I vaccini sono un tema inevitabilmente molto dibattuto in questo periodo: da una parte rappresentano la speranza di tornare presto a una vita più simile a quella che conducevamo prima, dall’altra parte certi problemi nella comunicazione (sia scientifica sia istituzionale) hanno portato a dubbi e paure sul loro utilizzo. Roberta Villa, giornalista scientifica laureata in Medicina, membro del nucleo strategico del Gruppo tecnico consultivo nazionale sulle vaccinazioni e divulgatrice sui social, nel libro “Vaccini. Mai così temuti, mai così attesi”, risponde alle domande più comuni e fa chiarezza su un tema diventato fondamentale nella vita di tutti – Su ilLibraio.it il capitolo “Il rischio zero non esiste. Ma ci si può andare vicino”

In questo momento storico dominato da una pandemia diffusa in tutto il mondo, i vaccini contro il virus che la provoca rappresentano una speranza di riavvicinamento allo stile di vita che conducevamo in precedenza. Per questa ragione i vaccini sono al centro del dibattito politico e sanitario, anche se non sempre le informazioni vengono veicolate nel modo giusto. Ma una comunicazione chiara e corretta è fondamentale affinché non si creino dubbi, paure, incomprensioni, e quindi spazio per la diffusione di notizie false. Roberta Villa, giornalista scientifica laureata in Medicina, con il libro Vaccini. Mai così temuti, mai così attesi (scritto con la collaborazione di Antonino Michienzi per Chiarelettere) si propone di fare chiarezza in questo tema complesso, diventato cruciale nella vita di tutti.

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L’APPUNTAMENTO – Roberta Villa presenterà il suo libro Vaccini. Mai così temuti, mai così attesi all’interno del palinsesto digitale LibLive il 7 aprile alle ore 18, dialogando con Silvia Bencivelli.

Vaccini. Mai così temuti, mai così attesi è un saggio che guida il lettore in un breve viaggio in tutto quello che c’è da sapere sui vaccini per prendere scelte consapevoli e informate senza pregiudizi.

L’autrice, giornalista scientifica specializzata sul tema salute, si occupa da tempo di divulgazione e negli ultimi anni ha portato la sua attività sui social, dove cerca di fare chiarezza su temi scientifici, anche d’attualità, con rigore ma con un approccio informale e un linguaggio comprensibile a tutti. Lo stesso criterio è alla base di questo saggio, che affronta il tema in modo diretto, chiaro e accessibile.

Non è la prima volta che Villa si occupa del tema vaccini: oltre a essere membro del nucleo strategico del NITAG (Gruppo tecnico consultivo nazionale sulle vaccinazioni) tra le sue varie pubblicazioni troviamo un altro testo sull’argomento, intitolato Vaccini. Il diritto di (non) avere paura (Pensiero scientifico editore). Questo nuovo saggio però affronta il tema con una prospettiva d’attualità: al centro della discussione troviamo infatti i vaccini per il virus Sars-Cov-19 al momento disponibili. Come sono stati ideati? Cosa contengono? Come è stato possibile svilupparli e produrli in così poco tempo? Quali sono le differenze tra i diversi tipi di vaccini approvati? Sono sicuri? E soprattutto, dopo quali studi e analisi le istituzioni decidono di affermare che siano sicuri?

A queste e altre domande Villa risponde senza allarmismi, perché come lei stessa scrive si tratta di “domande a cui è possibile dare risposte senza scomodare teorie complottiste”. Si risponde chiarendo ciò che sappiamo, ma anche quello che non sappiamo; una comunicazione scientifica trasparente, che non dia adito a fraintendimenti, deve anche delineare le domande alle quali le risposte non si sono ancora trovate. In ambito scientifico, infatti, non si lavora su certezze assolute ma su ragionamenti probabilistici, che sono più precisi nel delineare un quadro aderente alla realtà e che ci permettono comunque di fare affermazioni affidabili su concetti come sicurezza ed efficacia. Un certo grado di incertezza è ineliminabile, ma comprenderlo serve a non commettere l’errore di sottostimarlo o sovrastimarlo.

Una volta chiarite le questioni tecniche, pratiche e scientifiche, Villa apre anche a ragionamenti di tipo etico. I vaccini infatti portano con sé dibattiti che riguardano temi sensibili, come i criteri per stabilire la priorità vaccinale, la libertà di movimento (basti pensare alle ipotesi sulle “patenti vaccinali”), il diritto alla salute e la libertà di scelta sul proprio corpo. Questioni complesse, ma che in questo contesto di emergenza hanno bisogno di essere affrontate senza pregiudizi, intransigenze e polarizzazioni.

