Tra i protagonisti dei saggi del filosofo Silvano Petrosino raccolti in “La verità della finzione” troviamo grandi della letteratura come Conrad, Manzoni, Kafka, Joyce e Yourcernar – Su ilLibraio.it pubblichiamo la riflessione dal titolo “Céline: vita, verità e allucinazione”: “Il senso della scrittura celiniana è così delineato: si tratta di raccontare, non la realtà, ma ‘l’allucinazione provocata dalla realtà’, e di raccontarla senza far evaporare il suo carattere allucinatorio; si tratta di ‘raccontare i nostri deliri’ mediante una scrittura che sia all’altezza dei deliri stessi…”
L’esperienza umana, l’esclusivo modo di esistere delle donne e degli uomini, non coincide mai con la semplice vita, ma è frutto dell’intrecciarsi di segni, sogni, simboli, fantasmi, paure, rimorsi, aspettative, immaginazioni, speranze, illusioni, propositi, sensi di colpa… che accompagnano come un’ombra ogni istante del vivere.
Parlare di questa trama aggrovigliata e densa, e della sua logica eccentrica che pure governa il vissuto più profondo, è un’impresa temeraria. Eppure c’è un segmento dell’espressione umana che non si tira indietro di fronte al compito di rispondere a questa esigenza insopprimibile di senso. È la grande letteratura, che presta la propria voce per dire qualche verità su quel tratto umano distintivo spesso assente nei discorsi della scienza, forse anche perché non riducibile totalmente ad essi. E lo fa ricorrendo al suo strumento più raffinato: la finzione, unico e peculiare modo di parlare del segreto dell’essere umano, di far emergere e salvaguardare le testimonianze relative a ciò che dell’umano è l’essenziale.
A questa modalità di espressione si accosta il filosofo Silvano Petrosino, dedicando i saggi raccolti in La verità della finzione (Vita e Pensiero) a opere di grandi autori, da Céline a Conrad, da Manzoni a Kafka, da Joyce a Yourcernar.
Petrosino, professore di Teoria della comunicazione e Antropologia religiosa e media all’Università Cattolica di Milano, autore di numerosi saggi, come Il desiderio – Non siamo figli delle stelle (2019) e Le fiabe non raccontano favole – Una difesa dell’esperienza (2023) – presta ascolto a quella parola letteraria che insiste nel testimoniare l’irriducibile appello di interrogativi già lanciati da Nietzsche: che cosa abbiamo veramente vissuto? Chi siamo noi in realtà?
L’appuntamento a Bookcity Milano – Venerdì 15 novembre, alle 18, la Biblioteca Ostinata (Milano, via Osti n.6) ospiterà l’incontro su Donne vittime tra guerra e pace: Molly e Gertrude, con Silvano Petrosino e Caterina Paolinelli. Qui i dettagli.
Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, proponiamo uno dei saggi:
Céline: vita, verità e allucinazione
Uno dei tratti essenziali della poetica di Céline è il costante richiamo a ciò che si può definire la «verità della vita». In questo richiamo, che nello scrittore francese finisce per trasformarsi in una vera e propria ossessione, emerge con forza il desiderio di smascherare e di opporsi a ciò ch’egli ha definito la «menzogna permanente» del vivere sociale:
[…] nessun regime resisterebbe a due mesi di verità. Parlo del sistema marxista, così come dei nostri sistemi, borghesi e fascisti. Perché l’uomo non può sopravvivere in nessuna di queste forme sociali, totalmente brutali, tutte masochiste, senza la violenza di una menzogna permanente e sempre più massiccia, ripetuta, frenetica, «totalitaria» come noi la definiamo.
L’intreccio tra «vita» e «verità», o meglio: l’urgenza di non tradire la verità della vita attraverso la scrittura che è chiamata a renderle testimonianza, è al centro della riflessione dello scrittore sulla pratica letteraria. A coloro che vogliono ad ogni costo elargire saggezza e/o diffondere un edificante messaggio per un futuro migliore, a coloro che vogliono trastullarsi con l’ideale della cultura e con il ruolo dell’intellettuale, Céline oppone insistentemente il richiamo alla «vita così come si presenta», in tutta la sua «immane concretezza».
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Cosa conta il mio libro? Non è letteratura. È vita, la vita così come si presenta. La miseria umana mi sconvolge, fisica o morale che sia. È sempre esistita, d’accordo; ma un tempo la si offriva a un Dio, qualunque esso fosse. Oggi il mondo è pieno di miserabili, e la loro angoscia non ha più alcun senso. La nostra epoca, del resto, è un’epoca di miseria senz’arte; una cosa penosa. L’uomo è nudo, spogliato di tutto, anche della fede in sé stesso. Il mio libro è questo.
