La nostra intervista a Stefano Mauri (presidente, Ad del gruppo GeMS, ed editore de IlLibraio.it) alla vigilia del Consiglio dei ministri che potrebbe abrogare la Legge Levi che regola gli sconti in libreria e all’indomani dell’ufficializzazione della volontà da parte di Mondadori di acquisire Rcs Libri: “Una tale ‘fusione’ partirebbe con quasi il 70% del mercato dei tascabili per via della lunga storia e del catalogo di questi due gruppi. Quando il tanto è troppo?”

Sono ore particolarmente “calde” per il mondo del libro, e non solo perché domani potrebbe arrivare l’abrogazione della Legge Levi che regola gli sconti in libreria, visto che il Consiglio dei ministri potrebbe votare il Ddl liberalizzazioni.

Dati alla mano, se andasse in porto l’acquisizione di Rcs Libri da parte di Mondadori (qui tutti i dettagli), il risultato sarebbe la più grande concentrazione libraria in Europa, pari a circa il 40% del mercato librario italiano. I marchi dei due gruppi, per fare solo due esempi, nel mercato dei tascabili insieme sfiorerebbero il 70%, e pubblicherebbero il 25% dei testi scolastici. Inevitabile, dunque, che nel mondo del libro la notizia del momento, che arriva dopo mesi di indiscrezioni, faccia discutere e crei allarme non solo tra gli editori, ma anche tra gli stessi scrittori. Senza dimenticare il clima che si respira tra i dipendenti dei marchi di Segrate (da Mondadori alla torinese Einaudi, passando per Sperling e Piemme) e di via Rizzoli (da Rizzoli a Bompiani, senza dimenticare Adelphi e Marsilio, che ha sede a Venezia).

Stefano Mauri (presidente, AD del gruppo GeMS, ed editore di questo sito, ndr), lei è capo del terzo (attualmente) gruppo librario italiano: quali conseguenze avrebbe quest’operazione? Anche lei è preoccupato?
“Intanto rilevo che i due gruppi hanno semplicemente dovuto confermare alla Consob di trattative in corso che erano già trapelate sui quotidiani da quando Mondadori ha annunciato lo scorporo della parte libri. Già Andrea Montanari su MilanoFinanza associava il fatto che Fininvest abbia fatto cassa, tra le altre cose, anche con l’esigenza di fare shopping da parte di Mondadori. Ma una parte dei soci Rcs mi pare sia molto contraria a questa abdicazione, almeno secondo quanto riportato da vari giornali”.

Questo in effetti è il quadro della trattativa. Ma è preoccupato o no?
“Se sono preoccupato? Si vedrà. Come editore diventerei il secondo e quindi sarei l’alternativa a un gruppo mastodontico con tutto quel che ne consegue in un mestiere che è come un centauro: una parte del lavoro è industriale e la massa critica serve, e qui la società fusa avrebbe molto potere negoziale; ma c’è una parte, quella con la quale si crea veramente valore, fatta di ricerca, passione e talento che è artigianale e non si giova più di tanto delle dimensioni, se va bene non ne soffre. Oggi Mondadori è due volte e mezza Gems e se realizzasse la fusione con tutte le case editrici di Rcs sarebbe quasi quattro volte Gems. Ricordo che quando ho cominciato Mondadori era dieci volte più grande dell’allora gruppo Longanesi che aveva il 2,5% di quota e Rcs probabilmente era 6 volte più grande. Bisogna anche considerare che il nostro settore ha delle camere di compensazione e una pulsione pluralista di autori e lettori. Ad esempio gli agenti letterari che mettono all’asta i libri non hanno interesse a ritrovarsi con un unico contendente. E gli agenti italiani hanno modo di osservare più da vicino le dinamiche del Paese e hanno di solito una visione più aggiornata su chi fa bene il proprio lavoro e chi meno. La capacità di pubblicare qualità non è né inversamente proporzionale alle dimensioni, come vuole un cliché intellettuale, né direttamente proporzionale come vuole il cliché economico. E poi dipende dai settori e dai generi. Certamente una tale fusione partirebbe con quasi il 70% del tascabile per via della lunga storia e del catalogo di questi due gruppi. Quando il tanto è troppo?”.

