Cosa significa affermare che “la cultura è di tutti”, quando le statistiche dimostrano che, nei fatti, resta invece nella testa, nel cuore e nel portafoglio di pochi? In libreria il dialogo fra Paola Dubini, professoressa di Management alla Bocconi, e Christian Greco, Direttore del Museo Egizio di Torino – Su ilLibraio.it un capitolo, in cui si legge che “affermare che la cultura è di tutti è riconoscere la cultura come un diritto e una possibilità da offrire a ciascuno affinché sia còlto da meraviglia, stupore, curiosità in modo anche casuale e da questa prima scintilla possa partire il desiderio di sapere di più, di scovare altro o semplicemente di essere affascinato…”

Che cos’è la cultura?” non è una domanda così scontata. Per l’UNESCO, non a caso, patrimonio culturale sono non solo il Colosseo o le piramidi di Giza, ma anche beni immateriali come la ricetta della pizza napoletana o l’alpinismo. Di conseguenza, affermare che “la cultura è di tutti” significa innanzitutto scoprire questa grande varietà di forme, aprendosi all’ascolto e alla comprensione di ciò che emoziona.

Eppure, questa affermazione può anche suonare demagogica o ambigua. Significa forse che la cultura deve farsi prodotto da consumare in un eterno presente, dimenticando la dimensione di racconto che ci riconnette al passato? E poi qual è il confine fra “di tutti” e “di nessuno”?

Se sulla carta, a partire dall’articolo 9 della Costituzione, la “cultura è di tutti”, le statistiche dimostrano che nei fatti resta invece nella testa, nel cuore e nel portafoglio di pochi.

Partendo da questi dubbi, Paola Dubini, professoressa di Management all’Università Bocconi di Milano (che siede nei consigli d’amministrazione di numerose organizzazioni culturali), e Christian Greco, stimato egittologo, co-direttore della missione archeologica italo-olandese a Saqqara, e dal 2014 Direttore del Museo Egizio di Torino (è inoltre docente di Museum Studies in diversi atenei italiani e stranieri), firmano per Egea La cultura è di tutti, un saggio in forma di dialogo (con la prefazione di Massimo Osanna).

I due autori  – diversi per formazione, età, genere e percorso professionale, ma uniti da una comune sensibilità provano a dare significato alla provocazione che dà titolo al libro, intrecciando riflessioni che toccano, tra l’altro, la rilevanza della cultura materiale in un’epoca sempre più digitale, il rapporto tra discipline in apparenza lontane ma che proprio insieme sviluppano conoscenza, l’importanza di coinvolgere la comunità in un’ottica di inclusione e accessibilità – fisica, intellettuale ed economica – di un patrimonio che deve essere vissuto come di tutti noi.

LA CULTURA E' DI TUTTI

Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, proponiamo un estratto:

di Paola Dubini

Il titolo di questo libro è un invito a considerare la cultura un’opportunità per tutti di allargare il proprio ambito di immaginazione; se sostituiamo all’espressione «bisogno di cultura» l’espressione «desiderio di cultura», i rischi di esclusione e di autoesclusione risultano ridimensionati. In una prospettiva economica questo cambio di ottica aiuta a considerare alcuni elementi di specificità della cultura, capaci di spiegare la difficoltà che la cultura incontra a essere capita e agita per quello che è: una risorsa di tutti e per tutti.

Innanzitutto, parliamo di un bene semipubblico, la cui fruizione può non determinare rivalità nel consumo: se godo della bellezza di un monumento dalla cima di una collina, anche altri possono godere dello stesso piacere. I beni semipubblici sono spesso dati per scontati: come ci preoccupiamo della qualità dell’aria solo quando diventa irrespirabile, così ci preoccupiamo dei destini dei libri preziosi solo dopo le alluvioni che li hanno irreparabilmente danneggiati. In fase preventiva la schiera di chi sostiene l’inutilità dell’investimento in conservazione è folta; nella tristezza della perdita l’utilità appare altissima, ma l’investimento nella ricostruzione delle case e nel ripristino delle attività economiche è comprensibilmente più urgente e di maggiore utilità immediata. Abbiamo quindi bisogno di uno sforzo collettivo da un lato per attivare la consapevolezza dell’importanza della cultura e dall’altro per costruire «automatismi di pratica quotidiana» nei consumi e negli investimenti. Non mettiamo in discussione la necessità di lavarci i denti tutti i giorni e lo facciamo non solo per la piccola sensazione di benessere individuale, ma per un quotidiano sforzo dei nostri genitori quando eravamo bambini, per una serie di investimenti pubblici e privati di educazione all’igiene e al consumo di prodotti dedicati e così via. Allo stesso modo, la consapevolezza del valore – economico e non economico – della cultura deve portarci a condividere la responsabilità della sua importanza e lo sforzo di agirla, come pratica, come partecipazione, come conservazione e valorizzazione, come produzione, come consumo.

