Il Diavolo può assumere molte forme e bisogna fare attenzione: è con questo monito che sono cresciuti i protagonisti di “Spettri, diavoli, cristi, noi”, il romanzo di Riccardo Ielmini (vincitore della prima edizione del Premio Nazionale di Narrativa di Neo Edizioni), di cui proponiamo un capitolo. Ma ciò non li protegge dal Male e dalla perdita dell’innocenza. Dopo molti anni, toccherà a uno di quei ragazzi ripercorrere i ricordi più oscuri e le ferite “che tutti vorrebbero dimenticare” per ritrovare sé stesso
Spettri, diavoli, cristi, noi: un titolo evocativo ma che racchiude in sé molti dei personaggi che animano il romanzo di Riccardo Ielmini, vincitore della prima edizione del “Premio Nazionale di Narrativa” di Neo Edizioni, in uscita il 12 febbraio.
Una storia che getta le sue radici nei racconti e nelle raccomandazioni degli anziani, nei moniti contro il Male e contro il Diavolo, che, con le sue molteplici forme, è in grado di lasciare un segno nelle vite del narratore e dei suoi amici – chiamati la Confraternita: c’è la morte di Frida, l’amata del gruppo, e c’è il Gigante dei traslochi; c’è Artù il muto, figlio del Gandhi, e c’è Arben l’albanese, con le sue cinque figlie e il loro improvviso destino. Personaggi che spariscono e riappaiono come spettri che animano un paese del Nord Italia.
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Ielmini, già autore di libri di versi (Il privilegio della vita, Atelier, e Una stagione memorabile, Il ponte del sale) e una raccolta di racconti (Belle speranze, Macchione), costruisce una narrazione plurale, un noi che seguiamo tra i boschi e le scogliere, tra chiese in cui si celebrano messe nere e i nascondigli dei contrabbandieri. Un noi che cresce, dagli anni ’80 ai giorni nostri.
Spettri, diavoli, cristi, noi si immerge, con fare malinconico, nei ricordi più oscuri, in quelle ferite “che tutti vorrebbero dimenticare” ma che ora sono necessarie al protagonista per ritrovare sé stesso e recuperare l’innocenza che il Diavolo ha rubato…
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L’Uomo Dei Boschi e il Diavolo
Eppure, benché la paura in noi fosse una serpe attorcigliata al midollo lungo la spina dorsale, l’Altissimo dava retta alle giaculatorie delle nostre vecchie e disseminava nella boscaglia intorno alla Contea i suoi spettri custodi: un battaglione che sembrava girovagare senza meta e invece, guarda un po’, seguiva invisibili traiettorie celestiali come treni fantasma su binari inesistenti. Ma come potevamo saperlo. Come immaginarlo. L’Altissimo è imperscrutabile, dicevano le vecchie dal fondo delle loro teologie zuppe di superstizioni e riti pseudomagici, e noi eravamo animule troppo educate per metterci a caccia delle cose segrete. Tutto l’andirivieni di facce che popolava i sentieri, tempo prima dell’invasione dei cinghiali, molto tempo prima delle sentinelle magrebine che avrebbero pattugliato gli incroci dello spaccio, prima, molto prima, tutto ci sembrava pronto ad aggredire la nostra innocenza, sembrava aggiungere terrore a terrore e invece poteva non essere così. Poteva essere che il vecchio con il sesso bianco e ciondolante che sbucava dallo strappo nei pantaloni di fustagno fosse il guardiano dell’invisibile fortezza che l’Altissimo aveva eretto per noi. Poteva essere, forse davvero era così.
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Noi il vecchio ce lo trovavamo davanti che confabulava qualcosa di indecifrabile camminando trafelato a qualsiasi ora della giornata, come una specie di Santo di Assisi redivivus o un povero cristo che si trascina chiodi e croce e tutto il resto in mezzo a funghi e licheni. Avevamo preso a chiamarlo l’Uomo Dei Boschi, e nelle nostre teste le tre parole avevano la maiuscola, come per dargli l’aura di soggezione e magnificenza che suscitava in noialtri di là dalla sua apparenza di poveraccio. A volte lo seguivamo a distanza: lui caracollava sui sentieri, scavalcando le radici dei castagni e facendo lunghi scivoloni sui tappeti di foglie fradicie, e sembrava inconsapevole di tutto, chiuso in un pastrano onnistagionale che aveva i segni umidi delle sue scorribande. Poi, all’improvviso, sedeva su un cippo di confine o su un tronco divelto, infilava la mano nei pantaloni e la agitava sotto quel cencio di fustagno.
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Eravamo ragazzini con il bagaglio di una solida educazione cattolica, ma il Sesto Comandamento, visto nel vecchio, era innocente e naturale e buono come odore di muschio in autunno. Le nostre madri, che si salutavano fra loro con un cenno di circostanza da dietro i vetri puliti delle villette lombarde del complesso residenziale Villaggio Paradiso, ci avevano messo in guardia dal vecchio, ma noi avevamo smesso di pensare che quella cosa lì fosse la carnificazione di Satana.
Un giorno di metà novembre, quando il bosco è gelato come un tavolo di marmo in una stanza bianca e il cielo finge di avere pietà del mondo, non ci imbattemmo nel vecchio in alcuno dei posti familiari. Era un pomeriggio senza compiti, senza genitori, senza tempo, e l’assenza del vecchio ci allarmò: così decidemmo di iniziare la cerca dell’Uomo Dei Boschi. Le nostre bmx ci portarono su e giù fra querce e castagni; risalimmo da valle a monte; stazionammo per una pisciata al casino di caccia mentre la Frida guardava altrove cantando sguaiata una canzone di chiesa.

Riccardo Ielmini, vincitore della prima edizione del “Premio Nazionale di Narrativa” di Neo Edizioni
Alla fine arrivammo alla vecchia pista da motocross abbandonata, la Camelot decaduta della compagnia di tossici del vecchio Artù il Muto. Da lì si poteva vedere tutto, un colpo d’occhio che spaziava fino alla Svizzera, cioè la rarefazione di paradiso che immaginavamo ci fosse di là dalla frontiera.
«Dove sarà?» disse Accio.
«Avrà la sua tana» rispose Bardo.
«Mica è una bestia».
«Però vive nei boschi».
Fosse vero o meno, che viveva nei boschi, non ce l’eravamo mai chiesto, perché non l’avevamo mai seguito per più di un’ora. Forse viveva davvero nei boschi, o forse, quando smetteva di smaniare a destra e a sinistra, senza che le sue peregrinazioni avessero un disegno logico, aveva un buco che si apriva nella terra per entrare in un’altra dimensione, oppure aspettava in un punto preciso che piombasse giù dall’alto dei cieli un messaggero celeste che lo rapiva e lo riportava di fronte all’Altissimo.
«Il vecchio sa dove andare» disse Fredy.
(continua in libreria…)
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