Un’indagine dei meccanismi attraverso i quali le opere d’arte (dalla letteratura alla performance, dalla musica alla fotografia) creano un legame empatico con il male e, contemporaneamente, dei modi in cui funziona la nostra risposta emozionale di fronte a scene, situazioni, atmosfere, motivi o personaggi negativi. Che ci permettono, tuttavia, di stabilire un rapporto empatico. Alla scoperta di un saggio sorprendente, “Empatia negativa. Il punto di vista del male” di Stefano Ercolino e Massimo Fusillo

La morte della piccola Nell, ne La bottega dell’antiquario, è sicuramente una delle più note e icastiche dell’universo dickensiano, probabilmente anche in virtù delle reazioni che suscitò nel pubblico: Charles Dickens ricevette una mole di lettere che lo imploravano di risparmiare la piccola Nell o lo accusavano di essere un mostro per averla fatta morire.

Molta della narrativa di Dickens è costruita per volutamente suscitare l’empatia nei suoi lettori e nelle sue lettrici, eppure nulla vieta che quella scena sia fruita in maniera tutta opposta: Aldous Huxley ne faceva un esempio di “volgarmente sentimentale” (nella raccolta di saggi Vulgarity in Literature) e Oscar Wilde sembrerebbe aver affermato che “bisogna avere un cuore di pietra per leggere la storia della piccola Nell senza piangere dal ridere”. Erano altri tipi di morti, non a caso, che commuovevano Wilde: “Una delle più grandi tragedie della mia vita è stata la morte di Lucien de Rubempré”.

Il nostro rapporto con le opere d’arte, d’altronde, è mosso da un complesso rapporto emozionale, di cui l’empatia positiva è solo una parte, forse la più appariscente, ma non di certo l’unica: in un libro importante degli anni Ottanta, Franco Brioschi notava che “se interpretare un simbolo è sempre un’attività intellettuale, le emozioni che riceviamo dal testo letterario o che gli prestiamo sono, precisamente, la sostanza in cui prende corpo il suo significato”.

Empatia negativa Il punto di vista del Male

E proprio a questo rapporto fra attività emozionale e significato dell’opera d’arte, anche e forse soprattutto grazie alla spinta degli studi neuro-cognitivi, sono stati dedicati molti studi recenti, coinvolgendo, non di rado, la dimensione etica, eppure ci si è concentrati soprattutto sull’aspetto positivo e pro-sociale delle emozioni e, in particolare, sull’empatia.

La capacità di immedesimazione e di empatizzazione positiva, negli ultimi anni, sembrano essere diventate uno dei più comuni criteri di valore non dichiarati per giudicare le opere. Eppure, le nostre risposte emozionali sono molto più complesse e sfaccettate, l’arte può, e spesso ha, una funzione destabilizzante: si può benissimo empatizzare molto più facilmente con il Lucien balzacchiano che con Little Nell, o con Humbert Humbert di Lolita, con Walter White di Breaking Bad, con Maximilien Aue de Le Benevole di Littell.

Proprio a questo problema è dedicato Empatia negativa. Il punto di vista del male di Stefano Ercolino e Massimo Fusillo (Bompiani), all’indagine, cioè, dei meccanismi attraverso i quali le opere d’arte (dalla letteratura alla performance, dalla musica alla fotografia) creano un legame empatico con il male e, contemporaneamente, dei modi in cui funziona la nostra risposta emozionale di fronte a scene, situazioni, atmosfere, motivi o personaggi negativi che ci permettono, tuttavia, di stabilire un rapporto empatico.

Ercolino e Fusillo si muovono su un duplice piano: da un lato la serrata discussione estetologica sull’empatia negativa, che ridiscute diverse categorie fondamentali della storia dell’estetica: l’identificazione, la catarsi, la repressione freudiana, il concetto di distanza, la comunicatività, la Stimmung, la sympathy settecentesca, etc.; dall’altro la dimensione teorica è messa alla prova di casi di studio tratti da ambiti diversi e contestualizzati all’interno di percorsi tematici: una delle sfide, e dei punti di interesse maggiore, di questo libro è infatti proprio il tentativo di adattare e ridiscutere, di capitolo in capitolo, il concetto di empatia negativa all’interno di uno spazio e di un immaginario intermediale, perché è chiaro che il modo in cui empatizziamo con un romanzo non è necessariamente la stessa esperienza estetica generata da una performance, da un happening, da una rappresentazione teatrale, da un dipinto, da un film, da una fotografia o dalla musica.

