano stufe dei PowerPoint e preferivano di gran lunga i rudimentali filmati della fine dell’Ottocento che si trovavano su YouTube, in cui le donne partecipavano alle feste in giardino indossando ampi cappelli e vecchi impressionisti barbuti in canottiera entravano e uscivano dall’inquadratura. E se anche i saggi, così come le conferenze, fossero condannati all’oblio? Avrebbe dovuto cercare un editore migliore? Era un brutto colpo per la sua ritrovata, ma fragile, autostima.

La California l’avrebbe accolta in maniera più calorosa. Mentre l’aereo faceva rotta verso San Francisco, Lorna scacciò le ansie editoriali e si concentrò su quelle personali, in particolare sull’imminente incontro con i figli, verso i quali si sentiva in colpa. Erano tutti adulti risolti, eppure era convinta che, se lei non avesse lavorato, avrebbero patito la fame; non in senso letterale, certo, ma avevano problemi finanziari – mutui, spese mediche, rette scolastiche – e nonostante avesse sempre cercato di aiutarli, pensava che avrebbe dovuto fare di più, visto che il padre si prodigava così poco.

Si era a lungo assunta l’onere di aiutarli economicamente, finché il suo ex marito non aveva sposato la principessa milionaria e Lorna aveva immaginato che, a quel punto, anche lui avrebbe dato una mano ai figli. L’idea del benessere sfacciato, anzi, a dirla tutta, dell’enorme ricchezza di Ran, un po’ la amareggiava. E tornò a preoccuparsi quando si rese conto che con i suoi figli era taccagno, perché aveva una nuova famiglia: una nuova moglie e una nuova figlia, che ormai doveva avere quindici anni o giù di lì.

La seconda moglie era Amy Hawkins: a vent’anni aveva investito, insieme ad alcuni amici patiti di tecnologia, nella Silicon Valley e, contro ogni probabilità, aveva accumulato una fortuna. Con quella fortuna era partita per la Francia, per studiarne la lingua e la cultura, una lacuna che sentiva di dover colmare visto che per anni si era concentrata solo sullo schermo di un computer. Adesso era una donna sulla cinquantina, capace di godersi e apprezzare le gioie della vita, con un marito – il brillante e colto Randall Mott – e una figlia. Lorna non l’aveva mai incontrata e in cuor suo pensava che Amy avrebbe potuto mostrarsi più generosa con i figli che Ran aveva avuto dalle prime nozze.

Quei pensieri diventarono più stringenti mentre l’aereo cominciava la discesa su San Francisco, atterrava sulla pista, sfrecciava accanto alle saline e, giunto al gate, spegneva i motori. Per fortuna Lorna aveva un posto dove andare: la sua vecchia amica Pam Linden le aveva messo a disposizione il proprio appartamento in attesa che trovasse una sistemazione a lungo temine. A un tratto si sentì meno ottimista. Il senso di conforto si mescolava a quello della sconfitta: perché nessuno pensa di tornare indietro per ritrovarsi al punto di partenza, lì dove aveva cominciato quando era molto più giovane. Come se non bastasse, la compagnia aerea aveva smarrito i suoi bagagli tra Parigi e New York. Le avevano assicurato che glieli avrebbero consegnati non appena li avessero trovati, ma quell’incidente acuì in lei la sensazione di non avere radici. I bagagli smarriti, però, non le avrebbero rovinato il piacere di vedere la Baia di San Francisco, con il suo cielo rosa e le saline dello stesso colore.

Mentre era sul taxi, si accorse che lo skyline di San Francisco era cambiato dall’ultima volta che ci era stata, all’epoca del coma di Curt – quanto tempo era passato? Dieci mesi? Sembrava che i grattacieli spuntassero come funghi, nottetempo. Eppure la vista della sua città natale, proprio come quella di una persona cara, nonostante un’inspiegabile trasandatezza che notava solo ora, agì su di lei come un’iniezione di fiducia. San Francisco era familiare ed estranea allo stesso tempo, perché la luce cambiava di continuo e c’erano sempre almeno un paio di nuove costruzioni a punteggiare il panorama.

Lorna era cresciuta a San Francisco, ma aveva vissuto in Francia per molti anni, e anche se era stata in California per vedere i figli e altri membri della famiglia, e ovviamente per accudire Curt durante la malattia, non stava al passo con i mutamenti dello skyline. Ma adesso era troppo stanca per provare uno shock culturale o il piacere ambiguo di trovarsi nella propria città; si sentiva semplicemente disorientata e sorpresa di sapersi ancora destreggiare con i mezzi di trasporto americani che le avevano permesso di spostarsi da New York a San Francisco e poi a Bakersfield, nel giro di pochi giorni. E ovviamente era entusiasta all’idea di rivedere i figli, nonostante tutti i loro problemi.

Attraversò la città con la gioia nel cuore, anche se alcune delle cose che vide la lasciarono perplessa: qualche negozio che aveva chiuso i battenti, muri scrostati, senzatetto agli angoli delle strade. Non era normale. Certo, il Paese aveva subìto un tracollo finanziario, non doveva dimenticarlo. Pensò che era felice di essere in America, e più precisamente in California, perché non somigliava a nessun altro posto al mondo, per quanto fosse difficile dire se in senso positivo: il clima di San Francisco ricordava quello di Londra, e le colline impedivano a tante persone di percorrerla a piedi, e nonostante ci fossero molti musei e spettacoli teatrali, la vita culturale era decisamente meno vivace anche rispetto alle città europee più piccole. Ma almeno sapeva dove si trovava, cosa aspettarsi, o per lo meno cosa non aspettarsi, e cioè guai: era a distanza di sicurezza dai luoghi colpiti dai conflitti internazionali e dagli importanti eventi mediatici, in un posto dove le controversie erano relegate all’ambito locale e limitate al settore immobiliare.

(continua in libreria…)

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