Sono giorni, questi, in cui sembra inevitabile parlare di clima. E di clima parla anche l’ultimo libro di Fabio Deotto, “L’altro mondo. La vita in un pianeta che cambia”, un reportage narrativo sulla crisi climatica e sulle sue implicazioni, dirette e indirette, sul nostro presente e futuro. Ma se è almeno dagli anni Ottanta che gli scienziati danno l’allarme, allora come mai continuiamo a essere così miopi nei confronti di un pericolo ormai imminente? Illusione di controllo, bias di normalità e bias di ottimismo: lo scrittore indaga la nostra natura interiore alla luce di teorie evoluzionistiche e paradigmi cognitivi, ponendoci davanti ai nostri limiti e ricordandoci che su questa terra non siamo padroni, ma guardiani… – L’approfondimento

“Nessuno può dubitare che questo disastro sia legato al cambiamento climatico“. Con queste parole il ministro dell’Interno tedesco Horst Lorenz Seehofer descrive le intense alluvioni che hanno colpito Germania e Belgio negli ultimi giorni, provocando numerosi morti e dispersi.

Quasi contemporaneamente, la presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen, ha presentato il nuovo maxi piano sul clima e l’energia Fit for 55, comprendente 13 proposte legislative per l’applicazione del Green Deal, con l’obiettivo di ridurre del 55% le emissioni di Co2 entro il 2030, fino all’azzeramento completo nel 2050. 

Copertina del libro L'altro mondo di Fabio Deotto

Sono giorni questi, quindi, in cui sembra inevitabile parlare di clima. E di clima parla anche l’ultimo libro dello scrittore Fabio Deotto, L’altro mondo. La vita in un pianeta che cambia (Bompiani), un reportage narrativo sulla crisi climatica e sulle sue implicazioni, dirette e indirette, sul nostro presente e futuro. 

Mezzobusto in bianco e nero dello scrittore Fabio Deotto

Un viaggio attorno al mondo lungo un anno e mezzo per visitare personalmente i luoghi in cui gli effetti del cambiamento climatico sono più visibili: le tappe di Deotto sono le cosiddette “mete da cartolina”, desiderio ultimo del turista moderno, zone che nell’immaginario collettivo richiamano atmosfere esotiche, talvolta quasi magiche.

Dalle paradisiache Maldive (che però rischiano di essere la prima nazione a essere interamente sommersa, a fine secolo, dalle acque dell’oceano Indiano), fino alla Pianura padana (culla di alcune delle città più inquinate d’Europa), passando per le terre umide e paludose di New Orleans (che lentamente stanno cedendo e sprofondando) e persino per il villaggio di Babbo Natale (dove la neve inizia pericolosamente a scarseggiare), Deotto ci conduce in quei luoghi dove il mondo – come suggerisce il titolo del libro –  è già cambiato, è già un mondo altro da quello che crediamo ancora cocciutamente di abitare. 

E se anche un recente studio olandese ci invita a non affezionarci troppo a caffè e cioccolata, vittime della sempre maggiore siccità che sta colpendo alcuni dei loro principali produttori mondiali, non serve allontanarsi troppo per scorgere altri cambiamenti di questo nuovo “mondo surriscaldato”.

Nell’ultima tappa del suo viaggio, Deotto attraversa paesaggi a noi cari, come l’affollata Trieste – spunto per una riflessione sulla questione poco dibattuta della migrazione climatica; una Venezia in costante lotta con le acque dell’Adriatico; o le colline della Franciacorta, dove l’innalzamento delle temperature e piogge sempre più imprevedibili influiscono su tempi e modalità tradizionali della vendemmia, mettendo a rischio la produzione a lungo termine di quel vino che il mondo intero ci invidia. 

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Ma perché restiamo ancorati a un mondo già finito?

Se è almeno dagli anni Ottanta che gli scienziati danno l’allarme, allora come mai continuiamo a essere così miopi nei confronti dell’emergenza climatica? È da queste considerazioni che parte la vera propria indagine di Fabio Deotto, un’indagine che è forse prima di tutto umana, ma anche psicologica, sociale, culturale. In un’ottica che cerca di abbracciare contemporaneamente le molteplici sfaccettature che compongono il mosaico della questione climatica, l’autore esplora in particolar modo la nostra natura interiore, alla luce di teorie evoluzionistiche e paradigmi cognitivi.

Il lavoro di precisione va quindi a scardinare e decostruire le cosiddette “distorsioni cognitive: schemi mentali e tendenze di pensiero ereditate dal passato, che oggi hanno perso la loro utilità originaria. È per queste dissonanze che, ad esempio, tendiamo a sovrastimare la nostra effettiva capacità di controllare gli eventi che ci coinvolgono (illusione di controllo), oppure crediamo più probabile che un evento negativo colpisca con maggiore probabilità gli altri, piuttosto che noi (bias di ottimismo). In particolare, siamo portati a sottostimare gli effetti di un pericolo, perché inconsciamente pensiamo che le cose funzioneranno sempre allo stesso modo, oggi come in futuro (bias di normalità). 

Nulla di più falso: il pericolo c’è, le cose cambiano e il mondo non è già più lo stesso. Per questo, sottolinea Deotto “è bene prendere coscienza dei nostri limiti cognitivi e metterci nella condizione di superarli”, allo stesso tempo ricordando un antico motto indigeno secondo cui “non siamo i padroni della terra, siamo i guardiani“. È solo decolonizzando il nostro sguardo sul mondo che, infatti, potremo finalmente aprirci a prospettive nuove, abbattendo quei muri cognitivi che ci impediscono uno sguardo più ampio sulla realtà. 

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