Tra queste, centrale è quella riguardante la hesitancy vaccinale: un fenomeno studiato da chi si occupa di comunicazione della scienza e che prevede delle specifiche linee guida per essere affrontato. Villa entra nello specifico, spiegando quali sono le cause note che creano dubbi intorno all’atto del vaccinarsi, e come le ragioni alla radice di questi dubbi possano essere affrontate prima con un piano mirato a far acquisire fiducia verso le istituzioni scientifiche e sanitarie, e poi con una comunicazione corretta al pubblico. Come scrive Villa, “il vaccino da solo non serve, se non lo si sa comunicare“.

Infine non manca una riflessione dai toni positivi: la possibilità di avere a disposizione dei vaccini a un anno dall’inizio della pandemia, tra i quali alcuni che dimostrano un’efficacia superiore al 90%, è un segno che la nostra fiducia nei confronti della ricerca medica è ben riposta. Un segno che dovrebbe anche servire a sensibilizzarci per il futuro sull’importanza di investire nella ricerca, anche quella che sembra affrontare pericoli apparentemente lontani.

Per gentile concessione dell’editore, su ilLibraio.it pubblichiamo un estratto del libro: 

Il rischio zero non esiste.
Ma ci si può andare vicino

Paura e benefici

I vaccini fanno paura. Vale per tutti, non solo per quelli contro Covid-19. Un certo scetticismo, se non addirittura una franca ostilità, nei confronti dei vaccini esiste da sempre, fin da quando Jenner mise a punto il primo contro il vaiolo.
Già allora, l’idea che il materiale fosse di origine animale aveva dato luogo a quelle che oggi chiameremmo fake news, voci secondo cui le persone vaccinate rischiavano di assumere un aspetto bovino, che addirittura potessero sviluppare le corna o una coda.
Il timore è innato, il vantaggio elusivo. L’enorme beneficio apportato dai vaccini infatti è invisibile agli occhi: si esprime attraverso una protezione dilazionata nel tempo, nei confronti di una minaccia che non sappiamo se incontreremo mai nella nostra vita; ma, soprattutto, una protezione che non scopriremo mai, a livello individuale, se è davvero servita. Solo in seguito a una campagna vaccinale effettuata su una popolazione ne possiamo valutare l’effetto, scoprendo ad esempio che, prima, una malattia colpiva un certo numero di persone ogni anno e, dopo, quel numero è bruscamente calato.
I vaccini sono vittime del loro successo, si dice, ed è certamente vero: come qualunque altro strumento di prevenzione, se funzionano non succede niente, non si vede niente. Non ci ammaliamo, ma non abbiamo prove, almeno a livello individuale, che senza quell’iniezione avremmo contratto la malattia contro cui era diretta.
Lo stesso accade con le misure antisismiche: perché investire tanti soldi per adeguare gli edifici, senza sapere se e quando arriverà un terremoto di potenza tale da danneggiarli? Perché pagare una costosa polizza assicurativa, quando magari non subiremo mai nessun sinistro? O, per fare un esempio recente, chi può dire che i lockdown servano davvero a contenere la pandemia? Nessuno può fornire la controprova che senza restrizioni decine di migliaia di persone in più avrebbero sviluppato Covid-19, che senza limitazioni ai movimenti e ai contatti interpersonali avremmo contato migliaia di vittime ulteriori. Possiamo solo fare il confronto con altri paesi meno previdenti, ma non sapremo mai quante variabili possono essere davvero entrate in gioco in ogni singolo caso.
È il paradosso della prevenzione, e vale in ogni campo. Ma, come per gli esempi precedenti, se usiamo la razionalità e non l’istinto possiamo capire quanto agire d’anticipo può evitare morti, sofferenze, perdite sociali ed economiche.
Il vaiolo devastava l’umanità e grazie ai vaccini possiamo dire che è stato eradicato dal pianeta. A fine anni Cinquanta del secolo scorso, prima dell’avvio della grande campagna di vaccinazione antipolio, la poliomielite arrivò a paralizzare 8000 bambini in un anno in Italia. Fino alla fine degli anni Trenta, almeno 1500 morivano ogni anno di difterite. Oggi, in Italia, queste malattie sono scomparse. Non ne abbiamo più nemmeno un ricordo. Non ci fanno la paura che invece agghiacciava i genitori della prima metà del secolo scorso. Di conseguenza quella paura non possiamo metterla sul piatto della bilancia opposto a quella che ci scatena l’idea di far iniettare a noi o ai nostri figli sostanze sconosciute, prodotte da aziende che da questo traggono profitto.
Gli studi sulla percezione del rischio, che esaminano appunto le modalità con cui percepiamo i diversi rischi rispetto al pericolo che obiettivamente rappresentano, hanno messo in luce che ciò che è sconosciuto, che è di produzione industriale e da cui qualcun altro guadagna qualcosa ci fa istintivamente più paura di tutto ciò che è noto, familiare, naturale, anche se in grado di procurarci un danno maggiore.
Davanti a una malattia o anche a un banale disturbo cerchiamo un beneficio immediato: che ci passi il mal di testa, che il tumore regredisca, che l’infarto non si ripeta. Ma se stiamo bene, se i nostri figli sprizzano salute da tutti i pori, perché mai dovremmo andare a disturbare il loro equilibrio, solo nella remota eventualità di venire un giorno
a contatto con una malattia infettiva?
Nel caso di Covid-19, e del livello di diffusione che ha nell’ambiente il virus che lo provoca, le possibilità di prenderlo, a dire la verità, sono tutt’altro che remote. Ma la reazione di molti resta la stessa: sto bene, perché mai dovrei iniettarmi una sostanza ignota? O peggio, nel caso dei nuovi vaccini, un virus ingegnerizzato? Del materiale genetico poi… Tanti film, romanzi di fantascienza o fumetti su personaggi trasformati da un morso di ragno o da un incauto esperimento di laboratorio hanno lasciato il segno nel nostro inconscio. Se proprio dobbiamo vaccinarci, chiediamo la garanzia che il prodotto che ci viene somministrato sia assolutamente sicuro.

