Tratto dalla storia vera di Leo Sharp, “Il corriere – The Mule” racconta la vicenda di un ignaro yankee novantenne azzannato dalla crisi a cui viene affidato il trasporto del carico stupefacente da un cartello messicano della droga. Con il suo ultimo film, Clint Eastwood dimostra di essere ancora capace, nella prigione della fiorita della sua vecchiaia, di coltivare una certa cura per qualcosa di effimero e crepuscolare come il cinema. E il suo spirito inesausto conserva ancora la leggerezza della danza, accanto alle tentazioni lapidarie di un film testamento. Come un fiore, accanto a una pietra… – L’approfondimento

Benedetto sia il ladro che ti deruba del tuo fardello. Guardando il volto segnato, coriaceo e nobile (come nome vuole), di Earl Stone (letteralmente: Conte Pietra), sul quale grava tutto il senso della colpa (e dello scandalo: etimologicamente, la pietra d’inciampo), e si fa strada, fra rughe e ferite del tempo, un palese tragitto d’espiazione, torna in mente la saggezza controintuitiva del detto chassidico. Il male può portare qualcosa di buono: ciò che viene sottratto si traduce in guadagno. Così, è nel bel mezzo di un gelido inverno che può aver luogo una fioritura, tardiva quanto inattesa.

È tutto così smaccatamente dichiarato nell’ultimo film di Clint Eastwood da risultare nascosto, in piena luce. Come la lettera rubata di Poe. Come i fardelli “misteriosi” (McGuffin di salvezza e perdizione) che il protagonista accetta di trasportare attraverso il deserto, e come quel fardello interiore di cui cerca di liberarsi, per via avversa e perversa. Di questa natura paradossale dà conto ripetutamente una pellicola in cui l’icona Clint Eastwood (89 anni a maggio) si cala innanzitutto (come per kenosis), in occasione di questa tarda primavera (da leggere in filigrana quella del Robert Redford di Old Man & the Gun), nei panni di un floricultore con il debole per il ballo e per i drink, workaholic per natura che semina bellezza, coltiva fiori che vivono un solo giorno e distribuisce bulbi (oculari?).

Una metafora buona del regista, che sarebbe piaciuta a Bernardo Bertolucci, e al suo piccolo grande imperatore giardiniere. Esemplare e definitivo “anti type castingautoironico, coglie la delicatezza oltre alla scorza di duro, fino a toccare il cliché opposto (col rischio della caricatura, o stereotipo a contrario), e fa bene il paio con l’apparente implausibilità che innesca il racconto (tratto tuttavia dalla storia vera di Leo Sharp raccontata dal New York Times): un cartello messicano della droga che affida il trasporto del carico stupefacente a un ignaro yankee novantenne azzannato dalla crisi, incapace perfino di inviare un sms, per quanto abbia condotto un’esistenza da ottimo guidatore (neanche un’infrazione stradale). Eppure è proprio il fatto di essere al di sopra di ogni sospetto, con la sua finta debolezza applicata al falso movimento dell’andirivieni (sisifesco) di confine del traffico di droga, che lo rende, in ultima analisi, perfetto per il ruolo. Invisibile.

Ma seguitiamo coi paradossi: a un controllo di polizia, il pubblico ufficiale va a muso duro per interrogare i ricchi diavoli custodi ispanici che scortano il vecchio e improvvisato corriere, in modalità profilazione raziale automatica. Ecco che l’attempato gringo distrae l’autorità spalancando davanti agli occhi del poliziotto il bagagliaio del suo vistoso van dal contenuto scottante, facendogli dono di due bidoni ingombranti e innocenti di prodotti agricoli, per distoglierlo da ogni supplemento d’indagine. Una mossa controintuitiva, da fine psicologo e navigato prestigiatore. Pura misdirection. Ancora: per nascondere qualcosa, mettilo sotto il riflettore.

Del resto l’anziano “mule” (gergo per “corriere”, ma anche “mulo”, con un’eco animale e metaforica che rievoca la figura cristologica bressoniana di un Au hasard Balthazar) può tranquillamente far sosta in un motel monitorato dalle forze dell’ordine, e far colazione e quattro chiacchiere col proprio inseguitore (un Bradley Cooper qui investito, per simpatia e sintonia, di un carico simbolico ereditario), senza che nessuno abbia il ben che minimo sospetto che dietro l’incartapecorito dispensatore di saggezza e di rimpianti si nasconda il miglior veicolo del trafficante di droga numero uno.

Il Corriere - The Mule

Altrettanto paradossale appare la scorrettezza politica che dispensa questo anti-eroe smascherato, sempre gentile e pronto a dare una mano on the road a “lesbiche”, “negri” e “mangiafagioli”, così li chiama per consuetudine, in un mondo contemporaneo in cui le parole scandalose di un vecchio dell’Illinois stridono con atti di attenzione e disposizione all’aiuto che paiono provenire da un’etica d’altri tempi. Così la correttezza politica si rivela solo il velo ipocrita di una corruzione morale più profonda e radicata, e in quella schiettezza ruvida si rinviene un’autenticità capace di maledire eppure fare del bene.

Non stupisce allora che questo percorso di catabasi alla Breaking Bad, il gran capo dei cattivi riveli un cuore d’oro (come non vedere in Andy Garcia, per quanto imbolsito, sempre e comunque la recluta di Gli intoccabili?) e che l’apologo del vegliardo e pervicace trasportatore di fisicità (minacciato sulla via dello smarrimento e della redenzione da internet e dalla crisi) si risolva in una sostanziale e catartica dichiarazione di colpevolezza.

In un film di vocazione fordiana (nel senso di John) e fordista (nel senso di quella catena di montaggio della macchina-cinema e dei suoi veicoli che va dalla Gran Torino, passando per all’F-100 anni Settanta, per giungere alla muscle car fiammante di oggi), in cui stacanovismo dell’etertainment, ispirazione classica e zampata d’autore provano a convivere ancora una volta, averrebbe da ricordare il vecchio adagio (era Truffaut?): “Se volete mandare un messaggio, rivolgetevi alle poste”. E se accettiamo che Il corriere recapiti, anche, una morale un po’ telefonata, ché Eastwood è ancora capace, nella prigione della fiorita della sua vecchiaia, di coltivare una certa cura per qualcosa di effimero e crepuscolare come il cinema. E il suo spirito inesausto conserva ancora la leggerezza della danza, accanto alle tentazioni lapidarie di un film testamento. Come un fiore, accanto a una pietra.

L’AUTORE: qui tutte le recensioni e gli articoli di Matteo Columbo per ilLibraio.it

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