“Volevo fare un libro sugli Stati Uniti di oggi e sulla mia esperienza. Di testi ben scritti che spiegano gli Stati Uniti ce ne sono tantissimi, quindi puntavo a un’idea che fosse più mia”. Simona Siri, giornalista e scrittrice che vive da diversi anni a New York, in “Mai Stati così Uniti” racconta il suo paese d’adozione e le maggiori differenze culturali con l’Italia, scoperte anche grazie al suo matrimonio con Dan Gerstein, statunitense: “Anche se in modo scombussolato, con strappi, accelerazioni, rallentamenti, quella statunitense è una società che si muove, mentre quella italiana è molto più statica.” – L’intervista a ilLibraio.it

Simona Siri è una giornalista e scrittrice italiana che vive da diversi anni negli Stati Uniti. Collaboratrice di Vanity Fair, La Stampa e Il Foglio, ha scritto anche per giornali e riviste americane come Vulture, Washington Post e New York Daily News.

Il suo ultimo libro, in libreria per Tea, si intitola Mai Stati così Uniti ed è un resoconto che, anche tramite un taglio ironico e autobiografico, fotografa la contemporaneità del Paese in cui si è trasferita. Il risultato è il ritratto di un terra complessa e sconfinata, che crediamo di comprendere grazie alla sua influenza culturale, ma di cui approfondendo potremmo scoprire di ignorare molti aspetti.

Siri, che per Tea aveva già pubblicato Vogliamo la favola e Lamento di una maggiorata, in Mai Stati così Uniti affronta la non facile impresa attraverso la chiave dell’originalità del suo matrimonio.

Protagonista della narrazione infatti, è anche la sua relazione con il marito Dan Gerstein, imprenditore ed ex speechwriter esperto di politica.

Lei nata e cresciuta in Italia, lui negli Stati Uniti, si scontrano sul territorio newyorkese, decisamente poco neutro. Ne nascono spesso incomprensioni culturali che, una volta superate, aiutano i due a spiegare al lettore alcune peculiarità americane di non facile comprensione da una prospettive europea.

Anche Gerstein, infatti, ha modo di raccontare la sua, sia sulle divertenti vicende legate alla loro relazione, sia sul suo paese natale. Ne emerge un quadro approfondito della contemporaneità americana, che è costituito dall’avvicendarsi delle loro diverse prospettive su questioni centrali come le controverse elezioni del 2016, la privatizzazione della sanità, il razzismo sistemico, la crisi degli oppiodi, il debito studentesco e molte altre ancora.

ilLibraio.it ha parlato con l’autrice, collegata in videochiamata da New York, della sua vita negli Stati Uniti e del suo ultimo libro.

copertina mai stati così uniti simona siri

Ci racconta com’è stata l’esperienza di scrivere un libro non solo a quattro mani, ma anche in famiglia?
“In famiglia e anche in due lingue diverse: le parti di mio marito Dan, che non parla e non scrive in italiano, sono state tradotte… non nego che sia stato faticoso. Una delle cose in cui siamo diversi sono i ritmi: lui è super mattiniero e io, al contrario, al mattino non ragiono e lavoro bene la sera, quindi siamo arrivati al punto in cui dovevamo contrattare e darci gli appuntamenti su Google Calendar. Accade anche nella nostra vita sociale: se dobbiamo andare a cena con una coppia di amici mi manda la richiesta tramite Google. È una di quelle cose tipicamente americane, io Calendar non l’avevo mai usato prima di stare con lui. Però alla fine Dan con la scrittura ci ha preso molto gusto”.

Per ogni argomento che lei tratta c’è infatti un intervento anche di Dan, in cui racconta i fatti da una diversa prospettiva.
“Ci sono dei momenti in cui descriviamo tutti e due lo stesso episodio, però i ricordi non combaciano: ognuno ha la sua versione della vicenda, come com’è giusto che sia. Era una cosa che io volevo che venisse fuori dal libro, che i ricordi, certe volte, sono diversi”.

Cosa l’ha ispirata in questa struttura?
“L’ispirazione è venuta anche da una serie di qualche anno fa, The Affair, che aveva come protagonista una coppia di amanti. Ogni puntata era divisa in due: il ricordo di lei e il ricordo di lui. La serie poi ha perso questa struttura, ma soprattutto nelle primissime puntate c’è stato un lavoro interessante da parte degli sceneggiatori, soprattutto nei dettagli. Per esempio nella versione di lei il vestito era di un certo tipo, lui invece se la immaginava sempre più sexy: il ricordo degli uomini! Poi entrambi ricordavano l’altro più aggressivo. Quando abbiamo deciso di inserire la voce di Dan ho pensato: facciamolo così, lo stesso episodio raccontato in due modi diversi”.

Nel libro scrive che suo marito ha definito ironicamente questo libro come “un mix tra Tocqueville e Marie Claire“. Com’è nata l’idea di raccontare gli Stati Uniti al pubblico italiano attraverso le incomprensioni culturali emerse nel vostro matrimonio?
“Volevo fare un libro sugli Stati Uniti di oggi e sulla mia esperienza. Di libri ben scritti che spiegano gli Stati Uniti ce ne sono tantissimi, quindi puntavo a un’idea che fosse più originale e più mia. Allora mi sono chiesta quale fosse la mia specificità da italiana che vive qua, cosa potevo apportare io, visto che New York è piena di italiani”.

