Molto, troppo, è stato detto da quando, lo scorso 19 dicembre Paolo Cognetti ha parlato per la prima volta del suo ricovero per una “grave depressione sfociata in una sindrome bipolare con fasi maniacali”. Dopo il TSO, lo scrittore è tornato a raccontarsi in una lunga intervista alle “Iene”
Molto, troppo, è stato detto da quando, lo scorso 19 dicembre, lo scrittore Paolo Cognetti ha parlato per la prima volta del suo ricovero per una “grave depressione sfociata in una sindrome bipolare con fasi maniacali”.
L’autore del bestseller Le otto montagne, del resto, ha rilasciato diverse interviste, che hanno inevitabilmente colpito profondamente il mondo del libro e il suo pubblico, le lettrici e i lettori dei suoi romanzi.
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Cognetti è tornato a raccontarsi, mostrandosi anche alle telecamere del programma di Italia Uno con i capelli tinti di rosso. Questa volta, l’autore premio Strega ha infatti rilasciato una lunga intervista a Gaston Zama delle Iene, in cui ha parlato della sua malattia e del TSO che ha subito. Con l’inviato delle Iene si è recato nella sua baita in Val d’Aosta, a Estoul, in Val d’Ayas (“Tutte le volte che torno mi emoziono”).
In parallelo, ha rilasciato anche un’intervista a La Stampa.
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Ma perché tutte queste interviste, in un momento così delicato della sua vita? Lo chiarisce lo stesso Cognetti alle Iene: “Era un po’ di tempo che si diceva in giro che fossi malato, che in fondo è vero, ma volevo sgomberare il campo da qualsiasi diceria, e spiegare direttamente io cos’ho, un disturbo bipolare, che ha due fasi, maniacale e depressiva”.
Con le Iene Cognetti parla anche dei pensieri suicidi nella baita (“Quest’estate non mi hanno mai lasciato solo anche per questo”), dei problemi con l’alcolismo, e ripercorre i fatti dell’ultimo anno: “A inizio 2024 ero nella fase maniacale; una sera stavo delirando dal divano, la mia compagna era preoccupata, e mi ha portato al Pronto Soccorso del Fatebenefratelli di Milano. Lì ho parlato per mezz’ora con una psichiatra. Mi sono reso conto che mi stava trattando come un matto. Voleva darmi dei tranquillanti, ma mi sono rifiutato, volevo tornare a casa a bere la mia solita bottiglia. Ma all’improvviso mi sono ritrovato circondato da sette persone, che mi hanno legato a un letto con delle cinghie e mi hanno sparato un siringone nella gamba, senza dirmi cosa mi stavano iniettando. Qualcosa che non andava in me c’era, ma mi ha fatto arrabbiare la violenza di quei gesti, non so se sia legale”.
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Il racconto di Cognetti prosegue. Lo scrittore iniza un periodo di terapia con uno psichiatra, che a dicembre, però, decide per il TSO. Da lì il ritorno al Fatebenefratelli, in Psichiatria, per due settimane (in cui ha anche scritto): “Sono arrivato in ospedale a piedi nudi e sanguinante“. E, a seguire, il racconto pubblico e le interviste.
Alla Stampa, a proposito del secondo ricovero, aggiunge: “Quando sono stato ricoverato a inizio dicembre del 2024 ho imparato ad apprezzare il lavoro che fanno infermieri e medici con i pazienti, la loro dedizione, la loro forza. È un lavoro difficilissimo e li ho visti fare cose straordinarie, anche con pazienti molto più difficili di me”.
Lo scrittore preferisce non soffermarsi sulle origini dei suoi problemi mentali, che dice, forse, di aver individuato. Quanto al presente, “non sono un no vax, ma ambisco a vivere senza farmaci“.
Al tempo stesso, dichiara di voler scrivere libri, fare viaggi e incontri: “La persona con cui mi piacerebbe parlare adesso è Vasco Rossi, perché trovo tanta verità nelle sue canzoni”.
Quanto al suo lavoro e al rapporto con la scrittura, Cognetti parla di un “buon momento“: “Penso che, almeno per ora, il ciclo della montagna, come lo chiamo io, si sia in qualche modo esaurito, e ho voglia di raccontare altro“.
Spazio per il rapporto con i genitori: “La cosa che mi spiace di più è aver fatto soffrire la mia famiglia, spero che questa intervista li tranquillizzi”.
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