Ilaria Tuti ha la capacità di recuperare la forza di storie abbandonate, e in “Come vento cucito alla terra”, romanzo sulla storia delle “Lady doctors” ambientato negli anni della Grande Guerra, racconta un’altra vicenda nascosta nella memoria, di donne coraggiose e ostinate. Suffragette che, nel mezzo dei combattimenti, aprirono la prima unità chirurgica gestita esclusivamente da donne, per uomini, in zona di guerra…

“Non le sentite urlare? Sono grida di guerra. Una guerra di diritti. Qualcuna di noi dovrà pur combatterla. Se non noi – oggi, adesso -, dovranno farlo le nostre figlie domani”.

Ilaria Tuti ha la capacità di recuperare nel tempo la forza di storie abbandonate, piccole perché umane, attuali perché vissute, e di restituircele con l’efficacia della sua emozione narrativa, con una poesia di immagini.

Aveva fatto così con i ritratti delle donne carniche in Fiore di roccia, una storia di abnegazione e generosità, e nel nuovo Come vento cucito alla terra (Longanesi) racconta un’altra vicenda nascosta nella memoria, di donne coraggiose e ostinate.

È una storia di amazzoni che conquistano la libertà, per sé, per le proprie figlie, per gli uomini, per tutti: perché la libertà non è una questione di genere, ma di civiltà, è il grande insegnamento della storia, fatto di testimonianze vere che strappano il sipario della fantasia con la violenza della verità, e superano il confine dell’ideologia per mettere davanti agli occhi l’ovvio.

Ambientata negli anni della Grande Guerra, la storia delle Lady Doctors è quella di creature marchiate come ibride: donne medico, ma destinate a curare solo donne e bambini in ospedali di carità. La loro è un’attività malvista dai benpensanti, tollerata perché circoscritta. Alle dottoresse non viene concesso di più, perché la medicina indurisce i cuori, e quello delle femmine è considerato troppo tenero per reggere.

Nel mezzo dei combattimenti, un gruppo di suffragette con a capo Flora Murray e Louisa Garrett Anderson apre la prima unità chirurgica gestita esclusivamente da donne, per uomini, in zona di guerra. Sono volontarie, infermiere, e chirurghe, che lasciano l’Inghilterra, rigida nelle sue convenzioni, e con il supporto dell’Ufficio della Croce Rossa di Parigi inaugurano il primo ospedale inglese in terra francese.

Tra le fila del WHC, il Women’s Hospital Corps, c’è Cate Hill, dottoressa in ginecologia, abituata a rabberciare prostitute nei sobborghi di Londra, a restituire loro vita e dignità.

“Anche la sutura, come il ricamo, è un atto d’amore. È come l’amore, no? Unisce e risana”.

In corsia c’è bisogno di un cuore tenero perché curare è un atto di amore e di misericordia, e insieme c’è bisogno di un cuore duro per sopportare l’idea stessa della disumanità umana, capace di brutalizzare. Per questo, quando Cate e le sue colleghe si trovano davanti ai corpi martoriati dei soldati, non hanno indugi ad affondare le loro mani in quelle ferite, ad amputare arti, a convivere con sangue e fetore. Lo fanno con professionalità e con cura, con attenzione e con ascolto, consapevoli che i traumi di quei giovani sono le lesioni più gravi.  Suturare è un atto di amore, che ricuce gli strappi, della carne e dell’animo.

Sono gli uomini a essere impreparati alle cure delle donne: spaventati dalle loro mani più che dagli ordigni, riluttanti a farsi toccare, sono sicuri di essere finiti in mezzo a cure di serie b, urlano, invocano un medico uomo, un medico vero. Il Capitano Alexander Allan Seymour e i suoi uomini si trovano tra i pazienti, quando le dottoresse si spostano a Wimereux sulla costa, sulla rotta della corsa al mare degli eserciti, e poi a Londra, all’ospedale militare di Endell Street: la loro esperienza del fronte è fatta di sporcizia e orrore, di buio squarciato da lampi, di cristi crocifissi, di ragazzini terrorizzati e affamati in trincea, carcasse di cavalli, fuoco e acqua tinta di sangue.