Che cosa può dire la scienza

Così come vorremmo che le scuole riaprissero «in assoluta sicurezza», tanto più chiediamo agli scienziati di garantirci che i vaccini siano «assolutamente sicuri». Sembra provocatorio dirlo, ma proprio la scienza, la stessa scienza che invita a sfruttare la grande opportunità offerta dai vaccini, che vorrebbe portare questi preziosi presidi salvavita a tutti i bambini del mondo e, oggi, contro Covid-19, a tutti gli abitanti del pianeta, questa scienza, per come funziona, è fiduciosa, ma non può fornire formalmente questa garanzia.
Possiamo infatti misurare i rischi che conosciamo, ipotizzare i meccanismi che si potrebbero innescare, ma non possiamo escludere a priori qualcosa solo perché non lo abbiamo ancora visto. Gli europei parlavano dei «cigni neri» come di cose per definizione inesistenti, prima di
sbarcare in Australia e trovarseli davanti agli occhi. Il tacchino sa che il fattore tutte le mattine, quando arriva, gli porta il mangime; non può immaginare che il giorno del Ringraziamento le sue aspettative saranno tradite nel più crudele dei modi.
Non possiamo affermare quindi che qualcosa sia impossibile solo perché non lo abbiamo ancora osservato, ma l’esperienza è comunque lo strumento più affidabile che abbiamo, insieme alla nostra ragione, per prendere le decisioni più corrette. È il famoso paradosso con cui il filosofo britannico Bertrand Russel sosteneva che nessuno può escludere al 100 per cento che ci sia una teiera di porcellana tra Marte e la Terra in orbita intorno al Sole. Con questa metafora Russel voleva spiegare che la scienza, con i suoi metodi, non può dimostrare con certezza che qualcosa non c’è, può solo ragionevolmente dedurne l’alta improbabilità. Può solo dire che non ha prove della sua esistenza. L’onere della prova spetta alla controparte, a chi vuole sostenere l’esistenza di qualcosa che la scienza non ha ancora rilevato. Per questo principio teorico nessuno può affermare in coscienza che i vaccini anti Covid-19, come qualunque altro vaccino, qualunque altro farmaco, sport, lavoro, divertimento, mezzo di trasporto, alimento, siano sicuri al 100 per cento. Non sarebbe scientifico escludere a priori eventuali conseguenze a lungo termine, o reazioni così rare da non essere ancora balzate all’occhio dopo la vaccinazione di milioni di persone. Però a questo punto, sulla base dei dati disponibili, si può affermare con tranquillità che i nuovi vaccini possono avere diversi gradi di efficacia, ma sono tutti sufficientemente sicuri, per quanto ne sappiamo forse perfino più della maggior parte dei vaccini in commercio, certamente più di molti farmaci di diverso tipo.

(continua in libreria…)

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