Vivere la vecchiaia, ma come? Fuggendo nei boschi più remoti, come suggerisce il romanzo “Piovevano uccelli” di Jocelyn Saucier? Parte da qui la riflessione di Mario Baudino, che su ilLibraio.it collega numerose opere narrative contemporanee con al centro la terza età, per poi fare un passo indietro e arrivare, tra gli altri, al “De Senectute” di Cicerone, a Bernard Shaw, a Norberto Bobbio e a Gottfried Benn, autore (nel 1954, a due anni dalla morte) di “Invecchiare come problema per artisti”

Vivere la vecchiaia, ma come? Fuggendo nei boschi più remoti, suggerisce un romanzo piuttosto interessante al proposito: Piovevano uccelli della francocanadese Jocelyn Saucier (Iperborea, traduzione di Luciana Cisbani).

In sé, non pare una soluzione così inedita, fa parte del resto di una lunga storia: dai greci ai latini, gli aspetti ambivalenti di questa condizione difficile sono oggetto di riflessione o di dileggio, di tristezza e malinconia, ma anche di saggezza; le risposte sono state molte, e tuttavia non così diverse tra loro; esiste una solida tradizione, una sorta di canone.

Oggi, con l’estendersi nel tempo della vita media, l’invecchiamento della società quantomeno avanzate trasforma però qualcosa che in passato era per molti versi eccezionali in un problema di massa. I “vecchi”, anzi quelli che vengono ora definiti i “grandi anziani” potrebbero diventare, domani, la maggioranza, con i costi che implicano e le attività economiche connesse, in ogni campo, editoria compresa. Rappresentano una condizione non solo fisica ma mentale, e un grande mercato.

Jocelyne SAUCIER piovevano uccelli

Vivere la vecchiaia non è facile, anzi, è l’impresa estrema, anche sul piano culturale. Potremmo parlarne come di un’arte, forse proprio l’arte della fuga, che è quella praticata con un certo successo dai protagonisti di Saucier, e non solo: negli ultimi anni  i libri non saggistici si sono moltiplicati a dismisura in questo campo – penso al tema dell’Alzheimer, un esempio fra i tanti il recente Adesso che sei qui di Maria Pia Veladiano (Guanda) –, almeno a partire dal grande successo che ebbe dieci anni fa lo svedese Jonas Jonasson con Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve (Bompiani).

E sembrano privilegiare questa direzione. Anche Piovevano uccelli appartiene del resto a quell’epoca, perché uscì in edizione originale (e con ottimi riscontri e traduzioni) nel 2011, quasi si riconoscesse in una sorta di spirito del tempo: che è ancora il nostro.

È la storia di una fotografa in cerca dei sopravvissuti, ormai molto anziani, ai grandi incendi che a inizio Novecento devastarono il Québec, distruggendo boschi, colture e intere città. La donna è sulle tracce di quello che ritiene più importante perché avvolto da una mitologia locale: il ragazzo che forse armato di un mazzo di fiori vagò per giorni, semiaccecato, tra le ceneri fumanti, cercando qualcosa o qualcuno. Lo trova, ma è tardi, perché è appena morto in una capanna fra tre le foreste del Nord, lontano da tutto e da tutti a eccezione della piccola compagnia di due ottantenni come lui.

I tre erano letteralmente fuggiti dalla vita normale, dal loro destino di pensionati, per andarsene nel selvaggio Nord ad attendere, senza fretta, la morte. Ma può un anziano sopravvivere in quelle condizioni? La risposta del romanzo è sì, se viene aiutato da due tizi piuttosto strani che, in cambio della possibilità di coltivare tranquillamente marijuana nella zona, si riforniscono di ciò che serve e soprattutto difendono quelle esistenze segrete.

I tre (ormai due al momento della narrazione) sono eremiti, si dirà, in armonia con una antica tradizione che arriva fino alla cultura indiana (nella quale, delle quattro età dell’uomo, si ritiene l’ultima quella in cui deve abbandonare tutto e rifugiarsi nella foresta, meditando e vivendo di elemosina). Ma nel Québec non è esattamente così. I vecchi sono dei fuggiaschi, hanno tagliato i rapporti col mondo e le loro meditazioni si limitano a simpatici discorsi sul tempo, la caccia, le pellicce, e naturalmente la morte: che dovrà essere una cosa sbrigativa e volontaria, per la quale hanno con sé un barattolo di stricnina; e intanto è parte della compagnia.

