Don Paolo Alliata esplora sentieri narrativi per raccontare il mondo biblico ai piccoli (e non solo). Scrive testi teatrali, anche di taglio umoristico, per parlare di Antico e Nuovo Testamento. Autore di “Dove Dio respira di nascosto” e “C’era come un fuoco ardente”, su ilLibraio.it riflette su questa Pasqua che trascorreremo in modo diverso dal solito, nelle settimane della quarantena forzata. Citando, tra gli altri, Oscar Wilde e Mariangela Gualtieri

Quando il Gigante torna dalla sua visita all’amico orco scozzese, vede nel suo giardino bambini che giocano.

“Che cosa state facendo qui?” Urlò con tono molto duro, ed i bambini scapparono via. “Il mio giardino è il mio giardino”. Dunque costruì un alto muro intorno ad esso, e vi mise sopra un cartello.

La fiaba di Oscar Wilde, con le sue mura alte e chiuse, dà forma di racconto a quel che già sappiamo in molti modi. Nelle culture antiche il Paradiso è un gran giardino, ma stretto tra le mura del “mio!” raggrinzisce in fretta in un Inferno.

È evidente: il nostro è un tempo di muri. Vengon su come croste sul vecchio continente. Il prurito di tener stretto quel che temo voli via lascia libere le dita solo per innalzar difese.

E poi il Gigante scopre quanto morde il lungo inverno.

“Non capisco come mai Primavera tardi tanto ad arrivare”, disse il Gigante Egoista, mentre stava seduto di fronte alla finestra guardando il suo giardino freddo e bianco. “Spero che cambi presto il tempo”.

Ma chissà che in cuor suo non cominci a capire: l’incantesimo ha a che fare con quel “mio!”. Non c’è anzitutto da sperare, quel che si deve fare è cambiar vita. Primavera se ne sta lontana: “E’ troppo egoista”, dice del Gigante.

Prigionieri della compulsione che ci fa sentire vivi, quando invece è il primo passo verso la prigione. Quella strana compulsione Rilke la descrive in una delle sue lettere dalla Francia:

“Si percepisce d’un tratto che in questa immensa città ci sono eserciti di malati, armate di moribondi, popoli di morti […] proprio a Parigi, dove l’istinto vitale è più forte che in qualsiasi altro luogo. Ma l’istinto vitale è la vita? No, vivere è qualcosa di calmo, ampio, semplice. L’istinto vitale è furia e caccia. Istinto di possedere la vita, subito, tutta, nell’arco di un’ora. Di questo Parigi è così piena e per questo così vicina alla morte” (Rilke, Epistolario).

L’istinto vitale, di possedere la vita subito tutta nell’arco di un’ora. Oppure, come nel giardino del Gigante, di contenerla tutta nello spazio di un recinto. Quella furia egoista e frettolosa fa ammalare. Non è vita. È solo la soffocante ansia di non morire.

L’Europa che si trincera dietro i muri lascia sempre meno spazio ai bambini. Nel racconto di Oscar Wilde il bimbo è l’immagine delle silenziose, nuove forze della vita: non quelle prepotenti ed ossessive del “mio!”, ma quelle del gioco condiviso, dell’immaginazione creativa, del coraggio, della gioia grata di stare al mondo. I muri tengon fuori la parte coraggiosa.

Il Gigante lo intuisce. Noi lo sapevamo. I muri alti, il filo spinato, i porti chiusi. “Il mio giardino è il mio giardino”. Mancava l’aria. Anche nella comunicazione, nell’informazione, nei confronti sui tavoli della politica. La cultura languiva nell’affanno. Rabbia e solitudine affilavano le armi.

E poi sorse il canto del fringuello.

Una mattina, mentre era disteso sul letto, il Gigante udì una musica incantevole.

E vien fuori che quel sospiro di musica incantata è penetrata grazie ad una breccia. “Una piccola crepa nel muro”, e i bambini sono fluiti sopra i rami. Ho sempre letto nella breccia il segno della misteriosa forza della Vita, quella calma ampia e vitale di cui scrive Rilke, quella che non è ripiegata su se stessa nella furia della caccia e della fretta. La Vita trova il suo sentiero per entrare tra gli anfratti più tenaci di ogni cuore.

