Un libro che promette di svelare “luci e ombre del premio letterario più importante d’Italia”. In libreria dal 21 aprile “Caccia allo Strega – Cosa c’è dietro un premio letterario” del critico Gianluigi Simonetti, che spiega, attraverso alcuni esempi, com’è cambiato negli ultimi anni il riconoscimento più ambito e discusso (e com’è cambiata la letteratura)

Un libro che promette di svelare “luci e ombre del premio letterario più importante d’Italia“. A firmarlo, un critico letterario che ben conosce il discusso e ambito riconoscimento: parliamo di Caccia allo Strega – Cosa c’è dietro un premio letterario di Gianluigi Simonetti, in libreria per nottetempo.

Quando si parla dello Strega si prende in esame il premio più desiderato da autrici, autori ed editori, perché al prestigio storico e artistico unisce una rilevanza editoriale: come sanno bene anche i librai, infatti, la cinquina dei finalisti, e soprattutto il vincitore o la vincitrice, risultano poi tra i titoli italiani più venduti.

Ma cosa c’è dietro questo premio, che ogni anno non manca di generare polemiche? Quali valori riconosce? Che tipo di romanzo “può vincere” lo Strega? E perché? Soprattutto, com’è cambiato negli ultimi vent’anni?

gianluca simonetti caccia allo strega

Nella parte centrale del volume, Simonetti,  che insegna Letteratura italiana contemporanea, Letterature comparate e Storia della critica all’Università di Losanna, e che studia soprattutto la poesia italiana del Novecento e il romanzo postmoderno, sceglie sei “romanzi esemplari”: Via Gemito di Domenico Starnone, Non ti muovere di Margaret Mazzantini, La solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano, Resistere non serve a niente di Walter Siti, M. Il figlio del secolo di Antonio Scurati e, facendo “un salto” al Campiello, anche Le assaggiatrici di Rosella Postorino (tra i favoriti dell’edizione 2023 dello Strega, in cui è in gara con Mi limitavo ad amare te), che racconta nel dettaglio, fornendo collegamenti e chiavi di lettura.

Riferendosi al premio romano, nell’introduzione nota “(…) la propensione – soprattutto negli ultimi vent’anni – a investire su personalità attuali e in forma, capaci di tenere il campo (e il mercato), investendole di una doppia consacrazione: autoriale e commerciale. Anzi, molti dei libri recentemente premiati con lo Strega si direbbero attratti dal salto verso il grande pubblico molto più che dalla consacrazione nel parterre ristretto degli addetti ai lavori (e degli stessi produttori)”.

Il discorso dell’autore del saggio, che punta ovviamente ad aprire un dibattito, va ovviamente oltre il premio Strega: per il critico, ad esempio, nell’attuale contesto “la letteratura stessa, nel complesso, tende sempre più spesso alla performance: rilutta a conservarsi ‘solo scritta’, oltrepassa i confini del libro”.

Allo stesso tempo, “lo scrittore è quindi indotto, per acquisire una posizione centrale nel campo letterario, a trasformarsi in performer, attivo su diversi fronti, abile su diversi tavoli, mediaticamente (e non solo) virtuoso; oppure a specializzarsi come narratore, specialista di affabulazione nell’enfasi attuale per le storie‘. L’uno e l’altro rischieranno soprattutto di essere, in fin dei conti, brillanti storyteller, al confine tra letteratura e comunicazione (e sempre più spesso col giornalismo a fare da mediatore): la fiction narrativa essendosi costituita come genere privilegiato nella rappresentazione comune del letterario”.

Tra le conseguenze osservate da Gianluigi Simonetti, il fatto che il premio letterario si metta al servizio della letteratura industriale che era nato per contrastare. La popolarità del libro finisce col coincidere con la legittimazione critica e consente di accedere alla consacrazione vera e propria, che oggi non avviene tanto sul tempo lungo della storia letteraria quanto su quello brevissimo, anzi istantaneo, della comunicazione“.

E tornando al premio protagonista del libro, per l’autore “(…) oggi lo Strega non è quindi soltanto uno spazio che rende momentaneamente visibili libri e autori che rischierebbero di scomparire nel flusso vorticoso della produzione editoriale, né è più un premio alla carriera per scrittori affermati; è anche e soprattutto un catalizzatore: un elemento che favorisce o accelera il formarsi di tendenze – specialmente nel campo del romanzo pensato per quel pubblico, informato ma non specialistico, che per estensione, prospettiva di crescita e propensione al consumo rappresenta il più appetibile target della nostra editoria di narrativa”.

Nella seconda parte il libro si concentra sulle ultime edizioni dello Strega, con l’analisi dei libri in cinquina.

In chiusura, Simonetti prova ad abbozzare un ritratto sommario di come dovrebbe essere fatto un libro che aspiri alla cinquina; e perfino, confuse nel disegno, immaginare alcune delle condizioni necessarie – sebbene non sufficienti – perché questo ipotetico libro possa imporsi. Fermo restando che un romanzo veramente bello, scritto per conoscere e non solo per piacere – e allo Strega, come abbiamo visto, ce ne sono stati tanti, e ancora tanti altri si può prevedere che ce ne saranno –, un bel romanzo dicevo viene sempre alla luce anche per contraddire, o integrare, qualsiasi attesa sclerotizzata e formula già pronta; per aprire prospettive di senso e di stile inaspettate; per prendere in giro l’ironia stessa della critica, e l’acidità di chi non si accontenta mai. Detto questo, il nostro ipotetico libro innanzitutto deve essere un romanzo. Inclusività e buon gusto vorrebbero che fosse scritto da una donna, preferibilmente giovane; ma può andar bene anche un uomo, possibilmente non troppo anziano (i vincitori delle ultime nove edizioni non avevano mai superato i sessant’anni, con l’eccezione di Veronesi che ne aveva appena compiuti sessantuno)…”. E ancora: “Un romanzo che si voglia competitivo, dicevamo, è bene sfoggi una sinossi di agevole riconoscimento, facile da compendiare e quindi da comunicare attraverso i media. Importante si possa dire che è un romanzo “su qualcosa” – e questo qualcosa non dev’essere un altro libro, o la letteratura in genere (al massimo può riguardare un singolo e specifico scrittore). La narratività deve essere spiccata, modulata soprattutto nel senso di un’affabulazione persuasiva e socievole; ben vengano ovviamente gli aneddoti e le scene madri, ma la trama non è particolarmente importante di per sé. Vanno evitati non solo gli intrecci cosiddetti ‘neutralizzati’, che non portano da nessuna parte e sanno troppo d’avanguardia, ma anche e specularmente quelli cosiddetti ‘finalizzati’, tipici dei gialli o dei polizieschi, che fanno troppo paraletteratura…”.

Ma per sapere come va a finire questo ritratto dello “Strega ideale” dei nostri anni, vi lasciamo però alla lettura del saggio…

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