Su ilLibraio.it il capitolo (dal titolo “Il dibattito avvelenato”) da “Un giorno senza fine – Storie dall’Ucraina in guerra”, libro-reportage di Annalisa Camilli

Il 24 febbraio 2022, la Federazione Russa invade l’Ucraina. All’improvviso l’Europa si risveglia in guerra. Si scontrano due Stati già in conflitto da otto anni, anche se tutti sembravano averlo dimenticato. Torna il fantasma della guerra fredda e il timore di un’escalation nucleare globale.

La guerra viene subito raccontata in diretta da migliaia di giornalisti di tutto il mondo, ma l’opinione pubblica è travolta da analisi geopolitiche, violenti scontri di opinione e contrapposizioni ideologiche, che si concentrano più sull’opportunità dell’invio di armi e del sostegno a Kiev che sulla situazione sul campo e le sue conseguenze.

Mentre la presunta “guerra lampo” si trasforma – con le parole di un civile ucraino – in “un unico giorno senza fine”, da Kiev Annalisa Camilli, giornalista di Internazionale nata a Roma nel 1980, raccoglie le storie di chi ha perso i familiari nei bombardamenti, di chi non è riuscito a scappare, di chi è tornato per combattere e vuole arruolarsi, di chi ha scelto di vivere nel sottosuolo delle città ridotte in macerie o è stato costretto a fuggire. Ma riflette anche sul racconto della guerra e sulle sue retoriche, sulla distanza da tenere quando si descrive la sofferenza degli altri.

Sullo sfondo le strategie militari, i movimenti degli eserciti, i tentativi della diplomazia internazionale, la propaganda e le fake news, mentre al centro rimane la voce di quelli che più di tutti hanno subito le tragiche conseguenze del conflitto: i civili. Il risultato, Un giorno senza fine – Storie dall’Ucraina in guerra, è ora in libreria per Ponte alle Grazie.

Nel corso della sua carriera Camilli ha lavorato (prima di Internazionale) per l’Associated Press e per Rai News24. I suoi articoli sono stati pubblicati da Politico, Open Democracy, The New Humanitarian, Tageszeitung, Rsi e Die Wochenzeitung. Nel 2017 ha vinto l’Anna Lindh Mediterranean Journalism Award, nel 2019 il premio Cristina Matano e nel 2020 il premio Saverio Tutino per il giornalismo. Ha scritto anche La legge del mare (Rizzoli, 2019) sulla campagna di criminalizzazione delle ONG nel Mediterraneo; inoltre, nel 2021 è stata autrice del podcast Limoni sul G8 di Genova, e nel 2022 ha realizzato il podcast Da Kiev, sulla sua esperienza di inviata in Ucraina.

 

Per gentile concessione della casa editrice, pubblichiamo il 22esimo capitolo:

Il dibattito avvelenato

C’è un equivoco che di tanto in tanto inquina il dibattito pubblico. Non è nuovo, ma ogni volta che emerge ha il potere di spargere veleno. È l’idea secondo cui tutte le vittime sono buone, tutte le vittime sono innocenti. Non tutte le vittime sono innocenti, non tutte le vittime ci assomigliano o ci piacciono. Ma ciò nondimeno il grado di civiltà delle nostre società si misura nella protezione che sappiamo offrire alle vittime. Come si può pensare di non raccontare la prospettiva dei civili in questa guerra? Anche se poi questi civili sono molto nazionalisti, hanno delle motivazioni così radicali che ci spaventano e che sembrano alimentare il conflitto. In Italia il dibattito sulla guerra in Ucraina è stato avvelenato da vecchi fantasmi e da una debole considerazione per la realtà, per le persone in carne e ossa e le loro idee incarnate. «È la guerra», hanno commentato in tanti con cinismo di fronte agli orrori delle fosse. Il dibattito avvelenato muni di Buča, altri hanno accusato la stampa internazionale di essere poco obiettiva o embedded. Certo, la violenza radicale caratterizza ogni guerra. Ma anche la guerra ha le sue regole: il principio secondo cui, perfino nello scenario atroce di un conflitto, ci sono dei limiti, dovrebbe essere un punto di partenza acquisito. È il diritto umanitario, e anche questo ha a che fare con il tentativo di limitare i danni quando saltano tutte le regole, definendo alcuni principi fondamentali che si condividono perfino con i nemici. Non torturare, non stuprare, non attaccare gli ospedali e le strutture sanitarie, lasciare operare gli osservatori indipendenti e le organizzazioni umanitarie, non attaccare i civili, non usare armi che hanno effetti indiscriminati. Sono principi fondamentali della nostra cultura giuridica, dovrebbero orientare il nostro sguardo. Eppure…

