Nei primi secoli la letteratura italiana non conosce autrici: vi è mai capitato di leggere un’affermazione simile nei manuali scolastici e di dare uno sguardo ai loro indici, per secoli concentrati sulla storia della letteratura maschile? “Le scritture delle donne in Europa. Pratiche quotidiane e ambizioni letterarie (secoli XIII-XX)” di Tiziana Plebani è un saggio che fa scoprire una storia della letteratura e delle scritture parallela a quella ufficiale. Dal Duecento, al Rinascimento, passando per l’Umanesimo e arrivando fino all’Ottocento: un percorso che racconta da dove e come è nata l’esigenza di scrivere per le donne… – L’approfondimento

Nei primi secoli la letteratura italiana non conosce autrici: vi è mai capitato di leggere un’affermazione simile nei manuali scolastici e di dare uno sguardo ai loro indici, per secoli concentrati sulla storia della letteratura maschile? Bene, è arrivata l’ora di sdoganare la convinzione che le donne non scrivessero, con finalità letterarie o meno. Benché l’analfabetismo femminile fosse indiscutibilmente molto più alto di quello maschile (e ci vollero secoli perché lo scarto si assottigliasse), basta leggere Le scritture delle donne in Europa. Pratiche quotidiane e ambizioni letterarie (secoli XIII-XX) (Carocci) di Tiziana Plebani, per scoprire una storia della letteratura e delle scritture parallela a quella ufficiale. Assolutamente da integrare, si è convinti alla fine del saggio. 

Le scritture delle donne in Europa

Pur non ambendo a un’esaustività d’altra parte impossibile, Tiziana Plebani presenta sette secoli di scritture femminili in un volume dall’agile paragrafazione, con documenti foto-riprodotti, una dettagliata bibliografia e un sistema di note accurato. Nell’azione di selezionare le fonti, filtrare gli aspetti da trattare e nell’equilibrio dei generi trattati, Plebani mette a frutto la sua formazione: storica e saggista, è anche esperta di storia del libro, della lettura e della scrittura, di sociabilità e storia dei sentimenti. 

Da dove è nata l’esigenza di scrivere per le donne? Sostanzialmente da un aspetto pratico, ovvero dal bisogno di trasmettere beni ed eredità e di gestire questioni patrimoniali. Tuttavia, non dobbiamo pensare che le donne medievali non nutrissero ambizioni letterarie: l’amore e la critica dei vizi e dei difetti dell’altro sesso sono temi particolarmente trattati, fino a dare origine a veri e propri generi, come le “canzoni delle malmaritate” o le “chansons de toile”. Se nella tradizione bretone la diffusione di scritture femminili è superiore, a metà del XIII secolo anche l’Italia ha la sua prima autrice, nota al pubblico come Compiuta Donzella, che ha cantato in volgare fiorentino di preferire la vita monastica a un matrimonio forzato, senza amore. 

Con l’arrivo della cultura laica e mercantile, si registrano nuovi bisogni e anche l’alfabetismo si diffonde maggiormente: non è raro incappare in documenti di donne che scrivono adottando la grafia mercantesca tipica della loro epoca. E sempre più spesso nei testamenti trovano spazio brevi proto-autobiografie, in cui le donne raccontano le tappe fondamentali della propria vita. Ma con l’avvio dell’Umanesimo le cose si complicano: alla scrittura di “egodocumenti” (in cui domina ancora il rifiuto della vita matrimoniale coatta) si affiancano testi in cui le donne discutono di religione (raccontando persino esperienze mistiche vissute in prima persona) e si rivolgono ai potenti, sperando di orientare le loro scelte. 

Cancelliamo quindi la vecchia convinzione che il Rinascimento sia stato tutto declinato al maschile; anzi, alcune penne femminili sono indissolubilmente legate a intellettuali e letterati, con cui intrattengono fitti scambi epistolari. Determinante per la promozione e la diffusione dei testi, è l’invenzione della stampa a caratteri mobili, che promuove l’intellettualità femminile, ma aiuta anche a creare un pubblico di lettrici. Si conta che solo nel ‘500 siano stati stampati testi di 214 donne. Tra questi, si contano molte raccolte poetiche che trattano l’amore personalizzando il modello petrarchesco. Purtroppo se l’istruzione superiore è ancora un miraggio, a Parigi e in Francia, grazie all’appoggio di varie donne al potere, si diffonde la querelle sulla legittimità degli studi per le donne e non poche riescono a entrare in prestigiose accademie. Per affermarsi, l’emancipazione trova anche altre vie, meno ufficiali e certamente singolari: ad esempio, molte donne si dedicano alla traduzione e alla riscrittura di testi classici, ma non è raro che facciano sentire la propria voce emendando parti considerate misogine o approfondendo i punti di vista di eroine del passato. 

Complici in questo cammino verso l’alfabetizzazione sono anche i tanti abbecedari e manuali di scrittura che si diffondono alla fine del Cinquecento; tra i più curiosi, ricordiamo alcuni manuali che spiegano come scrivere lettere (in particolare d’amore): spesso si invitano le donne a fare professione di modestia, scusandosi anticipatamente per i propri errori. 