Di fronte a un panorama così variegato è proprio il concetto di “esperienza estetica” a fare da collante e in grado di riportare nel dibattito teorico un elemento fondamentale, e tuttavia molto spesso dimenticato dagli studi recenti, vale a dire quello di “piacere estetico”.

Si tratta quindi, per Ercolino e Fusillo, di individuare delle specificità degli oggetti estetici che stabiliscano una maniera diversa di porci moralmente nei loro confronti, d’altronde, “la quantità di tempo che ‘trascorriamo’ con Nikolaj Stavrogin leggendo I demoni di Dostoevskij”, scrivono Ercolini e Fusillo, “è incomparabilmente maggiore del tempo che presumibilmente trascorreremo con un vero criminale, o con un individuo immorale”. La distanza, dunque, e la maggior conoscenza del contesto delineano un tipo diverso di risposta in grado di attivare l’empatia negativa, proprio perché si tratta, nelle parole degli autori, di “un’esperienza estetica” che consiste “in un’empatizzazione catartica di personaggi, figure, performance, oggetti, composizioni musicali, edifici e spazi connotati in maniera negativa e seduttiva in modo disturbante, o che evocano una violenza primaria destabilizzante, capaci di innescare una profonda angoscia empatica nel fruitore”.

Vanno subito segnalati due elementi fondamentali e tutt’altro che ovvi: il processo di empatizzazione non riguarda solamente i personaggi, ma è molto più complesso e può coinvolgere l’inanimato (fino al feticismo), il non-umano, l’immateriale, un’atmosfera, uno stile, una situazione narrativa, o un’esperienza performativa che richiede un diretto coinvolgimento corporeo del fruitore; questo tipo di esperienza estetica, inoltre, è neutra in termini di agency: può condurre, cioè a comportamenti diversificati, sia pro- che antisociali.

Ercolino e Fusillo descrivono nel dettaglio il funzionamento del processo di empatizzazione, mettendo a punto delle utili categorie di indagine e analisi che guardano costantemente al modo in cui gli oggetti estetici sono concretamente formati, segnalando continuità e cesure storiche (da Medea alla serialità televisiva, passando per i personaggi satanici premoderni e alla definizione di un villain dalla profonda caratura psicologica nella letteratura moderna) e offrendo alcune bellissime letture, come quella del Martirio di San Matteo di Caravaggio o del Macbeth di Verdi.

Particolarmente interessante è il capitolo dedicato al BDSM, letto, insieme all’empatia negativa, come una “pratica catartica”, un’esperienza, potenzialmente queer e sovversiva, “che sovverte il potere, trasformandolo in un gioco e in una performance” e ci mette in confronto con quella “energia negativa” che torna a più riprese nel saggio di Ercolino e Fusillo, con le “pulsioni (auto)distruttive, con l’aggressività, e con il desiderio di annullarsi, reificarsi, diventare inorganico”. Tutti questi elementi vengono riscontrati nell’opera di Robert Mapplethorpe, uno dei più affascinanti fotografi degli anni Settanta, e in particolare nel suo Portfolio X, un insieme di scatti che raffigurano l’esperienza BDSM colta dal suo interno: le foto di Mapplethorpe sono così indagate attraverso la specificità della loro composizione: la preferenza per il dettaglio (elemento stilistico che per associazione rimanda alle pratiche fetish), il gioco di luci e ombre, la caratterizzazione dei volti, tutti aspetti che permettono al fruitori di empatizzare con tutto il processo concluso, che può essere solamente immaginato dallo spettatore attraverso la risposta emozionale che le foto richiedono (anche le immagini, d’altronde, spiegano Ercolino e Fusillo parlando della pittura, possiedono un’agency).

Agency, processo, attività, esperienza: sono termini che tornano spesso in Empatia negativa, probabilmente per voler focalizzare l’attenzione sulla complessità della fruizione estetica, non riconducibile a pochi elementi fissi o facilmente indirizzabili, e che pure non si giova di una libertà indiscriminata: allora uno dei meriti principali di questo libro è di aver voluto, implicitamente, riportare una specificità formale (porosa, labile, attraversabile quanto si vuole) e dialettica all’interno di un dibattito est-etico che molto spesso rischia di farsi appiattito e monodirezionale.

Scopri le nostre Newsletter

Iscrizione alla Newsletter
Il mondo della lettura a portata di mail

Notizie, approfondimenti e curiosità su libri, autori ed editori, selezionate dalla redazione de ilLibraio.it

scegli la tua newsletter Scegli la tua newsletter gratuita

Libri consigliati

Abbiamo parlato di...