Muovendosi tra sapienza esoterica e culti iniziatici, componenti magiche egizie e testi gnostici, con “Figlia della cenere” Ilaria Tuti regala al suo personaggio più noto, il commissario Teresa Battaglia, una nuova indagine che è al tempo stesso un’impegnativa storia di redenzione – L’approfondimento

“«Eri polvere, ma la sofferenza è diventata fuoco», sussurrò la donna. «Ti ha resa incandescente. E dalla cenere della tua vita precedente sei rinata. Questo è il destino dei comandanti, commissario Battaglia. Non abbassare mai più la testa, davanti a niente e a nessuno. Nemmeno a te stessa»”.

Non è stata facile la vita di Teresa Battaglia: il commissario è una donna ferita, e le sue cicatrici sono segni profondi, cacciati dentro, nell’oscurità di un vuoto che le è rimasto, nel ventre e nel cuore.

Le sue sofferenze l’hanno resa più forte, nel tempo, ma l’abisso sa trovare appigli per conquistare terreno. Teresa Battaglia ha fatto dei suoi tormenti una risorsa, la capacità di comprendere le storie altrui, sentirle dentro, accettando la verità più faticosa, che siamo tutti vittime e carnefici, e che dietro ogni mostro si nasconde un dolore.

La mente è il suo terreno di caccia: riesce a ricostruire esistenze, a interpretare le aberrazioni peggiori dando loro un significato, una narrazione, trovandone le radici. È fermamente convinta che anche nel cuore del peggiore Caino resti qualcosa da salvare. Il suo è il potere di chi ascolta.

Teresa è una cacciatrice di anime in caduta libera, precipitate: in Figlia della cenere (Longanesi) scende nell’oscurità del male, nel luogo più profondo e cupo del suo stesso Inferno, per ritrovare la luce. E lo fa come solo lei sa fare, senza misure di sicurezza, senza prudenza, proprio accanto all’uomo che aveva catturato ventisette anni prima, Giacomo Mainardi, quello che conosce tutti i suoi segreti, capace di visioni d’estasi e di orrori.

Per Teresa è giunto il tempo di ricostruire la propria storia: agganciare ricordi, incontrando i vuoti che l’hanno segnata e resa la donna che è oggi, la non madre, la comandante risorta. Mentre la foschia della dimenticanza avanza impietosa, segnando il suo destino, Teresa affronta la bestia più feroce, per salvarla e salvarsi.

“«Tu mi hai sempre capito, per questo sei riuscita a fermarmi.»
Teresa si sentì addolorata per lui. C’era tutta una vita, in quella frase. La sua, quella di Giacomo. Esistenze che si erano incrociate, scontrate, in parte dissolte al contatto l’una con l’altra. In parte, rafforzate”.

Giacomo ha trovato una preda perfetta per i suoi macabri rituali, ha seminato indizi e tessere per un ritratto da ricostruire, un dialogo a distanza con Teresa, un gioco perverso ma inaspettatamente carico di amore, che conduce il commissario all’origine del male e della sua verità. È un’archeologia del dolore che calca solchi antichi, alla ricerca di resti dimenticati, delle vibrazioni che solo chi ha sofferto può riconoscere.

Sono percorsi sotterranei, sconosciuti, che nascondono storie e simbologie: calpestando mosaici antichi, facendo affiorare ombre dalla terra nera, il cammino di Teresa ha la solennità del passato e la forza di una gnosi, di un’esplorazione che ricongiunge all’origine.

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“Era scesa dentro la storia di quel ragazzo, era arrivata così in fondo che nel buio poteva sentire il cuore di lui battere. Poteva quasi vederlo, carne e sangue che si agitavano per sopravvivere, per portare laggiù un respiro vitale”.

Le voci di chi le consiglia cautela finiscono inascoltate, perché Teresa sa solo farsi inghiottire dalle indagini e dalle persone, è così che vive e lavora: il corpo che scricchiola, la mente che si offusca, la cicatrice della mancanza che fa male, ma il cuore pulsa sempre forte, e continua ad ascoltare.

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“Non farti inghiottire dalla sua storia. Da lui”. Sopraffatta dal peso della vita trascorsa, Teresa sa che solo con il fango sono stati costruiti i cancelli del paradiso, che la sofferenza umana è intrisa di peccato, e che essere vittoriosi sulla morte significa accettarla tutta, Luciferi di un Paradiso Perduto, anime cadute ma non sconfitte, capaci di redenzione.

Dalle spoglie di Aquileia, la sotterranea, la nascosta, Teresa ricompone il suo mosaico di dolore, riempie i suoi vuoti, e intanto accoglie quelli altrui, ristabilisce pienezza. Ci sono le imperfezioni di una famiglia atipica, ma non meno salda, quella che la sua squadra crea attorno a lei, a fare cordone, a riordinare i ricordi, etichettando, preparando tutto per lei, per dopo. Ognuno con le sue mancanze, i suoi sensi di colpa, i suoi segreti.

E poi Massimo: con lui la non madre può scoprire una dimensione nuova, quella che, più di tutte, è capace di salvare. Quello tra Massimo e Teresa è un rapporto protettivo, dove l’accudimento si sta spostando dalla madre al figlio, come si fa crescendo, invertendo i ruoli, ricostruendo equilibri, aggrappati uno all’altra, con commozione e con l’ironia di sempre.

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Muovendosi tra sapienza esoterica e culti iniziatici, componenti magiche egizie e testi gnostici, tra la resurrezione di Lazzaro e il cartiglio di Osiride, con Figlia della cenere Ilaria Tuti regala a Teresa Battaglia una nuova indagine che è al tempo stesso un’impegnativa storia di redenzione, senza mai perdere quel sentimento ruvido che la tiene profondamente ancorata alla sua terra, alla solidità dell’origine: la si sente in ogni pagina, la si respira, limacciosa e verdeggiante, una terra odorosa e selvaggia macchiata da acacie in fiore, una Natura primitiva, una Madre di inaudita forza e bellezza.

Fotografia header: GettyEditorial 18-05-2021

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