L’arrivo della fotografa mette in crisi, o meglio muta impercettibilmente prima, in misura molto maggiore poi, questo stile di vita, perché porta al formarsi di una vera comunità in cui entra anche un’anziana sottratta fortunosamente al manicomio, e si apre persino la possibilità di un amore. La morte può aspettare; quel che conta davvero sono gli anni, pochi, che restano da vivere pienamente.

Il romanzo è piacevole, un po’ sentimentale, ben costruito e godibile, persino dotato di lieto fine – questo sì, forse un po’ posticcio. Da una parte la gloria della natura incontaminata, dall’altra il ricordo degli incendi (che l’ex ragazzo, prima di morire, ha dipinto febbrilmente, lasciando una serie di quadri dove, se letti con attenzione, si dispiega la sua vera storia d’allora); e bisogna dire che nella descrizione del fuoco divoratore l’autrice dà il meglio di sé.

La vicenda pilota, la sua anima vera, sembrerebbe dunque non la successiva scomparsa volontaria – e non così dolce come l’aveva immaginata – di uno dei due anziani superstiti, né l’amore che sboccia fra l’ultimo sopravvissuto e la nuova “eremita” arrivata (oltre alla loro conseguente fuga, ancora una volta, perché la polizia ha scoperto la piantagione), ma proprio il contrasto tra le fiamme e l’acqua dei laghi, tra distruzione e pace, rappresentato da quei dipinti: dunque l’arte, e non solo l’arte della fuga, come strumento per vivere ancora quel tanto che resta.

Ci stiamo forse allontanando dal Cicerone del De Senectute, dove il personaggio di Catone osserva che le persone equilibrate non sentono il peso degli anni, a patto però di non essere povere o malate (ma gli sciocchi anche se ricchi e potenti lo sentono eccome, anche di più); o da Norberto Bobbio che, in un testo cui volle dare lo stesso titolo, sottolinea come il patrimonio del vecchio siano i suoi ricordi, la sua dimensione il passato, perché il futuro è troppo breve per darsi pensiero di quel che avverrà.

Diceva Bernard Shaw che i vecchi sono pericolosi, perché per loro il futuro è del tutto indifferente, e questa potrebbe essere davvero la “morale” del romanzo, perché i suoi eremiti sono anche e soprattutto dei ribelli. Un’utopia di futuro, certamente breve, rimane. E dunque anche un’utopia di libertà, considerato che la brevità è sempre qualcosa di relativo.

Invecchiare come problema per artisti

La citazione da Shaw non appartiene però alla Saucier. Viene da un altro libro, appena uscito per Adelphi, dove si raccoglie una lontana conferenza di Gottfried Benn dal titolo Invecchiare come problema per artisti (traduzione di Luciano Zagari). Il pur discusso poeta espressionista tedesco affronta la questione del cosiddetto “stile tardo”, ovvero quello dell’artista da vecchio, ma in realtà parla di sé, e della propria idea di vecchiaia (che di fatto sfiorò appena, perché era nato nel 1886 e in quel momento, nel ’54, gli restavano solo due anni da vivere) come qualcosa di fondamentale agonistico.

Forse non vede in essa il fuoco di Prometeo, ma certo esclude Epimeteo, il titano che riflette e sostanzialmente guarda all’indietro. Non gli basta la pienezza del ricordo, è necessaria la compiutezza dell’opera, anche a costo, dice, di renderla illeggibile. In altre parole l’arte, intesa come riconoscimento totale di se stessi, di ciò che sappiamo di noi e di ciò che ignoriamo, conta meno della posterità e della sopravvivenza.

L’opera è sempre prometeica (lo è anche quella dell’anziano pittore in Piovevano uccelli), una gara con l’impossibile. In Benn questo aspetto è molto presente, sebbene suggerito e non esplicitamente dichiarato. Il decadentismo, da Wilde a D’Annunzio, suggeriva un’idea di vita come opera d’arte (ma, ammettiamolo, ben gravata di orpelli, bric-à-brac, sceneggiate, marketing liberty).

Forse la vera opera d’arte da realizzare, con uno sforzo ormai sovrumano, fragile, necessario – questo almeno ci suggeriscono due libri così diversi –, è proprio, per tutti e per ciascuno, la nostra vecchiaia.

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