La cultura, infatti, è un bene di esperienza: la sua qualità, il suo valore, le sue caratteristiche (e quindi anche la sua utilità) non sono evidenti fino a quando non li si sperimenta con l’uso. Ne derivano due conseguenze: la prima è che dobbiamo riconoscere la molteplicità delle forme in cui la cultura si dispiega e accettarle come tali (ne parleremo nel primo capitolo) e moltiplicare le occasioni di sperimentazione: ciascuno di noi può essere «agganciato» da qualcosa di diverso. Occorre quindi guardare con attenzione all’intersezione fra pratica, produzione e partecipazione culturali, perché è da questo incrocio che si può allargare lo spazio del «possibile per tutti» e rendere così la cultura «di tutti». Inoltre, come spesso accade con i blind dates, non è detto che la prima esperienza con la cultura sia foriera di relazioni profonde e durature: e quindi occorre prestare grande attenzione a come progettare i luoghi di cultura da una parte e a come fare in modo che organizzazioni culturali e altre organizzazioni (per esempio le scuole) lavorino di sponda per avvicinare, coinvolgere e far crescere il desiderio di cultura, affinché diventi pratica quotidiana e diffusa.

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La seconda conseguenza è che chi conosce il valore della cultura, chi la pratica, chi la incoraggia, chi la consuma non è un insieme di comunità di panda, ma l’ossatura della nostra società civile. In questa prospettiva, la sommatoria di piccole nicchie ha effetto moltiplicativo: avere dieci frequentatori di biblioteche in più in un paese aumenta in modo più che pro porzionale a livello individuale la curiosità, la voglia di conoscere, di fruire più cultura, e a livello collettivo la qualità e la solidità del capitale sociale. Ci torneremo nel secondo capitolo. Se ci limitiamo a osservare la singola nicchia, siamo tentati di considerarla piccola e povera cosa, dimenticando l’insieme: siccome molti prodotti e attività culturali sono fruiti da pochi, è facile che la voce che sostiene l’inutilità della cultura si senta forte e chiara rispetto alla voce di chi ne riconosce l’importanza e il valore.

La cultura è altresì bene di merito, e quindi il beneficio percepito non è necessariamente completamente riconosciuto al momento della fruizione. Come avviene nel caso dell’istruzione, la fruizione della cultura non genera percezione di beneficio immediato, ma dal punto di vista della collettività alti livelli di istruzione e di consumi culturali generano utilità collettiva; c’è quindi bisogno che il sistema attorno a chi la cultura la fa (scuole, famiglie, enti pubblici, imprese) rinforzi il valore positivo dell’esperienza. E, quanto più l’esperienza della cultura è abitudine, tanto meno si pone il problema della valutazione del beneficio percepito. Per contro, come per altri beni di merito, il mancato riconoscimento del valore ad esso connesso determina costi individuali e sociali.

Infine, in quanto credence good, i beni e le attività culturali sono difficili da valutare nella loro qualità e utilità anche dopo l’acquisto o la fruizione. Per questo però esistono i critici e le comunità accademiche, per questo riconosciamo un valore alla reputazione di singole istituzioni e usiamo il marchio dell’istituzione come segnale di qualità, come faremmo per i marchi delle imprese. Tuttavia, un conto è riconoscere una stratificazione di qualità, di complessità e di sofisticatezza dell’offerta culturale, altra cosa è pensare che la cultura sia inavvicinabile o peggio da precludere ad alcune categorie di persone.

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Affermare che la cultura è di tutti è riconoscere la cultura come un diritto e una possibilità da offrire a ciascuno affinché sia còlto da meraviglia, stupore, curiosità in modo anche casuale e da questa prima scintilla possa partire il desiderio di sapere di più, di scovare altro o semplicemente di essere affascinato. La teoria dei bisogni va integrata con una teoria dei desideri e occorre riconoscere che il ruolo della cultura è più ricco di significato e di valore di quanto la teoria dello scambio lasci intuire. Se ci mettiamo in questa prospettiva, scavalchiamo il problema legato al fatto che chi non pratica la cultura difficilmente ne sente il bisogno: chi più potrebbe trarre beneficio dalla cultura fa più fatica a essere avvicinato perché difficilmente ha una famiglia, degli amici, un contesto che lo invitano a provare. Inevitabilmente si autoesclude e viene escluso, in un pericoloso circolo vizioso.

In questo dialogo proveremo a dare significato all’espressione «la cultura è di tutti» riflettendo sul perché si tratta di un’affermazione carica di promesse e su alcune conseguenze di cui è portatrice. Non solo «la cultura» è di tutti, ma «il dibattito sulla cultura» deve interessare tutti, perché la cultura è incredibilmente importante; il fatto che manchi regolarmente nelle conversazioni strategiche – a livello politico, economico-finanziario, in termini di welfare e nelle conversazioni fra amici – è una stortura alla qua le dobbiamo porre rimedio. Di qui, il senso di questa conversazione fra due persone di estrazione, età, genere, percorso professionale diversi, ma con un comune sentire sul valore profondo della cultura per ciascuno di noi e per la società nel suo insieme.

(continua in libreria…)

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