E se l’eroina più improbabile si rivelasse anche la più sorprendente, la più tenera, la più coraggiosa? “Sally Diamond la strana”, romanzo della scrittrice irlandese Liz Nugent, si muove in bilico tra il trauma e la rinascita, raccontandoci la storia di una donna schietta e imprevedibile che scopre le ombre del suo passato e l’esistenza di un fratello di cui ignorava perfino il nome. Due destini speculari che fanno capo a un’unica radice: l’eredità di una lontana violenza…
“Quelli che mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che quando li hai finiti di leggere […] vorresti che l’autore fosse un tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira.”
Ne era convinto il protagonista de Il Giovane Holden (Einaudi, traduzione di Matteo Colombo), capolavoro dello scrittore americano J.D. Salinger (1919-2010). E che dire invece dei libri in cui vorremmo che la nostra amica per la pelle fosse la protagonista?
Specie se si tratta di un personaggio irriverente e affettuoso come Sally Diamond la strana, che dà il nome al bestseller internazionale dell’autrice irlandese Liz Nugent, appena portato in Italia da Vallardi nella traduzione di Eva Luna Mascolino.
Sally Diamond è infatti tutto ciò che non ci aspetteremmo dalla protagonista di una storia moderna: è alla soglia dei quarant’anni, vive ancora con il padre e non ha nessuna intenzione di mettere su famiglia. La sua vita ruota intorno alle poche faccende quotidiane che le tocca fare in paese, anche se fosse per lei eviterebbe ogni contatto con l’esterno.
Non che abbia paura della gente: semplicemente non sa come prenderla. Spesso deve fare quattro chiacchiere al supermercato anche se non ne ha voglia, teme che se qualcuno ride alla posta lo stia facendo per canzonarla, non capisce se certe frasi le siano state rivolte in senso letterale o metaforico.
Un po’ come succede con suo padre, ormai malato da mesi, che non fa che ripeterle “Quando muoio, portami fuori con la spazzatura“, ma che a quanto pare non andava davvero bruciato nell’inceneritore nel giorno in cui esala l’ultimo respiro: Sally ha semplicemente seguito le sue indicazioni, che cosa ci sarà di tanto assurdo?
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La risposta è custodita in tre lettere che suo padre le ha chiesto di aprire dopo la sua scomparsa, e grazie alle quali Sally scopre con un brivido di essere stata adottata a sette anni, dopo essere vissuta isolata e al buio nella dépendance in cui lei e sua madre erano tenute prigioniere da un uomo profondamente disturbato.
Ed è a questo punto che la lettura si fa più magnetica, più oscura e più toccante, e che Sally imbocca la strada di ogni eroina che si rispetti, scavando a fondo pur di scoprire del rapimento della sua madre biologica quando era solo una ragazzina, degli abusi subìti per anni e della gravidanza forzata da cui era poi nata lei.
Che fare, quindi? Cambiare casa, intanto. Abituarsi alla solitudine domestica. E poi andare da una psicologa, iscriversi a yoga, interagire con i bambini, provare nuove ricette, dare qualche festa.
Qualunque cosa pur di migliorarsi, di creare nuovi legami, di essere meno fuori luogo quando interviene con candore sulle più scottanti questioni sociali, priva com’è di tabù e di paletti che – al netto di qualche imbarazzo – la rendono irrefrenabile e adorabile ogni volta che apre bocca.