Del resto, mentre prosegue l’ascesa di Amazon (il colosso dell’e-commerce spesso al centro delle polemiche), all’estero anche Penguin e Random House negli anni scorsi hanno dato vita a un “super-gruppo”. A proposito, l’operazione Mondadori-Rcs Libri è paragonabile a quella che ha fatto discutere per mesi l’editoria anglosassone?
“Eh no. Restando in Europa, in seguito alla clamorosa fusione il gruppo Random House-Penguin è diventato il primo, ma ha una quota del 26%, pari a quella che già Mondadori da sola occupa attualmente nello scenario italiano della varia, come scrive Repubblica stamattina. Certo non sono certo che Amazon potrebbe dettare i propri desiderata a un gruppo di quelle dimensioni”.

Tornando all’Italia, nell’ambito della distribuzione libraria “l’alleanza strategica” tra Pde-Feltrinelli e Messaggerie nei mesi scorsi ha avuto l’ok da parte dell’Antitrust (qui i dettagli): nell’attuale contesto di mercato, la “concentrazione”, che molto preoccupa i piccoli editori, è l’unica strada percorribile? 
“Certamente offre dei vantaggi sulla parte appunto industriale e in questo caso sulla logistica. Ma non è una concentrazione commerciale. Ogni editore o gruppo di editori si affida a una rete commerciale indipendente e anzi anche critica, nel caso, verso la distribuzione. E’ una concentrazione logistica che quindi semmai mette in competizione infrastrutture che competono per tutte le merceologie. Il nostro gruppo, che nasce prima dall’attività di servizio e solo in un secondo tempo ha cominciato un’attività editoriale investendoci davvero poco, quella di cui mi occupo io,  la separa nettamente dalle attività di servizio agli editori indipendenti, perché anche loro godano delle economie di scala e possano competere anche con i grandi gruppi se hanno dei libri importanti. E GeMS per quanto sia diventata grandicella ha sempre seguito una politica ad arcipelago, dove ogni isola-casa editrice ha la completa autonomia editoriale”.

C’è un altro tema che preoccupa il mondo del libro in questi giorni (in particolare i librai indipendenti): come detto all’inizio, il Consiglio dei ministri in programma domani (venerdì 20 febbraio, ndr), potrebbe infatti abolire la legge Levi. Intervistati proprio da IlLibraio.it, il presidente dell’Aie Marco Polillo e il presidente dell’Ali Alberto Galla hanno dimostrato di avere una posizione comune, contraria all’abolizione. Nei giorni scorsi abbiamo raccontato il contesto europeo e abbiamo intervistato anche Ricardo Franco Levi, da cui la legge prende il nome, e che l’ha ovviamente difesa. Per Levi (che, tra l’altro, cita un’audizione in Senato datata 3 novembre 2010 dell’allora presidente dell’Antitrust Antonio Catricalà) la “sua” legge si pone infatti “come un vincolo alla drammatica riduzione delle voci e fa sì che editori e librai, anche le realtà più piccole, possano competere sul mercato. Pone le premesse per garantire una concorrenza equa…”. Perché il governo sbaglierebbe ad abolire la Levi e a liberalizzare il mercato librario?
“All’esordio della Legge Levi cercai di spiegare in un articolo che il prezzo dei libri sarebbe sceso grazie a questa regolamentazione. Mi presi un sacco di rimproveri più o meno garbati dal web per la mia difesa. Tuttavia i fatti hanno dato ragione a me e all’Antitrust, perché anche Catricalà, allora presidente dell’Antitrust, aveva difeso questa legge: negli anni successivi i prezzi sono scesi del 13% in termini reali. Catricalà osservava che nei Paesi nei quali non vi è regolamentazione il mercato si concentra, il che in un settore culturale di un Paese democratico oltre un certo punto è un male, e infatti la Gran Bretagna è l’unico grande Paese europeo nel quale i primi tre gruppi da soli superano il 50% del mercato, cosa che avverrebbe in Italia anche in seguito a questa ipotetica acquisizione di Rcs Libri da parte di Mondadori”.

