In “La mia vita controvento”, autobiografia che ha scritto in occasione dei suoi 80 anni, Reinhold Messner, uno dei più noti alpinisti di tutti i tempi, non fa sconti a nessuno, neppure a se stesso, ma riconosce che è proprio da tutti gli ostacoli che ha dovuto affrontare nella vita che ha tratto e trae la forza e la costanza di andare sempre avanti – Su ilLibraio.it un capitolo. dal titolo “Una vetta mancata?”, in cui Messner risponde a un cronista che da anni sostiene che numerose ascensioni agli Ottomila si siano in realtà fermate sotto la vetta: “Anch’io, secondo Eberhard Jurgalski, mi sono fermato cinque (!) metri sotto la vetta dell’Annapurna…”
Il 17 settembre, Reinhold Messner, classe ’44, festeggerà 80 anni. Parliamo di uno dei più noti alpinisti di tutti i tempi. Che per l’occasione si racconta in un libro, La mia vita controvento, edito da Corbaccio.
Come scalatore e alpinista d’alta quota, sperimentatore del limite, e “filosofo in azione”, Messner ha sempre cercato nuove sfide. Primo alpinista ad aver salito tutti i quattordici Ottomila, e primo ad aver salito l’Everest in solitaria e senza ossigeno, ha aperto più di 100 nuove vie e ha al suo attivo 3500 vette in tutti i continenti.
La costante nella vita di Reinhold Messner è il vento contrario: che siano le tempeste del Polo Sud o il ghiaccio della Groenlandia, mentre arrampica da solo su strette creste, oppure sulle pareti sommitali più ripide. Ma, soprattutto, è nel cosiddetto mondo civile che Messner si è trovato controvento, a causa delle critiche, spesso feroci, che hanno sempre accompagnato le sue imprese.
Nell’autobiografia che ha scritto in occasione dei suoi ottant’anni, si volta indietro e ricostruisce la sua visione del mondo, ripercorrendo le azioni che ha compiuto e le reazioni che ha suscitato. Chi si aspetta un Messner appagato da una vita eccezionale e pacificato con gli altri e con se stesso, rimarrà deluso.
Questo libro palpita dell’eccitazione di chi per primo ha salito gli Ottomila, ha disegnato vie eleganti e impossibili, ha ridefinito la scala delle difficoltà alpinistiche, ha espresso una forte passione politica e ambientalista. E allo stesso tempo freme di sdegno contro chi ha cercato di mettere a tacere le sue verità, lo ha accusato di aver sacrificato la vita degli altri alla sua ambizione, ne ha criticato l’anticonformismo.
In La mia vita controvento, Messner non fa sconti a nessuno, neppure a se stesso, ma riconosce che è proprio da tutti gli ostacoli che ha dovuto affrontare nella vita che ha tratto e trae la sua forza e la costanza di andare sempre avanti. Perché, come dice, è “il vento contrario che ti fa crescere le ali”.
Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, proponiamo un estratto:
Una vetta mancata?
Schweizer Bund: «Reinhold Messner, il primo a scalare tutti i 14 Ottomila senza ossigeno, sarà privato del suo record mondiale perché si è fermato cinque metri sotto la vetta
dell’Annapurna pensando di aver raggiunto il suo obiettivo.»
«Che cosa posso dire? Penso che sia completamente sbagliato. È stato lui! È stato il primo! Senza di lui, non saremmo dove siamo oggi. Quando quaranta o cinquant’anni fa ha fatto sue le 14 cime, nessuno aveva mai saputo o osato farlo in quel modo, e senza di lui forse sarebbe andata avanti così per altri cento anni. Oggi voliamo molto in alto con gli elicotteri, e questo è solo l’inizio. Lui all’epoca non aveva nemmeno le previsioni del tempo».
MINGMA DAVID SHERPA, 2.12.2023
Da anni un cronista di Lörrach sostiene che numerose ascensioni agli Ottomila si sono fermate sotto la vetta. Anch’io, secondo Eberhard Jurgalski, mi sono fermato cinque (!) metri sotto la vetta dell’Annapurna. Su una piatta cresta di cornice! Se la sua speranza era che le sue affermazioni avrebbero scatenato un terremoto tra gli alpinisti famosi, non si è concretizzata. Così, da quel momento in poi, ha iniziato a vendere la sua storia usando solo il mio nome e finalmente ha ottenuto un po’ di attenzione. Quando le prove di Jurgalski sono state pubblicate sul settimanale Der Spiegel, mi sono subito reso conto di come il cronista «serio» stesse lanciando le sue «ricerche» sui media: una cornice di vetta è sempre soggetta a mutamenti e la mia posizione in vetta era diversa da quella segnata sulle foto. L’avevo descritto ai cronisti con alcuni schizzi. Che stupidaggine poi scambiare nelle immagini dello Spiegel la cima principale con la cima est. Non si tratta di poche decine di metri, ma di un chilometro di distanza rispetto alla cima ovest o principale.
