“Da molto tempo avevo in mente di scrivere qualcosa sugli anni Settanta e sul terrorismo. Sono sempre stato affamato di letture su quel periodo storico. E se molto, anzi, moltissimo, è stato scritto con intento saggistico e documentario, poco è stato prodotto in ambito romanzesco. Mi ha sempre incuriosito la difficoltà che incontra la letteratura italiana contemporanea nel fare i conti con quel trauma nazionale…”. Su ilLibraio.it lo scrittore Andrea Pomella parla della genesi del suo nuovo libro, “Il dio disarmato”, romanzo che unisce al documentario lo stile lirico per raccontare il rapimento di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse e il massacro dei cinque agenti della scorta, e cita autori come Italo Calvino, Javier Cercas e Annie Ernaux

La toponomastica delle strade nasce con un duplice intento: nominare i luoghi e preservare la memoria di coloro a cui sono stati intitolati. Eppure, se chiedessi ai lettori chi era Mario Fani, immagino che in pochi saprebbero rispondere senza prima sbirciare su Wikipedia. Per i più Mario Fani è solo il nome di una via in cui tanti anni fa è accaduto un tremendo fatto di sangue.

Un nome, lasciato a campeggiare su una targa, con la pioggia e sotto il sole, nel lento fluire delle stagioni, progressivamente non rappresenterà più un individuo con la sua storia e le sue azioni memorabili, ma finirà per impersonare nient’altro che quel luogo. L’insidia peggiore che si cela nella toponomastica è proprio questo scivolamento del significante verso un nuovo significato.

Ogni città italiana ha una via o una piazza intitolata ad Aldo Moro. Tuttavia, specialmente per chi è nato dopo il 1978, questo nome ormai non evoca altro che un indirizzo. A uno studente di Roma, con tutta probabilità, a sentir nominare Aldo Moro verrebbe in mente lo slargo di fronte all’ingresso principale de La Sapienza. E se qualcosa gli dovesse sovvenire sarebbe forse un’immaginetta pubblica in bianco e nero, due righe di biografia mandate a memoria negli anni della scuola. Benché dubito che la scuola si occupi di Aldo Moro.

Da molto tempo avevo in mente di scrivere qualcosa sugli anni Settanta e sul terrorismo. Sono sempre stato affamato di letture su quel periodo storico. E se molto, anzi, moltissimo, è stato scritto con intento saggistico e documentario, poco è stato prodotto in ambito romanzesco. Mi ha sempre incuriosito la difficoltà che incontra la letteratura italiana contemporanea nel fare i conti con quel trauma nazionale.

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Una difficoltà che non incontrarono, per esempio, gli scrittori italiani nel secondo dopoguerra. Italo Calvino, nella presentazione che scrisse in occasione della riedizione de Il sentiero dei nidi di ragno, raccontava che dopo la guerra partigiana “scrivere ‘il romanzo della Resistenza’ si poneva come un imperativo”. E ancora: “Ogni volta che si è stati testimoni o attori d’un’epoca storica ci si sente presi da una responsabilità speciale… A me, questa responsabilità finiva per farmi sentire il tema come troppo impegnativo e solenne per le mie forze. E allora, proprio per non lasciarmi mettere in soggezione dal tema, decisi che l’avrei affrontato non di petto ma di scorcio”.

Sono nato nel 1973. Non posso dire quindi di essere stato “testimone o attore” dei cosiddetti “anni di piombo”. Ma certamente ne ho assorbito i miasmi, l’esacerbato ideologismo, la violenza che si spandeva nell’aria come un fumo malevolo. Se immagino l’Italia attuale come un paziente psicoanalitico, il sequestro Moro è il suo trauma. Un trauma nazionale che nel mio caso, da un punto di vista temporale, ha coinciso con un trauma privato (tracce di questa coincidenza si trovano nel mio precedente romanzo, I colpevoli).

Così, nel momento in cui ho deciso di cimentarmi col tema, ho ripensato alle parole di Calvino. E per non lasciarmi mettere in soggezione mi sono detto che anch’io “l’avrei affrontato non di petto ma di scorcio”, e soprattutto che mi sarei concentrato sull’evento che rappresenta l’apice di quella stagione: la strage di via Fani.

Aldo Moro Brigate Rosse GettyEditorial 31-8-2022

Per uccidere i cinque uomini della scorta, sequestrare Moro e far perdere le proprie tracce, i brigatisti impiegarono in tutto tre minuti. Come si fa a narrare un fatto di tre minuti nel campo vasto di un romanzo?

Avevo ben in mente la lezione di Javier Cercas che in Anatomia di un istante (Guanda, traduzione di Pino Cacucci) ci ha raccontato il colpo di stato tentato in Spagna dal colonnello Tejero il 23 febbraio 1981. I romanzieri possono fare ciò che non possono fare gli storici e i saggisti: dilatare il tempo fino a sfiorare verità altrimenti inafferrabili. Non sto parlando della verità storica, ma di qualcosa che riguarda la percezione degli eventi, il senso di ciò che resta di un avvenimento importante nel luogo in cui si è verificato, ma non solo lì, anche nelle menti e nei cuori delle persone, nel codice genetico di una nazione.