Liz Nugent (© Tijana MoracaTrevillion)
Se la sua vicenda si esaurisse qui, se Sally Diamond la strana fosse solo questo, avremmo già abbastanza elementi per parlare di un testo fresco, luminoso e originale. Ma se non fosse tutto qui e Sally avesse un fratello biologico, nato dalla stessa relazione abusiva di cui sopra e cresciuto con quel mostro di suo padre fino quasi alla maggiore età?
Lo conosciamo noi prima di lei, quando è ancora bambino, quando crede che il padre sia una persona speciale e la madre un fantasma cattivo, chiuso a chiave in una stanza perché inutile, aggressivo e incapace di prendersi cura del figlio.
Il suo nome è Peter – e la sua curiosità, il suo altruismo e la sua intelligenza ci sembrano ben presto quanto di più lontano abbiamo appreso di Sally.
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A suggerircelo è già la punteggiatura dei capitoli in cui ricostruisce la sua storia in prima persona, la sintassi che ci incoraggia seguire un ritmo diverso, l’affilato taglio psicologico che ci porta ad ammirare la forma delle sue geometrie mentali, sebbene sia poi lo sgomento a coglierci quando osserviamo fino a che punto il padre ne abbia plagiato le convinzioni, i comportamenti e le ambizioni.
La deflagrazione è allora inevitabile; della trama, degli stati d’animo fuori e dentro il libro, dei risvolti morali. E porta alla caduta libera di questi due fratelli ancora sconosciuti, schiacciati dalla gravità delle vessazioni che hanno decifrato troppo tardi.
Assistendo alla loro débâcle, peraltro, si insinua in noi l’idea che la protagonista – dapprima percepita come la più penalizzata, la più fragile, la più in pericolo – sia paradossalmente la più vicina a sbocciare come Persona con la maiuscola, mentre Peter rischia di regredire allo stato di un animale che bracca le sue prede, sfugge al confronto e si avvicina alla propria nigredo.
Ma di quanta forza abbiamo bisogno per guardare negli occhi l’abisso da cui proveniamo senza che l’abisso guardi a noi? Un interrogativo che ci aspetta al varco, nel momento in cui le vite di Sally e di Peter si incrociano per la prima volta quando entrambi sono a un passo dalla verità, costringendoli a decidere da che parte stare.
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Sally prova a mostrarcelo senza manierismi, Peter senza pietismi. Mettendosi entrambi a nudo e dando vita, attraverso il confronto più abbacinante e tridimensionale a cui potremmo pensare, a due archetipi “eredi” di una comune e claustrofobica dinamica familiare.
Della stessa spada di Damocle per cui la violenza dei padri si fa involontario patrimonio dei figli, senza che però ci venga mai mostrata davvero sulla scena – le uniche versioni dei fatti riportate nel testo sono quelle (spesso filtrate dalla disarmante ingenuità dell’infanzia) di chi ha avuto a che fare con questo aguzzino, mentre lui che è vissuto soffocando gli altri riceve il trattamento che si merita: perdere il diritto ad avere voce in capitolo.
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Nel leggerlo in quest’ottica, Sally Diamond la strana, c’è quindi da perdere a nostra volta il fiato.
Da riprenderlo man mano che la “nostra” Sally (impossibile intanto non affezionarci a lei) abbraccia una nuova consapevolezza di sé, e da sentircelo mozzare di nuovo durante i flashback su suo padre, o nelle scene in cui Peter si incaglia sempre di più fra le sue tare.
Ma c’è pure da intenerirci, da sperare, da concederci un sorriso.
Perché i grandi romanzi, i romanzi più scomodi e autentici, con il loro tono disinvolto e cespuglioso a un tempo, e la loro lente puntata sulle storture universali che ci accomunano ai personaggi, sono quelli che incoraggiano la nostra coscienza a sentirsi “distratta, devastata, intrattenuta, insorta, raggelata e divertita” contemporaneamente, finché non arriviamo poi alle catartiche righe dell’epilogo.
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Righe che nel caso specifico ci insegnano… cosa? Forse niente, in fondo, giacché la letteratura non ha da abbassarsi al livello della didascalia.
Righe che al massimo, grazie all’eroina fuori dall’ordinario a cui sono dedicate (strana a modo suo, ma strana come in fondo potrebbe esserlo chiunque di noi, e soprattutto preziosa tanto quanto il suo cognome acquisito), ci svelano dei lampi di verità che agguantiamo e perdiamo, scordiamo e poi ritroviamo, e che sembrano rimare con il distico che a suo tempo chiudeva Via del Campo di Fabrizio De André:
Dai diamanti non nasce niente,
Dal letame nascono i fior

Letture originali da proporre in classe, approfondimenti, news e percorsi ragionati rivolti ad adolescenti.

Fotografia header: © Tijana MoracaTrevillion