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È questa tinta a spiccare su un fondale di morte, cupo, in bianco e nero: è il rosso dei papaveri della speranza. Come anni fa la tenerezza di un cappottino rosso di bambina ci ha lasciato sgomenti di fronte all’orrore di un’altra guerra ma della stessa follia, così in Come vento cucito alla terra è la delicatezza dei petali a raccontare la brutalità con poche gocce di colore: quello del sangue versato, ma anche quello del sangue che scorre e ribolle per sollevarsi e sopravvivere.

“Nel liquame, fiorivano papaveri, tremuli come la speranza. A volte riempivano intere colline, come le fosse comuni; le radici si nutrivano di sangue. Alcuni fiorivano ancora, nelle spianate scaldate dal sole. Alexander aveva raccolto qualche petalo, li teneva tra le pagine del suo diario, per ricordare il sacrificio di tanti”.

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Gli uomini che arrivano in corsia sono in molti casi dilaniati, a pezzi, letteralmente, destinati a una vita da disabili: per tutti si tratta di reinventarsi, disegnando un’idea di futuro diversa da quella che si aspettavano. È una frattura che strappa le divise e le maschere a tutti: alle donne che affermano se stesse nella loro caparbietà e nella loro professionalità, indossano i pantaloni con orgoglio e per praticità, agli uomini che imparano un senso della virilità più consapevole e si scoprono capaci di ricamare, accogliendo qualcosa di impensabile.

Quella dei reduci di guerra ricamatori è una testimonianza storica vivissima: promossa dall’attore e ex combattente Ernest Thesiger, l’arte del ricamo venne diffusa come strumento per lenire i traumi di guerra e per riabilitare al lavoro i soldati disabili, nonostante fosse osteggiata dai vertici dell’esercito e dall’opinione pubblica come occupazione troppo effeminata.

Cate e Alexander sono due protagonisti di una stessa avventura della libertà di costruire se stessi contro ogni pregiudizio, liberandosi dagli stereotipi di genere, con un senso di libertà che è indifferente a cosa la società chiede a un maschio e a una femmina, alle divise che gli altri inducono a indossare: è una forza che ricuce gli strappi, psicologici e sociali, per assicurare un futuro migliore alle generazioni a venire. Sono entrambi fragili ma caparbi, decisi a combattere per sopravvivere, come i papaveri tra i bombardamenti.

In una Londra svuotata dagli uomini, in cui tutti i ruoli si capovolgono, la storia delle Lady Doctors e dei reduci ricamatori è un inno a un cambiamento possibile. È la forza di un vento che soffia, così vigoroso da poter demolire i muri della convenzione, ad affermare un’immagine di sé diversa da quella considerata appropriata dalla società.

Ilaria Tuti maneggia con sapienza parole e colori, lavora di sfumature con lo stile raffinato che la contraddistingue: la sua è una poesia che fa a botte con la forza dei temi e parla ai sensi, con rappresentazioni potenti, come quando dipinge il volto di una natura empatica che soffre e urla con gli uomini, o quando taglia il respiro con l’ombra terribile dello Zeppelin che porta distruzione sul cielo di Londra.

È una ricerca estetica mai fine a se stessa, una chiave di lettura della natura umana: la sua archeologia di storie è fatta per comprendere, com-patire, immaginare un mondo capace più di sentire che di giudicare, senza preconcetti e disuguaglianze.

“Un giorno, a Parigi, una donna mi disse che non siamo soli nell’affrontare il cambiamento. È vero. Ci sarà sempre qualcuno che si batte per le stesse cose che noi difendiamo, anche se non possiamo vederlo. Dobbiamo tenere a mente che c’è, non dimenticarlo mai, e andare avanti. In un modo o nell’altro, bisogna pur prendere posizione”.

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