La vita dunque, io la tengo fra le mie due mani, con tutto quello che so di lei, tutto quello che si può immaginare, che avremmo dovuto vedere, che abbiamo letto, del passato e del presente, mica troppo dell’avvenire (niente fa divagare più dell’avvenire), tutto quel che dovremmo sapere, le signore che abbiamo baciato, tutto quanto abbiamo trovato; la gente, quello che ha saputo che sapevamo, quello che vi hanno fatto; la falsa salute, le gioie defunte, i motivetti in via d’estinzione, tutto quel poco di vita che ancora nascondono, e il segreto della cellula in fondo al rene, che vuole lavorar bene per quarantanove ore, non di più, per poi la sciar passare la sua prima albumina del ritorno a Dio… Sì… Sì… Mi capite? Mi seguite?
Tuttavia, la «vita» a cui fa riferimento Céline non è quella studiata dal biologo o dal naturalista, non è la «nuda vita», ma è la vita vestita/abitata del soggetto, è la vita inquietata dal particolare modo d’essere di un uomo la cui singolarità è quella del soggetto e non quella dell’individuo; si tratta dunque di andare al di là di ogni realismo ingenuo, di ogni banale naturalismo, per tentare di non tradire l’«esperienza integrale» del soggetto umano, un’esperienza che è sempre abitata da sogni, simboli, fantasie, fantasmi, allucinazioni ecc. Carlo Bo, dopo aver ricordato l’affermazione di Gide secondo la quale «la realtà che Céline descrive è l’allucinazione provocata dalla realtà», osserva:
Céline non sa raccontare altro che quello che ha visto, ma che rapporto c’è fra la prima realtà e il resoconto che ne dà? Non c’è dubbio che si tratta di un contatto ridotto al minimo, dal momento che per Céline uno dei diritti dello scrittore è proprio quello di trasformare in sensazione, in reazione il dato di fatto […] Che cosa avrebbe fatto Céline senza il soccorso di queste allucinazioni? La sua sarebbe stata una letteratura di tipo naturalista e forse avrebbe alla fine toccato le sponde delle normali conclusioni morali. Neppure la protesta organizzata, neppure una proposta concreta di riforma, tutt’al più un Céline non allucinato sarebbe arrivato a una forma di pietismo, di facile e convenzionale commozione .
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A tale riguardo è significativo che lo scrittore francese, che nella sua vita ha sempre esercitato la professione di medico, riferendosi al Dott. Semmelweis, osservi:
Semmelweis era evaso dal caldo rifugio della Ragione, in cui si ritira da sempre l’enorme e fragile potenza della nostra specie nell’universo ostile […] Attorno a lui, il reale, il banale, si aggiungevano ancora all’assurdo per un malefizio del suo spirito senza più limiti. I tavoli, la lampada, le sue tre sedie, la finestra, tutti questi oggetti, i più neutri, i più abituali della sua vita quotidiana, si circondavano di un alone misterioso, di una luce ostile, non c’era più sicurezza ormai in quella grottesca fluidità in cui si liquefacevano i contorni, gli effetti e le cause. In quella stanza proiettata dal pazzo fuori dallo spazio e dal tempo, ritornarono i visitatori fantastici.
Ora, è proprio nel passaggio dalla «nuda vita» alla «vita vestita/abitata» dall’uomo, passaggio all’interno del quale gli «oggetti più neutri» vengono circondati da un «alone misterioso», è proprio qui che emerge, ad avviso di Céline, la giustificazione stessa della letteratura:
Già Zola aveva bisogno di un certo eroismo per mostrare agli uomini del suo tempo qualche allegro quadro di realtà. La realtà di oggigiorno non sarebbe permessa a nessuno. A noi, dunque, i simboli e i sogni! Tutti i transfert che la legge non raggiunge, non raggiunge ancora! Poiché, infine, è nei simboli e nei sogni che passiamo i nove decimi della nostra vita, giacché i nove decimi dell’esistenza, cioè del piacere vivo, ci sono ignoti, o vietati. Daranno la caccia anche ai sogni, un giorno o l’altro. Una dittatura inevitabile […] Tocchiamo la meta di venti secoli di grande civiltà, eppure nessun regime resisterebbe a due mesi di verità;
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[…] se dunque la letteratura ha una sua giustificazione, è quella di raccontare i nostri deliri. Il delirio, non c’è altro! e attualmente il nostro grande maestro, il maestro di tutti noi, è Freud.
