Una gelida indifferenza che, negli anni, si trasforma in sottile soggezione, domina il rapporto tra il protagonista e il genitore: su ilLibraio.it un estratto da “Nudo di padre” di Rossano Astremo, un libro che indaga il mistero della famiglia e il potere, costruttivo e distruttivo, delle relazioni
Rossano Astremo, originario di Grottaglie, vive a Roma, dove insegna italiano in un Liceo Internazionale. Ha firmato diversi libri, e ora pubblica con Solferino Nudo di padre, un libro in cui “indaga il mistero della famiglia e il potere, costruttivo e distruttivo, delle relazioni”. Un libro che comincia così: “Quando venni al mondo, in una domenica di primavera del 1979, ad accogliermi non ci furono due genitori festosi, ma il volto subdolo dell’abbandono“. Nelle sue prime settimane il protagonista cresce con una madre sola e depressa, che alla sua terza gravidanza avrebbe desiderato una femmina; il padre è lontano, perché lavora in Germania, e torna a Grottaglie, in Puglia, solo mesi più tardi.
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A testimonianza di quel rapporto, esiste un’unica polaroid che ritrae sorridenti genitore e figlio, per il resto domina tra i due una gelida indifferenza che, negli anni, si trasforma in sottile soggezione. Il bambino della foto si fa ragazzo e comincia ad annaspare tra i flutti della vita, nudo di padre, cercando la salvezza in altre figure maschili, in altre guide, in una fuga geografica e sentimentale che lo porta a immergersi nel mondo letterario, lontano dalle sue radici imbevute di assenza e di silenzio. Eppure, un tale vuoto non può essere privo di conseguenze. Torna a chiedere il conto di continuo, anche dopo che il ragazzo sarà diventato uomo e padre a sua volta, abbandonando la casa d’origine e imparando un nuovo modello d’amore.
Su ilLibraio.it proponiamo un estratto:
Il secondo anno di liceo scorse via veloce, i voti a scuola continuarono a essere solidi, mi piaceva studiare e mi piaceva anche essere considerato un buono studente. A mio padre non interessava il mio rendimento scolastico. Non era mai venuto a un colloquio, non sapeva chi erano i miei professori, non sapeva cosa dicevano o pensavano di suo figlio. Mia madre gli disse che avrebbe dovuto essere orgoglioso di me. Almeno uno in famiglia che studiava. Il mio primo fratello si era sposato da un paio d’anni e continuava a lavorare come barista in un altro locale del paese; il mio secondo fratello faceva il cameriere in un grande ristorante della provincia di Brindisi. Mia madre era consapevole del fatto che aver abbandonato la scuola era la ragione per cui i miei fratelli erano condannati a svolgere questi lavori faticosi e poco remunerativi. Si sentiva in colpa per non aver provato con più insistenza a tenerli in classe. Riponeva in me la sua ultima speranza.
Anche fuori dalla scuola sembrava girare tutto per il verso giusto. Oltre che con Sergio, durante il fine settimana uscivo con Fabrizio ed Enrico. Se con Sergio l’amicizia si fondava sulla grande passione che avevamo entrambi per il grunge e per il rock, con Fabrizio ed Enrico era la letteratura a fare da collante. Avevo iniziato io a portare i libri in casa, comprandoli e prendendoli in prestito dalla biblioteca scolastica.
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Rossano Astremo
Fabrizio era figlio di un’insegnante, suo padre invece era morto quando lui era piccolissimo. La sua casa e la sua camera da letto erano stracolme di libri. Enrico aveva il padre avvocato e la madre dottoressa. Abitava a pochi metri da casa mia. Aveva una bella villa con piscina e spesso, quando non stavamo sul viale principale del paese a bere birra, ci rifugiavamo nella sua mansarda a leggere gli scrittori della beat generation e a tracannare pessimo whisky comprato al discount. Sempre in quella mansarda iniziammo a scrivere le prime poesie. Erano ingenui sfoghi adolescenziali carichi di malessere, ma avere qualcuno a cui poterli leggere senza sentirsi giudicato era qualcosa di impagabile.
Con Roberta, invece, le cose non andavano nel migliore dei modi. Continuavamo a parlare durante le giornate di scuola e a sentirci al telefono, ma non riuscivo ancora a chiederle di uscire, né tantomeno a confessarle ciò che provavo realmente per lei. Con l’inizio dell’estate, però, si presentò un’occasione che non potevo lasciarmi sfuggire. Come ogni anno, Roberta trascorreva le vacanze estive nella casa al mare di famiglia a Pulsano. Alcuni giorni prima della sua partenza mi chiamò al telefono e mi disse che se avessi voluto sarei potuto andare da lei per trascorrere del tempo assieme. Pensai che fosse la volta buona. Dopo un paio di settimane le telefonai. Rispose Ada, la sua sorella gemella. Mi passò Roberta e le dissi che il giorno seguente sarei andato a trovarla. Lei mi rispose che era molto contenta di vedermi. Ci demmo appuntamento alle tre del pomeriggio in un bar. In mattinata presi lo zaino, misi dentro un telo e due regali per lei: il romanzo Diario di un millennio che fugge di Marco Lodoli e una musicassetta registrata da me con brani dei cantanti che ascoltavo in quel periodo: Sonic Youth, Melvins, Siouxsie and the Banshees e Pixies.
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Dopo aver preso un autobus da Grottaglie, alle tre in punto ero al bar. Aspettai una decina di minuti sorseggiando birra Raffo gelata e poi la vidi apparire da lontano, già abbronzata, con addosso un bikini verde fosforescente che donava luce alle sue lunghe gambe e al suo seno perfetto. Mi abbracciò, mi diede un bacio sulla guancia, poi mi disse di seguirla. E così feci, lei davanti, a passi solerti, io dietro, con jeans, maglietta, sandali, lo zaino con dentro i suoi regali e nella mano la bottiglia con mezza birra. Arrivammo a pochi metri dalla battigia, dove erano sdraiati tre ragazzi e due ragazze. Uno dei ragazzi si alzò di scatto, si avvicinò e sorrise a Roberta. Si chiamava Marco. Lei me lo presentò come il suo nuovo fidanzato.
(continua in libreria…)
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