Via Fani dista una manciata di chilometri da casa mia. Ho iniziato ad andarci con una certa regolarità, prendendo degli strani appunti, un po’ come faceva Perec: clima, passanti, autobus, macchine che parcheggiano e macchine che se ne vanno. Cercavo qualcosa che non sapevo neppure io, una vibrazione, un pulviscolo, forse l’eco remota di quei tre minuti. A un certo punto ho anche pensato di andare a cena nel ristorante che ha preso il posto di Olivetti, il bar di fronte al quale sostarono i quattro brigatisti armati prima di dare il via all’assalto. Niente di strano, se non che il mio intento per la serata sarebbe stato quello di scrutare ossessivamente l’incrocio tra via Fani e via Stresa, il famoso stop dove inchiodò la Fiat 128 guidata da Mario Moretti bloccando la scorta del presidente della D.C. Ciò che mi colpiva più di tutto era l’assoluta insignificanza di quella strada, uno scorcio cittadino uguale ad altri centomila in cui mi sembrava impossibile che fosse avvenuta la carneficina che ha generato la più grave frattura emotiva, sociale e politica della storia repubblicana.

Le persone con cui all’inizio ho parlato del mio nuovo progetto mi hanno manifestato una certa curiosità per quella che sembrava loro un’improvvisa virata verso il romanzo storico. Del resto, nei miei ultimi tre libri ho praticato il genere del romanzo autobiografico, materia che insegno anche quando tengo corsi di scrittura creativa.

In realtà c’è una profonda consequenzialità tra la narrazione dei fatti della propria vita e quelli della vita pubblica di cui si è parte. Ho sempre pensato che l’io della scrittura autobiografica sia in realtà un noi. Il plurale o l’impersonale dietro cui si cela la voce narrante di Annie Ernaux neGli anni(L’Orma, traduzione di Lorenzo Flabbi) dà corpo alla memoria collettiva, ma è in fondo ciò che fanno tutti i suoi libri, anche quelli in apparenza più intimi e personali. Spostare la leva dall’io al noi, quindi, mi è sembrato un movimento del tutto naturale.

Il mio io letterario in questo nuovo romanzo fa solo qualche breve incursione. Eppure, nel raccontare come i brigatisti uccisero Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Francesco Zizzi, Giulio Rivera e Raffaele Iozzino, e nel ripercorrere le ultime ore di libertà di Aldo Moro, parlo (anche) di me, tanto quanto parlavo (anche) di me nei romanzi più smaccatamente autobiografici. In fondo è ciò che fa da sempre ogni narratore, benché sembra che negli ultimi anni in molti se ne siano dimenticati.

Tutto questo ha a che fare, credo, con le motivazioni che spingono uno scrittore ad affrontare nel proprio lavoro un determinato argomento. È la risposta alla classica domanda: “Come nasce il romanzo?”. La vera sfida per uno scrittore, però, non è tanto far nascere un romanzo, quanto modellarlo, procedendo secondo un ordine ben preciso, rincorrendo un’immagine mentale complessiva, un canto di sirena, l’ombra di qualcosa che prima non si sapeva neppure come definire. Scrivere è riuscire a estrarre dal buio questa forma segreta per poterla mostrare a tutti.

In fondo è quel che ho cercato di fare io immaginando il romanzo di via Fani.

 

Andrea Pomella Il dio disarmato

 

IL LIBRO E L’AUTORE – Autore di libri come L’uomo che trema (Premio Napoli 2019), un memoir sulla depressione, e I colpevoli, Andrea Pomella, scrittore e collaboratore di diverse testate, torna ora in libreria con Il dio disarmato (Einaudi).

Pomella in passato ha firmato monografie su Caravaggio e Van Gogh, e il suo nuovo libro risente dell’influenza dell’arte. Il dio disarmato è un romanzo che unisce al documentario lo stile lirico per raccontare il rapimento di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse e il massacro dei cinque agenti della scorta. Un evento che ha segnato la storia italiana.

Pomella, che ha scritto, tra gli altri, Il soldato bianco (Aracne), 10 modi per imparare a essere poveri ma felici (Laurana), La misura del danno (Fernandel) e Anni luce (Add), una storia di formazione con la “colonna sonora” dei Pearl Jam, non ne parla come in un saggio o un’inchiesta giornalistica, ma fa della letteratura la vera protagonista. Punta così non alla verità storica, ma a quella che cattura in modo irripetibile la percezione individuale. Una prospettiva diversa quella della narrazione: i testimoni oculari, poi i brigatisti, i politici, gli uomini della scorta, persino personaggi storici vissuti secoli prima.

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IL GRUPPO DI LETTURA – Quest’autunno Scuola del libro propone il nuovo progetto “Intervallo”, con le prime due letture condivise, dedicate al romanzo di Andrea Pomella Il dio disarmato (Einaudi, qui sopra approfondito) e al saggio di Annalisa Camilli Un giorno senza fine (Ponte alle Grazie). Un’iniziativa online, gratuita e aperta a chiunque, per condividere la lettura dei nuovi libri scritti da docenti della Scuola. Per iscriversi basta prenotarsi mandando una mail a info@scuoladellibro.it.

Il gruppo di lettura dedicato al libro di Pomella sarà moderato da Laura Ganzetti, blogger e instagrammer (iltètostato), e si svolgerà in tre incontri su Zoom, sempre alle ore 19, il 19 settembre, il 13 ottobre e il 20 ottobre.

Il gruppo di lettura dedicato al libro di Camilli sarà moderato da Martina Cera (insegnante, attivista, autrice di Le mappe raccontano il mondo) e si svolgerà in tre incontri su Zoom, sempre alle ore 19, il 28 settembre, il 19 otobre e il 27 ottobre.

 

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