Tale invito all’umiltà si raffredda nel secolo successivo, quando la Riforma infiamma molte donne, che condividono le proprie convinzioni religiose e si schierano, anche in modo appassionato e aggressivo, dall’una o dall’altra parte. Pamphlet, placard e petizioni sono nuove forme di scrittura pubblica frequentate dalle donne. E tale apertura non crolla neanche quando, con la Controriforma, si respira un forte disciplinamento delle donne, che si vogliono molto più legate alla casa, alla famiglia e, dunque, alle attività domestiche. Tuttavia, gli stimoli all’acculturazione non mancano: anzi, paradossalmente le campagne controriformistiche vogliono che anche le donne siano più istruite per comprendere appieno il catechismo e non lasciarsi traviare da varie forme di eresia. Come già in passato, le donne sapranno sfruttare al meglio questa spinta all’alfabetizzazione e reimpiegare le competenze acquisite per scrivere e leggere madrigali, drammi pastorali, esperimenti letterari, oltre a manuali di puericoltura, ricette, trattati di scienze. Iniziano a diffondersi scritture protofemministe, cariche di vis polemica nel rivendicare i diritti delle donne (soprattutto di quelle non aristocratiche) e nel criticare le opere misogine della tradizione. 

Anche nel Seicento, considerato generalmente un secolo di grande crisi culturale e sostanziale regressione dell’istruzione, la scrittura non scompare del tutto; si piega piuttosto verso l’epistolografia e verso l’uso quotidiano per i libri di famiglia. Sebbene calino i mecenati e i patronage che finanziano le pubblicazioni, si trovano altre soluzioni per diffondere la cultura: alcune donne si impongono come animatrici nei salotti, dove spesso discutono dei romanzi, intesi come strumenti di educazione morale. Vi si leggono alcune denunce (il giogo o la schiavitù del matrimonio, la monacazione forzata) e spesso nelle sinossi si rivendica l’autonomia economica femminile, che ha alla base la richiesta di una migliore istruzione. Intanto, pittrici, cantanti, musiciste, scultrici e attrici occupano il loro posto, chi in accademia chi nei salotti; filosofia e scienza non sono più discipline solo maschili e, anzi, si creano opere di divulgazione pensate appositamente per le lettrici. Che dire, poi, dei romanzi, che ospitano eroine sempre più indagate nella loro problematica interiorità, mosse da desideri di riscatto personale e sociale? Tra rispettabilità e impostura, violazione delle leggi sociali, tradimenti o, al contrario, scelte di castità, le vere e proprie protagoniste sono loro: le donne. 

Date queste premesse, non sconvolge pensare al Settecento, “secolo dei lumi”, come al periodo in cui il giornalismo crea prima rubriche e poi riviste appositamente pensate per il pubblico femminile; e per quanto complesso, si registrano anche i primi nomi di redattrici, spesso coperte da pseudonimo per salvare la propria rispettabilità. Intanto, bestseller come Pamela e La nuova Eloisa spronano a riflettere sul potere della scrittura e dell’amore, in grado di sovvertire anche le regole sociali, e incrementano la predisposizione delle donne a scrivere di sé. Così, se nel Settecento i resoconti di viaggio sono un fortunato genere editoriale, anche le donne si mettono alla prova e registrano l’eccezionalità delle proprie esperienze, solitamente condotte affianco del marito, trasferito all’estero per questioni di lavoro. E quante romanziere possiamo contare in questo secolo. Se nel 1770 sono già più degli uomini, nel 1780 sono più del doppio, con netta predilezione per la forma epistolare: molte hanno ormai intrapreso la via della scrittura come mestiere (spesso, però, adottando ancora uno pseudonimo per preservare la propria rispettabilità). Fondamentale sarà poi il loro contributo nella causa della Rivoluzione Francese, con memorie, ricordi e autobiografie che fiancheggiano i tanti contributi giornalistici e le più battagliere petizioni al re. 

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E l’Ottocento, secolo della storia, non fa che conclamare nella sua prima parte l’interesse delle donne per la questione storico-politica delle nazioni, mentre nella seconda parte del secolo l’istruzione obbligatoria dà i suoi frutti e i tanti cambiamenti delle vite femminili diventano (anche) nuove identità da raccontare. Ecco che allora, accanto alla lotta e alla riflessione sulla condizione operaia e sullo sfruttamento al lavoro, le donne offrono anche importanti contributi allo sviluppo pedagogico. In fondo, dopo la caduta dei modelli tradizionali, l’Ottocento ha fortemente bisogno di una nuova morale adatta ai tempi, lontana dai precedenti aristocratici e molto più sensibile al presente. Si moltiplicano quindi anche i contributi delle donne: ben 1850 sono i loro scritti storici, con netta preferenza per le biografie. 

Sul finire del XIX secolo, oltre ai già affermatissimi epistolari, la riflessione su di sé trova uno spazio raccolto e speciale nel diario, coltivato sia come pratica personale, lontana dalla pubblicazione, sia come primo terreno di prova per le proprie velleità letterarie. 

Ma la vera urgenza di comporre e leggere lettere e di registrare ricordi si afferma prepotentemente con la Grande Guerra, intesa anche come una grande esperienza di massa, senza però soffocare la soggettività dei singoli scriventi. 

E ora? Oggigiorno il percorso pare meno tortuoso di quanto non sia stato in precedenza, ma c’è ancora tanto da fare, a cominciare dalla condivisione di questa storia delle scritture femminili (poliedriche, multiformi, più o meno pubbliche e letterarie). Ecco perché abbiamo provato a comunicare in questo articolo quanto sia avvincente, imprevedibile e assolutamente audace la storia delle scritture femminili, un campo di studi tutto da approfondire, anche grazie allo studio di Tiziana Plebani. 

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