A due mesi dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, il dibattito pubblico in Italia ha perso ogni limite e anche il senso della realtà. Ci si divide come allo stadio, si mettono in discussione perfino i fatti, la cronaca degli avvenimenti. Non è che non sia auspicabile un dibattito pubblico argomentato sull’opportunità di inviare armi a Kiev, o sul livello di coinvolgimento dell’Italia e dell’Europa nel conflitto, ma per l’appunto quello è il campo delle opinioni che dovrebbero essere fondate sulla conoscenza dei fatti. Una conoscenza obiettiva e completa, aiutata da analisi fredde e informate del contesto. Invece i toni che ha assunto la discussione danno l’idea che la guerra sia già arrivata anche nei nostri paesi, nei contesti in cui invece ci si dovrebbe mantenere lucidi, per sostenere alternative diplomatiche e costruire vie di uscita al conflitto. Come sia possibile pensare che il lavoro di duemila giornalisti arrivati da tutto il mondo per raccontare il conflitto sia manipolato dall’esercito ucraino è difficile da capire, quando sappiamo con certezza che invece all’opposto è impossibile per la stampa operare liberamente e senza censura nei territori occupati dai russi. Ci siamo lamentati per molti anni che il conflitto siriano fosse inaccessibile ai giornalisti, perché troppo pericoloso, e che la guerra fosse raccontata solo da chi era coinvolto con dispacci e video di propaganda. Ora, nella guerra che forse è stata raccontata dal maggior numero di punti di vista, non ci fidiamo dell’indipendenza della stampa. Non è un bel segnale, tra tanti. I racconti dal campo sono sempre incompleti, ma sono indispensabili per fare delle analisi. Più in generale, dopo due anni di pandemia e diversi mesi di guerra, c’è un’insofferenza generale verso tutto quello che è doloroso, angosciante e complesso. Eppure vivere come se niente fosse, rimuovendo gli effetti dell’epidemia e della guerra, non servirà a tenerci al riparo dalle loro conseguenze.

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IL GRUPPO DI LETTURA – Quest’autunno Scuola del libro propone il nuovo progetto “Intervallo”, con le prime due letture condivise, dedicate al romanzo di Andrea Pomella Il dio disarmato (Einaudi) e al saggio di Annalisa Camilli Un giorno senza fine (Ponte alle Grazie). Un’iniziativa online, gratuita e aperta a chiunque, per condividere la lettura dei nuovi libri scritti da docenti della Scuola. Per iscriversi basta prenotarsi mandando una mail a info@scuoladellibro.it.

Il gruppo di lettura dedicato al libro di Pomella sarà moderato da Laura Ganzetti, blogger e instagrammer (iltètostato), e si svolgerà in tre incontri su Zoom, sempre alle ore 19, il 19 settembre, il 13 ottobre e il 20 ottobre.

Il gruppo di lettura dedicato al libro di Camilli sarà moderato da Martina Cera (insegnante, attivista, autrice di Le mappe raccontano il mondo) e si svolgerà in tre incontri su Zoom, sempre alle ore 19, il 28 settembre, il 19 otobre e il 27 ottobre.

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