“Pigiama Party” di Ashleigh Bryant Phillips è una raccolta di ventitré racconti in cui si muovono personaggi tragicomici, eccentrici e balordi nel Sud degli Stati Uniti. Una rassegna di figure e situazioni, che ci scorrono davanti a turno, ciascuna con la propria esemplarità, con il proprio grado di enigmaticità e intensità. Sono storie apparentemente normali, che rivelano però risvolti speciali: anche dietro il fatto più innocuo si cela un’esistenza unica, che merita di essere raccontata

Pigiama Party di Ashleigh Bryant Phillips (Bompiani, traduzione italiana di Michele Martino) è una raccolta di ventitré racconti, in cui dentro microcosmi spesso oscuri si muovono personaggi tragicomici nel Sud degli Stati Uniti che hanno in comune proprio lo spazio, e apparentemente null’altro. Vivono un’esistenza bizzarra, fatta di situazioni tipiche della provincia americana che abita la letteratura contemporanea degli Stati Uniti, ma che l’autrice ci restituisce con una visione nuova.

Ashleigh Bryant Phillips Pigiama Party

Non sono le singole storie a essere speciali, quanto i risvolti che queste vite hanno: anche dietro il fatto più innocuo – di tanto in tanto la narrazione fa finta di assopirsi, per rendere l’effetto narrativo più vibrante – si cela un’esistenza unica, che merita di essere raccontata. Ciascuno di questi personaggi, da parte sua, concorre a diventare parte di questo mondo narrativo che compone Pigiama Party.

Il racconto che dà il nome alla raccolta (nell’edizione originale Sleepovers) racconta di Nicki, una ragazzina di dieci anni, appena trasferitasi in una nuova scuola dalla Virginia che tenta di integrarsi nella nuova comunità e prendere un posto sociale. Nella comunità in cui arriva, Nicki, come la sua famiglia e le sue sorelle, è un evento passeggero, un vento che si ferma qualche tempo e poi va via, lasciando poche tracce dietro di sé. E come Nicki, anche altri personaggi di altrettante storie hanno la medesima sorte: Shania, la ragazzina protagonista del racconto di apertura, è un’amica della narratrice e dalla sera alla mattina si allontana da lei: “…proverò a consegnarle lo stesso un biglietto segreto. […] Voglia dirle che andrà tutto bene. Che continueremo a parlarci così. Invece va a finire che non le lascio nessun biglietto. Andiamo in scuole diverse”.

Nella raccolta, Pigiama Party è esemplare perché tutte le storie ruotano attorno a un fatto e descrivono cosa succede quando qualcuno o qualcosa si ferma, altera lo status quo – anche solo per il fatto di esistere – e poi di dilegua. Nelle ultime righe di ciascuna storia, Bryant Phillips lascia intendere che da qualche parte, in un altro mondo, ogni racconto continua la sua vita, lontano da noi. In ogni storia leggiamo a proposito di un microcosmo che si anima apposta per noi e poi si spegne, inesorabilmente.

I narratori dei racconti contenuti nella raccolta di Ashleigh Bryant Phillips, formati tutti sulla prima persona, riflettono costantemente su loro stessi: in comune hanno anche questo. La costrizione dell’io, dentro l’affermazione di un io narrante che forma, racconto dopo racconto, un flusso che ingigantisce: il lettore ha la sensazione di essere dentro ogni storia ma contemporaneamente si porta fuori da essa, così l’affresco composto da Ashleigh Bryant Phillips esiste da vicino nella sua parcellizzazione ma non rinuncia a mostrare sulla distanza un discorso complessivo, in cui il mondo narrato capiamo essere uno solo e si sintetizza attorno a un dispositivo solo, che è l’io narrante.

I ventitré racconti di Pigiama Party sono una rassegna di personaggi e situazioni, che ci scorrono davanti a turno, ciascuno con la propria esemplarità, con il proprio grado di enigmaticità e intensità, per lasciarci una sensazione nascosta che l’autrice ci invita a nominare. Ma non solo: il puzzle che si forma mettendo insieme tutti i tasselli della raccolta restituisce uno schema più grande, completo di una comunità raccontata in modo usuale, in cui i personaggi eccentrici e balordi della provincia del Sud degli Stati Uniti hanno un accento unico, speciale.

La sfaccettata umanità che si muove tra le pagine è colorata dalla prosa di Ashleigh Bryant Phillips, accomunata da un movimento narrativo che sta sul fondo, opera sottotraccia, lascia allo stile asciutto e diretto la descrizione dei momenti salienti di una vita o dei fatti rilevanti, i dettagli di un personaggio, ricamato con particolari puntuali, le pieghe di una relazione, dentro cui l’autrice ci porta a guardare sempre un po’ più in là: in particolar modo, qui è dove troviamo immancabilmente un’ombra, ciò che va illuminato prima e compreso poi.

“Lei non aveva un padre. Mi sa che potrebbe contare sulle dita di una mano quante volte l’ha visto. Dormiva con una traversa salvapipì sul letto. Abitava fuori dal paese, dall’altra parte dei binari della ferrovia. Si riempiva il reggiseno di carta igienica. Qualche volta, quando dormivamo insieme, mi svegliavo e lei mi stava tenendo la mano”: in Jacuzzi, come anche in Il materasso, Zio Elmer e Charlie Elliott, la vibrazione del racconto ruota attorno all’amore e alle relazioni sentimentali tra i personaggi e nei riverberi si trova il fulcro della narrazione: Charlie, ad esempio, il protagonista di Charlie Elliott, combatte tutta la sua vita con il desiderio di avere qualcosa che all’inizio gli viene sempre negata ma che poi con la sua determinazione ottiene.

In Il materasso, Hope desidera da Dale ciò che non riesce a chiedere. In Zio Elmer, un gesto ambiguo e segreto restituisce la misura della relazione. In Jacuzzi, infine, i protagonisti ragazzini devono cercare un’identità che somiglia sempre a una motivazione, ora nella scoperta del corpo o degli altri, ora nella definizione della famiglia.

Pigiama Party è una raccolta in cui possiamo leggere di zone rurali, relazioni più o meno reali, senza perderci nella necessità di assegnare loro un tempo, con una vaga e solo tratteggiata idea dello spazio, dove l’isolamento sembra non essere per sempre. Di tanto in tanto viene scalfito, in certi casi rotto, è passeggero, ma non sappiamo mai a priori che sarà davvero così.

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