Ma la tanto discussa Legge Levi come si pone nel contesto dell’editoria internazionale?
“Non è un residuo anacronistico e non europeo dell’Italia corporativa. E’ una legge introdotta di recente in linea con i principi prevalenti nell’Europa continentale che è il cuore dell’editoria mondiale. Qui hanno sede le uniche 3 fiere internazionali (Francoforte, Londra, Bologna), 7 dei 10 più grandi editori globali, per le lingue inglese, francese, spagnolo e tedesco e il più grande mercato del libro che produce ogni anno 500mila novità. E’ una ricchezza dell’Europa che si è difesa particolarmente bene anche grazie alla difesa delle librerie in virtù di leggi di regolamentazione degli sconti. A volte le posizioni francesi, particolarmente rigide, ci sembrano antiquate. Poi però andiamo a Parigi perché ci piace che ci siano negozi e librerie accoglienti e piacevoli nelle vie del centro. E se c’è un Paese delle cento città è l’Italia con i suoi meravigliosi centri storici. Anche di questo bisogna tenere conto e so che il governo vorrebbe tutelare anche questo aspetto, il ministro Franceschini in testa. Nel 2013 in Germania l’e-commerce e i supermercati  hanno segnato una battuta d’arresto nella vendita di libri perché i consumatori hanno voluto premiare i negozi più prossimi a loro. Ergo: tutto si può migliorare, ma abrogarla non significa andare incontro alla richiesta di riforme che ci viene dall’Europa. C’è l’esempio di un grande Paese che non ha la regolamentazione degli sconti, gli Usa, dove l’editoria non è certo irrilevante. Tuttavia negli Stati Uniti ci sono altre leggi, che qui non ci sono, per tutelare i commercianti minori dalle catene e dai giganti, che impediscono a un produttore di fare un sconto maggiore solo in virtù della maggiore forza contrattuale di un operatore di grandi dimensioni. E l’editoria Usa gode di vantaggi che noi ci sogniamo”.

Quali?
“Prima cosa, pubblicano in una lingua che ha almeno due miliardi di lettori, ergo è più facile fare le tirature necessarie ad andare a break even. Seconda, tra questi due miliardi ci sono quasi tutti gli editor del mondo, che possono approvvigionarsi da questa grande fonte di opere leggendole e quindi le case editrici hanno anche importanti incassi dalla vendita dei diritti di traduzione a noi europei. Mentre meno noto è il fatto che gli editori Italiani acquistano in media i diritti per 10 anni (anche dagli Usa) e hanno comunque un limite di legge di 20 anni, quindi devono continuamente riacquistare i diritti delle opere che hanno avuto successo e rinnovare i contratti. Un editore americano, invece, una volta che ha acquistato i diritti di un’opera li conserva fino a 70 anni dopo la morte dell’autore, l’intera durata del copyright. Paga le royalties, ma non è costretto ad anticipare continuamente futuri ipotetici ricavi. Si capisce che è molto più facile resistere sul lungo periodo, investire sulla promozione degli autori e finanziare la propria attività. Ad esempio, se a un piccolo editore capita, grazie al fiuto, di pubblicare un bestseller, sarà suo per tutta la vita e su quello gli sarà più facile costruire il futuro. In Italia può portarglielo via un editore più grosso alla prima scadenza solo perché paga un anticipo più alto per il rinnovo. Dunque qualsiasi paragone con la realtà USA o anche UK è improponibile perché la struttura del conto economico delle case editrici anglosassoni è completamente diversa”.

Antitrust
Un’elaborazione AGCM tratta dalle statistiche di Eurostat relativa ai tassi annui di variazione dei prezzi dei libri in Germania, Francia, Regno Unito e Italia nel periodo 1997-2009

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