In una cittadina della Florida, una comunità di giovani madri si stringe per combattere insieme l’odio e l’indifferenza di chi ha voltato loro le spalle. Nel nuovo romanzo di Leila Mottley (già autrice di “Passeggiare la notte”), la più giovane finalista ai Booker Prize, il razzismo, l’indifferenza e la maternità sono temi che si mescolano, tra una lezione a scuola e un consiglio per allattare. Le sue “ragazze che diventano grandi” lo fanno assieme, in una comunità che combatte i pregiudizi e difende le proprie scelte

Alcune realtà sono, all’apparenza, talmente distanti da noi che ci sembra del tutto naturale ignorarle. È in questi casi che vengono in nostro aiuto i racconti delle persone che queste realtà le vivono e sono disposte a urlare, pur di farle risaltare e ascoltare.

Ragazze che diventano grandi di Leila Mottley

Un esempio in questo senso è rappresentato dal ritorno in libreria dell’autrice-prodigio Leila Mottley con Ragazze che diventano grandi (Bollati Boringhieri, traduzione di Sara Reggiani), un romanzo che dà spazio alle voci di giovani e giovanissime ragazze che, nel profondo sud degli Stati Uniti, la Florida, portano avanti le loro gravidanze, “bambine che fanno bambini”.

Leila Mottley torna, dopo Passeggiare la notte, finalista al Booker Prize, con un romanzo complesso ma sincero, alle volte quasi difficile da digerire.

Le “ragazze” sono un gruppo di giovani mamme di Padua Beach, una città che “non dovrebbe nemmeno esistere. Non siamo su nessuna cartina, nessuno sa di noi tranne noi, e ogni volta che qualcuno passa di qui, ride del modo in cui viviamo, del modo in cui parliamo, mangiamo, ma noi resistiamo”.

A fare da campo banda è Simone, la più grande del gruppo, che ha avuto i suoi gemelli cinque anni prima.

Attorno a lei si è creato il gruppo delle “ragazze”, una costellazione di neo-mamme che vedono in lei un punto di riferimento, una confidente e un’amica, pronta a dare consigli sulla gravidanza, su come allattare il proprio bambino anche se questi rifiuta il seno, su come gestire gli sguardi truci degli abitanti del paese che, scandalizzati, si tengono ben lontani da queste giovani mamme.

“Ve la metto così: le mamme adolescenti sono, come la Florida, il capro espiatorio preferito del Paese. La tua nipote prediletta ha una dipendenza da Fentanyl e vive dal nonno del suo ragazzo? Almeno non è una mamma adolescente. Ti hanno licenziato e devi tornare a stare dai tuoi in Colorado? Se non altro non è quel buco che chiamano Florida. Scopri che tua figlia è lesbica? Sempre meglio che incinta! È stata vittima di crimini d’odio? In Florida sarebbe anche peggio!”.

La comunità delle ragazze vive principalmente sulla spiaggia, tra i boschi e sulla riva del bayou. Le ragazze festeggiano, si ubriacano, ma vanno anche a scuola e a lavoro, dividendosi tra loro i compiti e la gestione dei figli, in una specie di comune in cui Simone fa da matriarca.

A dividersi lo spazio del racconto, oltre Simone, ci sono altre due voci, quella di Emory e quella di Adela.

Emory è la “cognata” di Simone. Un tempo fidanzata con suo fratello, con cui porta avanti un tira e molla continuo, è anche la mamma di Kai: unica ragazza bianca del gruppo, è appassionata di biologia e il suo sogno è quello di potersi iscrivere al college, magari portando con sé il bambino.

La descrizione del legame con Kai è tra le pagine più tenere del romanzo: Emory è sempre con il suo bambino, che porta legato a sé, tramite un marsupio.

“Forse non sapevo a cosa andavo incontro quando avevo smesso di prendere la pillola, quando avevo partorito e poi avevo finto di poter restare la stessa. Ma ora sapevo che non si poteva tornare indietro neanche volendo. Ero la madre di quel bambino e, anche se non sarebbe mai più stato al sicuro come nel mio ventre, mi sarei fatta il giro del mondo a nuoto pur di vedere la sua faccia serena e non gonfia di pianto, il corpo intatto a parte le piccole chiazze di eczema su cui gli spalmavo la pomata prima della nanna”.

E poi c’è Adela. Promessa del nuoto dell’Indianapolis, costretta dai genitori a stare dalla nonna in Florida per tutto il periodo della gravidanza per non dare scandalo nei loro circoli per bene, è la nuova arrivata nel gruppo. Fin da subito restia a mescolarsi con le altre ragazze, sarà la voce fuori dal coro. Una scelta sbagliata la porterà prima ad allontanarsi da Simone e le altre e poi a capire per che cosa vale davvero la pena lottare.

“Non credo che volessi qualcosa di diverso, in un modo o nell’altro mi sono sempre vista come una madre, di mia sorella, di mio fratello o di un figlio mio. Ma adesso? Adesso voglio cambiare. Non puoi prevedere cosa succederà, Adela, ma puoi guardarti dentro e dire sinceramente chi sei e cosa sei disposta a sacrificare per ciò che desideri. Almeno io sto facendo così”.

Leila Mottley, che a sedici anni è stata la più giovane autrice a essere nominata Poet Laureate di Oakland, scrive di maternità giovanile liberandosi da giudizi o moralismi, mettendo insieme storie e testimonianze di varie ragazze, come racconta nei ringraziamenti.

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Le voci di queste giovani donne rispondono subito a domande che potrebbero sorgere spontanee in queste situazioni. Temi delicati come l’aborto o l’affidamento vengo trattati nella maniera più naturale possibile, spesso evidenziando come a queste giovani donne un’altra scelta non sia concessa.

Non è un caso che l’ambientazione sia proprio la Florida, uno degli stati che maggiormente ha risentito dell’annullamento della sentenza Roe contro Wade (che garantiva il diritto d’aborto su tutto il territorio statunitense). In un’intervista al settimanale Io Donna, l’autrice ha raccontato di come l’annullamento della sentenza, avvenuto proprio agli inizi della stesura del romanzo, abbia influenzato nella scelta dell’ambientazione.

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“Ho commesso degli sbagli. Non serve che me lo diciate, lo so già. Ma la verità è che non esiste genitore che non abbia inferto del male al suo bambino con la stessa mano che usava per accarezzarlo. La differenza fra una madre che merita il perdono e una che invece è imperdonabile sta tutta nella sua volontà di rimediare. Di scusarsi e comportarsi diversamente. E io avrei fatto qualsiasi cosa per essere migliore per loro”.

È così che nasce il gruppo delle “ragazze”. Circondate dall’indifferenza di famiglia e istituzioni (spesso sono state cacciate di casa, costrette a vivere in alloggi di fortuna) sono state capaci di crearsi una comunità alternativa che le aiuta e le sostiene, qualunque sia la loro scelta.

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