E cos’ha trovato?
“Faccio parte di un gruppo, Italian Women in New York, in cui la maggioranza delle donne è qua perché il marito è stato trasferito per lavoro, quindi loro vivono come una coppia italiana all’estero, mentre la mia esperienza è vivere con un marito che non parla la mia lingua, dunque sono proprio immersa in un’altra cultura. Poi Dan conosce bene la politica, avendo lavorato in quell’ambiente, e poteva contribuire molto nel raccontare le questioni sociali”.

Nel libro sono analizzate molte questioni critiche e centrali della politica e della cultura statunitense contemporanea. Quali di queste è quella con cui fa più fatica a convivere?
“Sicuramente la sanità. Il fatto che qui sia privata è una cosa che non solo non capisco, ma che proprio non accetto, va contro i miei principi e i miei ideali. La questione è stata fonte di scontri tra me e mio marito, perché per me è ancora inconcepibile che la gente vada in bancarotta o faccia i debiti per pagarsi le cure. Poi le assicurazioni hanno in mano la tua salute: anche se il medico ti dice che hai bisogno di un esame, se l’assicurazione non concorda l’esame non lo fai, a meno che tu non lo voglia pagare”.

Una questione che l’ha toccata anche personalmente.
“Sì. Come racconto nel libro, ne ho fatto esperienza sulla mia pelle perché sono stata malata di cancro, e in Italia sono stata curata benissimo. Mio marito ha capito attraverso di me quanto orribile e sbagliato sia questo sistema: aveva già dei dubbi sulla sanità privata, ma vivere anche la mia ansia e la mia la mia frustrazione e poi vedere come funzionano le cose in Italia l’ha convinto del tutto”.

Simona Siri con il marito Dan Gerstein, la figlia Ella Mae e il cane Ugo

Parlando dei dibattiti statunitensi che in parte raggiungono l’Italia, come quelli sul politicamente corretto e la cancel culture, lei scrive: “gli articoli di commento sono spesso scritti da giornalisti e opinionisti che non vivono negli Usa, non ci hanno mai vissuto e non riescono a coglierne la complessità”. Ritiene che ci sia un grande divario tra la visione che gli italiani hanno degli Stati Uniti e la realtà del paese?
“Dopo quella citazione nel libro spiego meglio: tanto di quello che sta succedendo in questo momento negli Stati Uniti non può prescindere dall’enorme evento che è stata l’elezione di Trump. Questi eccessi di politicamente corretto, il movimento Black Lives Matter, sono soprattutto una reazione alle elezioni. Gli ultimi quattro anni sono stati molto difficili e il linguaggio della politica e quello della società si sono fatti molto violenti. Trump di recente si è ancora rifiutato di condannare il suprematismo bianco. Quindi il difficile equilibrio che si pensava di aver raggiunto con Obama è completamente saltato: non si può semplicemente scrivere che gli americani stanno impazzendo, che sono esagerati, bisogna capire il clima che si vive qui, dove, diversamente dall’Italia, il presidente ha molto potere e può cambiare la vita dei cittadini da un momento all’altro”.

Per esempio?
“La volta forse più clamorosa è stata quella in cui Trump ha bloccato i visti, e da un giorno all’altro moltissime persone si sono trovate impossibilitate a tornare negli Stati Uniti dove vivevano e lavoravano. Noi non riusciamo a capire quanta influenza e quanto potere abbia un presidente sulla vita dei cittadini, perché in Italia c’è un sistema completamente diverso. Quello che intendevo dire quindi è che tutte le analisi che non prendono in considerazione questo fattore, mancano di un elemento fondamentale”.

Parlando di movimenti come il #metoo e il Black Lives Matter, lei sottolinea come queste ondate di consapevolezza sociale negli Stati Uniti ottengano dei risultati, seppur ancora limitati, spiegando anche che in Italia ci si è invece fermati al dibattito pubblico. Come si spiega questa differenza?
“Porto l’esempio del #metoo: in Italia è arrivato meno ed è stato raccontato anche come un fenomeno di ‘uomini orrendi che subiscono la gogna mediatica’. In realtà è stato un movimento molto più ampio, una vera rivoluzione femminista, che ha avuto dei risultati. Poi si può discutere se siano stati abbastanza, se si stia andando nella giusta direzione, io sono la prima a metterlo in discussione. Però qualcosa ha mosso, ed è esattamente la differenza tra le due società”.

Anche con il movimento Black Lives Matter?
“Sì, a un certo punto ci siamo trovati tutti in piazza a protestare contro il razzismo, ma fino a un giorno prima sembrava andasse tutto bene. Anche se in modo scombussolato, con strappi, accelerazioni, rallentamenti, quella statunitense è una società che si muove, mentre quella italiana è molto più statica. Qui davvero hai la sensazione, anche un po’ ingenua se vuoi, che ci possano essere grandi cambiamenti spinti dalla volontà popolare, che le proteste possano funzionare e influenzare la politica. È molto comune chiamare i politici, che hanno un numero di ufficio, per lamentarti di ciò che non va: c’è un contatto diretto tra chi viene eletto e la popolazione, che è vissuto dai cittadini come un ‘tu lavori per me e quindi devi rendere conto a me prima di tutto”‘.

Quindi è una questione sia culturale, sia amministrativa.
“Per esempio negli Stati Uniti è molto forte e sentita la pratica del lobbying, ovvero le associazioni (anche di cittadini) che fanno pressione sui politici per ottenere delle cose. E poi qui i sondaggi sono molto frequenti, si testa continuamente cosa pensa la gente, che è abituata a esprimersi, delle problematiche o dei singoli politici e questi determinano l’indirizzo di un partito o di un politico. Quindi sì, direi che le differenze si sviluppano in queste due direzioni”.

Fotografia header: Francesca Magnani

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