Come potevo fidarmi ancora di cronisti che commettono errori così evidenti? Forse a commettere gli errori era stata la rivista… Quando però dopo due mesi ancora non c’era stata alcuna rettifica, né da parte dei «rinomati storici dell’alpinismo» né da parte di Der Spiegel sono giunto alla conclusione: non c’è cura per la malafede, meglio starsene zitti.
Ho affrontato le accuse in un’intervista rilasciata al quotidiano svizzero Tages-Anzeiger nell’estate del 2022:
T-A: «Signor Messner, il team di cronisti dice che lei si è fermato a pochi metri dalla vetta dell’Annapurna. Pertanto lei non è stato il primo a scalare tutte le cime di 8000 metri. Cosa è successo sull’Annapurna?»
RM: «Io e Hans Kammerlander siamo usciti dalla parete ovest e abbiamo raggiunto la cresta della vetta sotto un temporale e nella nebbia. Quindi non posso dire se ho raggiunto il punto più alto. Per questo motivo ho ammesso di aver par- lato con questi ricercatori: potrei essermi trovato pochi metri a ovest del punto più alto. È irrilevante.»
T-A: «Perché?»
RM: «Kammerlander e io siamo stati i primi a scalare la parete più difficile dell’Annapurna. L’ultimo giorno siamo stati sorpresi da una brutta tempesta e ce la siamo cavata con qualche rischio. Il vento sulla cresta della vetta era così forte che dovevamo concentrarci per non cadere. Per questo non permetterò a nessuno di dirmi che una salita effettuata nel 1985 su una parete di quasi 4000 metri di altezza con un equipaggiamento relativamente semplice rispetto a quello odierno non è valida. Tanto più che il punto più alto non era segnato. Per quanto mi riguarda sono stato sulla cima e nessuno me lo toglie. Queste persone non si rendono conto che l’alpinismo è cambiato enormemente.»
T-A: «Questo me lo deve spiegare.»
RM: «La prima fase si chiama alpinismo di conquista. Si trattava di essere i primi a raggiungere il punto più alto di una montagna. Nelle Alpi, questa fase risale a più di cento anni fa, mentre in Himalaya, si è conclusa negli anni Settanta.»
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T-A: «Quindi prima di scalare gli 8000 metri.»
RM: «La conquista dell’alpinismo non mi appartiene. Per me l’Annapurna non era affatto una questione di vetta. È solo la vetta, la parte che sta sopra, in alto. Per me si trattava di scalare pareti difficili e in uno stile preciso.»
T-A: «Lo stile alpino, cioè con un equipaggiamento minimo, senza maschera di ossigeno e senza corde fisse, permette una maggiore velocità e un’esposizione più breve nella zona della morte.»
RM: «Ecco perché sono felice, anzi molto soddisfatto, della mia scalata dell’Annapurna.»
T-A: «Lei però voleva essere il primo a salire su tutte le cime oltre gli 8000 metri. Quindi non le interessava soltanto la via, ma anche raggiungere il punto più alto.»
RM: «Non ho mai avuto in mente questo record. Se avessi voluto essere il primo a raggiungere tutte queste vette di 8000 metri, perché avrei dovuto scegliere un percorso difficile sul quale avrei potuto fallire?»
T-A: «Non c’era forse una gara per queste vette, soprattutto con il polacco Jerzy Kukuczka, che le metteva pressione e le si avvicinava sempre di più?»
RM: «La competizione c’era, ma solo nei media. Due anni prima dell’Annapurna avevo scalato per la seconda volta due cime di 8000 metri, i Gasherbrum I e II. Si trattava della mia ultima opportunità creativa: la traversata di due 8000 metri in un colpo! Se ci fosse stata una gara in corso, per qual motivo mai avrei dovuto aggiungere anche quella traversata?»
T-A: «Lei sostiene di non aver partecipato volontariamente a questa competizione non ufficiale?»
RM: «L’ho sostenuto, avrei potuto fare qualcos’altro. Da questo punto di vista, sono stato coinvolto. Ma non ho dato il via a quella gara per gli 8000. Mi interessavano soprattutto la creatività e un certo stile. La cosiddetta competizione è stata messa a fuoco solo nella fase finale.»
T-A: «Da dove nasce l’idea di definire tutto in base al punto più alto e di voler creare un numero 1 nell’alpinismo d’alta quota?»