Ma in queste settimane mi son sorpreso a pensare che la breccia si sia aperta dall’interno. Che l’insopportabile solitudine del Gigante, il suo dolore erompendo dal profondo, sia debordata al di fuori del recinto, liberando uno spazio di respiro.

Mariangela Gualtieri, da par suo, ha dato parole alle mie impressioni:

Questo ti voglio dire
ci dovevamo fermare.
Lo sapevamo. Lo sentivamo tutti
ch’era troppo furioso
il nostro fare. […]
E poiché questo
era desiderio tacito comune
come un inconscio volere –
forse la specie nostra ha ubbidito
slacciato le catene che tengono blindato
il nostro seme. Aperto
le fessure più segrete
e fatto entrare.
[…] Qualcosa in noi ha voluto spalancare. […]

Il canto del fringuello ha per noi, così ammalati, dovuto prendere la forma di un virus. Una parola che, nell’etimo, rimanda alla tossina. Per destarci, la Vita ha dovuto far breccia prendendo la consistenza di un canto velenoso. Più che volare, stavolta ha serpeggiato nel giardino. Questa volta il Gigante si risveglia senza letizia. Ma la cosa decisiva è che si svegli.

Nel giardino il Gigante scende e vede un bimbo. Presenza misteriosa.

Ai nostri sensi sbigottiti quel mistero richiama ciò che Rilke riferisce all’Inatteso:

Perché sono gli attimi in cui qualcosa di nuovo si è fatto strada dentro di noi, qualcosa che non conosciamo; i nostri sentimenti ammutoliscono in una timorosa sottomissione, tutto indietreggia dentro di noi, si crea un silenzio, e ciò che è nuovo, che nessuno conosce, si trova là, nel centro, e tace […] (Lettere a un giovane poeta)

Il Gigante solleva il bimbo all’albero, e il suo gesto fa esploder Primavera. Quali gesti dovremo disegnare perché il nostro ammutolito sgomento, la nostra timorosa sottomissione, maturi in un modo più sapiente di stare nel giardino?

IL LIBRO – In C’era come un fuoco ardente (Ponte alle Grazie), immergendosi nelle Scritture, attraversando il cinema, la letteratura, la tradizione popolare, l’arte, don Paolo Alliata ci invita a squarciare il velo della banalità e a fidarsi della forza delle domande. Anche di fronte alla paura del diverso, alla violenza del giudizio, alla solitudine della morte. Viviamo pervasi da “silenziose forze” che ci fanno rimpiangere e soffrire, amare e disperare, forze che solo noi possiamo accogliere e trasformare, tenendo viva la bellezza, aprendo all’imprevisto, all’esplosiva fioritura dell’immaginazione. Quella che si oppone all’ottusità del potere e cerca ostinatamente la grazia per le strade, tra i libri, negli scantinati della nostra anima, tra le pieghe di una società avida e triste, perfino nella leggerezza dolce dell’effimero.

L’AUTORE  – Paolo Alliata nasce a Milano nel 1971. Si laurea in Lettere Classiche all’Università degli Studi di Milano, con una tesi su Simeone, il primo stilita della storia cristiana. Ordinato prete nel 2000, esplora sentieri narrativi per raccontare ai piccoli il mondo biblico. Scrive testi teatrali, anche di taglio umoristico, per raccontare Antico e Nuovo Testamento (quattro dei copioni sono pubblicati in E Dio disse: «Su il sipario!», ed. Centro Ambrosiano). Un testo teatrale diventa racconto illustrato da Carla Manea (Io a Gesù bambino non ci credo mica!, Valentina Edizioni – Centro Ambrosiano). I racconti teatrali sono una via che percorre spesso, scrivendoli e interpretandoli, grazie alla collaborazione di due attori di professione, Alessandro Castellucci e Patricia Conti. Coinvolge ragazzi, giovani e adulti nella stessa passione, attivando gruppi di teatro per le varie fasce di età. Percorre anche la via degli audio-racconti: accompagna i piccoli dentro le vicende di re Davide e del racconto di Natale. Collabora con l’Ufficio Catechesi della Diocesi di Milano scrivendo e realizzando, con Alessandro Castellucci e Patricia Conti, audio-racconti sulle vicende bibliche. Con Ponte alle Grazie ha già pubblicato Dove Dio respira di nascosto.

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