In “Autobiografia di una femminista distratta” Laura Lepetit racconta la sua storia e quella della sua casa editrice, La Tartaruga, che pubblicava solo donne, ma con criteri letterari, non politici, e che ha contribuito a far conoscere molte delle più grandi scrittrici del nostro tempo – Su ilLibraio.it il capitolo “Perché ho fatto una casa editrice”

Laura Lepetit (nella foto, di Maria Mulas) ha creato e diretto La Tartaruga, una casa editrice che pubblicava solo donne, ma con criteri letterari, non politici, e che ha contribuito a far conoscere molte delle più grandi scrittrici del nostro tempo: Doris Lessing, Alice Munro, Gertrud Stein, Edith Wharton, Virginia Woolf, per dirne solo di alcune. Lo ha fatto con quella grazia svagata con cui ora ci racconta la sua vita (in Autobiografia di una femminista distratta, Nottetempo): l’esperienza del femminismo con Carla Lonzi, i viaggi per conoscere le sue autrici, Radio Popolare, la Libreria delle Donne, i gatti, i cavalli, mescolando al racconto le sue considerazioni ‘distratte’, il suo sguardo sulla vita pieno di humour e di candore. Un libro fatto di incontri, amicizie, epifanie che hanno segnato la storia culturale ed editoriale italiana nello sfondo di una Milano nella sua stagione più viva, colta, europea.

Autobiografia di una femminista distratta

Laura Lepetit, intellettuale e femminista, nel 1965 ha acquistato con Anna Maria Gandini la libreria Milano Libri e nel 1975 ha fondato la casa editrice La Tartaruga, che ha diretto fino al 1997, quando ha dovuto vendere marchio e catalogo.

Su ilLibraio.it, per gentile concessione dell’editore, il capitolo Perché ho fatto una casa editrice

Thomas Mann ha fatto nascere in me la ferma convinzione che leggere un libro sia un’esperienza di vita, di crescita interiore. Quando mi sono imbattuta in Tonio Kröger ero al liceo. Io ero studiosa, con i capelli color topo, timida e imbarazzata, sognatrice e persa, la mia amica del cuore invece era bionda, allegra, sempre in movimento, facile alle amicizie e pronta alle avventure. Io ero presa da un’ammirazione senza confini per lei, le passavo i compiti, correvo a ogni suo comando, avrei voluto essere come lei e mi tormentavo a ogni sua distrazione e a ogni suo distacco. Proprio come Tonio e Hans, i protagonisti del romanzo del grande scrittore tedesco.
Leggendo quel libro, breve ma molto denso, ho capito meglio me stessa e l’esperienza che stavo vivendo. Non ho mai dimenticato per tutta la vita le parole di Tonio e ancora adesso mi commuovono: “Il mio amore piú profondo e piú nascosto va ai biondi, a quelli dagli occhi azzurri, ai luminosamente vivi, ai felici, agli amabili e ordinari”.
Da allora ho elaborato la ferma convinzione che incontrare il libro giusto al momento giusto fosse un fatto fondamentale e necessario. Questa convinzione non l’ho mai persa. E proprio questa convinzione, al momento buono, mi ha spinta, piena di entusiasmo e di imprudenza, a mettere in piedi La Tartaruga edizioni, per riempirla di libri assolutamente necessari, da leggere a ogni costo.
È questo il motivo per cui la mia vita mi sembra degna di essere vissuta e la mia storia di essere raccontata.
Ma prima di raccontare quell’avventura editoriale ci sono ancora molte cose da spiegare.
Eccomi qui ora, da grande, molto grande, a guardarmi indietro. Con un computer che scrive, cancella, salva, sposta ecc. Mai avrei creduto di arrivare a tanta nuova tecnologia, già mi pareva formidabile saper scrivere a macchina battendo tutti i tasti senza guardare. L’avevo imparato a un corso per segretarie che avevo seguito sperando di trovare poi un lavoro, come tutti.
Già perché allora, negli anni cinquanta, era difficile che una ragazza perbene potesse lavorare. Veniva mantenuta prima da un padre e poi da un marito.
Non mi vergogno a dirlo perché invece di un vantaggio era un grande intralcio e un peso difficile da sostenere. Avevo cercato in tutti i modi di trovare un lavoro ma gli altri mi guardavano con aria sorpresa e critica.
Lavorare per una donna era considerata una disdicevole necessità.
La dizione esatta era casalinga come giustamente stava scritto sulla carta d’identità. A casa, a casa, ragazze, non fate storie.
Era la nostra condizione prima del femminismo. Se ripenso a quegli anni mi viene in mente Sylvia Plath. Oggi avrebbe la mia età perché era nata anche lei nel 1932. Sylvia si è uccisa a trent’anni perché non ha retto quel peso. Quello di essere una ragazza perfetta, una moglie perfetta, una madre perfetta e insieme una grande e feroce poetessa. Le sue poesie sono lame d’acciaio, impietose, durissime mentre lei nelle fotografie appare bionda, i capelli a posto, il golfino uguale a tutte noi, sorridente al braccio di suo marito, Ted Hughes, lui sí un uomo e un poeta a pieno diritto, apparentemente felice con in braccio i suoi bambini.
Invece dentro di lei un fuoco bruciava e non trovava modo di uscire. Succedeva allora di mettere la testa nel forno, dopo aver preparato il latte per i bambini.
Una poesia di Sylvia, Ariel, è dedicata a un cavallo che lei montava vicino alla sua casa di campagna e che un giorno le aveva preso la mano e l’aveva trascinata in una galoppata imprevista. Il ritmo della poesia rende la sensazione di pericolosa libertà che si prova in un’occasione del genere. Io, forse, mi sono salvata perché amavo disperatamente la vita e speravo di spezzare quelle catene senza troppi danni.
E poi in effetti, negli anni della crisi, verso la mezza età, quando tutte si precipitavano da un venerato psicanalista, ho acquistato il mio primo cavallo, Paco, un veterano e lui e tutti gli altri e le altre che sono seguiti, per fortuna mi hanno insegnato a vivere molto meglio di qualsiasi analista. Al galoppo col cuore in gola, al passo senza pensieri, il fruscio degli zoccoli sull’erba, il grande corpo in movimento, una felicità condivisa e infine l’ora di tornare a casa.
Anche in città, dove sto io, si sentono le campane come in campagna e hanno un suono rasserenante.
È uno dei vantaggi di avere la Chiesa in casa. Chissà se a New York si sentono le campane? Forse sono gli scoiattoli di Central Park ad avere il compito di rasserenareil passante. Me li ricordo cosí.
Ho notato che spesso le donne si offrono per fare di tutto e occuparsi di tutto. Temono che le cose vengano fatte male senza il loro intervento e questo le mette in ansia e forse fa loro paura. Non ho questa ansia e mi piace delegare e vedere il lavoro altrui.
Puro egoismo, direbbe mia sorella. Infatti so bene di averla costretta in tutti i modi, essendo lei piú piccola di me, a rendermi innumerevoli servigi. Vai qui, vai là, prendi questo, prendi quello ecc.
Finché un bel giorno la poveretta pronunciò la fatidica frase: “Perché io…?”, e non se ne fece piú nulla.
Cosí è la vita.

(continua in libreria…)

Fotografia header: Lepetit - foto di Maria Mulas

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