Il senso della scrittura celiniana è così delineato: si tratta di raccontare, non la realtà, ma «l’allucinazione provocata dalla realtà», e di raccontarla senza far evaporare il suo carattere allucinatorio; si tratta di «raccontare i nostri deliri» mediante una scrittura che sia all’altezza dei deliri stessi; si tratta di raccontare senza ingannare (riemerge l’istanza di verità più sopra sotto lineata), senza falsificare, evitando la violenza di quella «menzogna permanente» che impedisce di riconosce re i sogni e i simboli nei quali l’uomo trascorre i nove decimi della propria vita e che per questa ragione costituiscono la carne stessa del suo vissuto soggettivo:
[…] la vera originalità dell’arte di Céline consiste com’è noto nella violenta deformazione, disgregazione e ricomposizione dei materiali verbali, consiste nei ritmi inauditi in cui vengono ridistribuiti. Non è l’impressionismo del ricordo che Céline vuole ricreare, perché il ricordo ha la tendenza ad organizzare i suoi dati in filosofia, in ammaestramento, in Storia, per renderli nuovamente utilizzabili. Céline, che detesta le metafore, i simboli, le deduzioni speculative, abolisce il ricatto del flusso temporale, e mira all’emozione di un eterno presente, così come, sollevandosi sulle punte, la ballerina abolisce la forza di gravità, e si libra sulla cresta dell’attimo.
Per non mentire, dunque, vale a dire per non tradire la verità della vita e le allucinazioni del vissuto, Céline sceglie di procedere ad una «violenta deformazione» delle strutture linguistiche, cercando in questo modo di passare da «fuori» a «dentro»:
Abbiamo ancora il diritto, senza ridicolaggini, di far figura re nei nostri scritti una Provvidenza qualsiasi? Bisognerebbe avere una fede robusta. Tutto diventa più tragico e più irrimediabile man mano che si penetra di più nel destino dell’uomo. Man mano che si cessa di immaginarselo per viverlo così com’è realmente… […] Le parole di oggigiorno, come la nostra musica, vanno più lontano che al tempo di Zola. Noi in questo momento lavoriamo con la sensibilità, e non più con l’analisi, insomma «dal di dentro».
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Ecco così emergere un altro tema sul quale lo scrittore francese non si è stancato di insistere: lavorare con la sensibilità e non più con l’analisi è difficile e soprattutto faticoso. Si tratta di un duro e incerto lavoro che smentisce quella retorica spiritual-intuizionistica dell’«emozione interiore» e del «talento artistico» così cara a coloro che idolatrano l’«ispirazione creatrice»:
– Il fatto di scrivere la rende felice? – Nient’affatto, per niente, proprio per niente, ne farei benissimo a meno, ne farei a meno perché mi fa male, lo so come medico, è un disastro, mi uccido semplicemente, e mi dispiace, preferirei andare nei musei e vedere cose belle, andare in campagna […] lo si fa solo a prezzo di uno sforzo terribile, perché il foglio di carta non lo vuole, non lo vuole…
[…] Socrate diceva che il linguaggio scritto è sempre cattivo e che il solo linguaggio parlato ha valore, e c’era del vero in questo. Io sono più radicale, cerco di far passare il linguaggio parlato nello scritto. Ci sono arrivato in una certa misura, e credo abbastanza bene, sì, abbastanza bene. Ma questo si ottiene solo a prezzo di un terribile sforzo, che consiste nel sorvegliare veramente ottantamila pagine, fare ottantamila pagine per arrivare a una sola riga.
[…] se non mettete in gioco la pelle non otterrete niente, bisogna pagare! Ciò che si fa gratis è perso e anche più che perso, otterrete degli scrittori gratuiti. Attualmente avete solo scritto rigratuiti, e ciò che è gratuito puzza di gratuità […] Capisca, il vizio di questa civiltà, di questa piccola imitazione della civiltà greca è che vuole fare tutto molto in fretta […] Comprende? Una questione che si risolve in dieci minuti, mentre in verità una novità è questione di cinquecento anni, di mille anni.
nota: nella versione qui pubblicata del saggio non sono proposte le numerose note, presenti invece nel testo originale
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Fotografia header: Silvano Petrosino nella foto di Franco Lombardo