RM: «L’arrampicata sportiva è uno sport misurabile, olimpico. Per me, invece, l’arrampicata era un’avventura. Bisogna conoscere la storia dell’alpinismo per poter classificare il mio atteggiamento e le nostre azioni.»
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T-A: «Ce la riassume?»
RM: «Per 55 anni i migliori alpinisti hanno cercato di scalare gli 8000 e hanno fallito. Tutti! Poi, nel giro di quindici anni, tutte le cime di 8000 metri sono state scalate e con quello il gioco era finito, perché ce ne sono solo quattordici. Questo ci permette di contarli, a differenza delle vette di 7000 metri. Nessuno può scalarle tutte, sono troppe. Così tutto si è fissato solo sugli Ottomila. Nella seconda fase, però, quella in cui sono stato attivo io, l’attenzione principale non era più rivolta alle vette, ma agli itinerari. Le vette ne facevano semplicemente parte. Nelle Alpi, dove già si scalavano le pareti più difficili, le vette non avevano ormai più importanza. Si scendeva in corda doppia una volta finita la via.»
T-A: «Era tornato alla ribalta lo stile?»
RM: «Esattamente. Le vette erano diventate secondarie.»
T-A: «Allora da cosa deriva tutta questa rabbia?»
RM: «Rabbia non è il termine corretto. Questa polemica non ha alcun rapporto con i risultati ottenuti all’epoca. I cronisti mi negano la mia creatività e banalizzano l’avventura in montagna. L’avventura non si può misurare!»
T-A: «Questi cronisti non lo negano. Dicono solo che Messner ha mancato il punto più alto di pochi metri, quindi non si è mai trovato sul punto più alto dell’Annapurna.»
RM: «Quindi il messaggio è: Messner era forse a pochi metri dalla vetta e cinque metri sotto di essa quando pensava di trovarsi sul punto più alto, dopo aver scalato una parete molto alta! Cinque metri di dislivello su 4000! Le dimensioni sono chiare. Ci prendiamo tutti la testa tra le mani e ci mettiamo a ridere di quel messaggio.»
T-A: «Lei è diventato famoso per essere stato il primo a scalare tutti gli Ottomila. Non è invece così noto al pubblico per aver saputo far sue vie straordinarie sugli Ottomila, l’aspetto centrale per lei. Questa percezione la infastidisce?»
RM: «No, perché la scena ha riconosciuto quello che stavo facendo. Il grande pubblico non ha ancora capito che c’era una nuova direzione nell’alpinismo, lontano dalla conquista e verso l’avventura.»
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T-A: «Lei ha scritto decine di libri e ha pubblicizzato questi argomenti. I suoi messaggi sono caduti nel vuoto?»
RM: «Questo solo perché molte persone contano solo fino a quattordici. I critici non sono mai saliti su un’alta montagna. Bisogna capire l’essenza dei miei libri, immedesimarsi nelle emozioni, essere in montagna o dedicarsi intensamente all’alpinismo»
T-A: «Quindi per lei non sarebbe un problema se la lista degli alpinisti che hanno scalato tutti gli Ottomila fosse cancellata?»
RM: «Non voglio partecipare a questo gioco. Un’ultima cosa: altri cronisti vorrebbero che dimostrassi di non aver abbandonato mio fratello sulla vetta del Nanga Parbat cinquant’anni fa! È passato così tanto tempo che in parte non me lo ricordo nemmeno, ma sono sicuro che io, come i miei colleghi di allora, che pure hanno raggiunto tutti gli Ottomila, non mi sono mai fermato deliberatamente prima del punto più alto.»
T-A: «Un paragone: se inizi una gara sui cento metri e vieni fermato dopo 99,9, non hai un tempo sui cento metri. Se non sei salito sulla cima più alta, non sei stato in cima.»
RM: «Noi avventurieri siamo in giro nel mezzo della natura selvaggia, dove ogni giorno è diverso, nuovo e imprevedibile. Non c’è misurabilità in questo mio mondo. Sarebbe quindi storicamente imprudente dubitare di tutte le prime ascensioni di Ottomila degli anni Cinquanta. Le cime non sono più le stesse. Una domanda: dov’è la vetta del Cerro Torre?»
T-A: «Me lo dica lei.»
RM: «È dove finisce la roccia? O dove finisce la neve sopra di essa? Sul K2, il punto fisso più alto è in profondità sotto il ghiaccio. È più facile sul Mount Everest, dove il punto più alto è ormai segnato. Gli alpinisti di maggior successo della nostra generazione sono quelli che sono sopravvissuti alle ascensioni più difficili. Quindi della questione della vetta posso solo farmi grasse risate».
(continua in libreria…)
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