Samantha Bruzzone e Marco Malvaldi, coppia nella vita e nella scrittura, si raccontano con ilLibraio.it in occasione dell’uscita di “Chi si ferma è perduto”, un giallo in cui si ride molto. La protagonista, Serena Martini, è infatti una divertente anti-eroina: “Viviamo in un paesino della Toscana, e questo personaggio ci è stato ispirato dalle amiche e dalle vicine, sempre di corsa, prese da mille piccole faccende”. Nell’intervista si parla anche del ruolo dell’ironia e della scrittura a quattro mani. E del saggio per ragazzi “La molla e il cellulare – Che differenza c’è tra una scoperta e una invenzione”, che spiega i principi delle scoperte e delle invenzioni usando l’oggetto più tecnologico che i ragazzi hanno tra le mani: il cellulare

Chi si ferma è perduto, pubblicato da Sellerio, è il nuovo libro scritto a quattro mani da Marco Malvaldi e Samantha Bruzzone: non è un giallo nell’accezione classica del termine, ma è un giallo che fa ridere, e in modo parecchio intelligente.

Marco Malvaldi e Samantha Bruzzone sono due scrittori, chimici e fini umoristi, e la loro anti-eroina Serena Martini è impastata di ironia, multitasking e fiuto per il misterouna donna affaccendata, un personaggio sfaccettato e tridimensionale. La trama racconta la realtà dei paesi toscani, la logica dei piccoli borghi e le loro piccole leggi interne, e lo fa con un linguaggio colloquiale ed effervescente, gustoso e ironico.

Chi si ferma è perduto, Marco Malvaldi e Samantha Bruzzone

Lo sfondo in cui si muove Serena Martini è un paese della Toscana, in cui tutti sanno tutto di tutti, in cui si sviluppano amicizie dopo aver accompagnato i figli a scuola e in cui si possono fare scoperte sconvolgenti, tra una sessione di jogging e l’altra.

Non è la prima volta che Malvaldi e Bruzzone scrivono insieme: i due, coppia anche nella vita reale, sono un prolifico duo. Hanno firmato anche un libro per ragazzi, Chiusi fuori (Mondadori Ragazzi), e in queste settimane anche il saggio La molla e il cellulare – Che differenza c’è tra una scoperta e un’invenzione? (Raffaello Cortina Editore), che affronta il tema delle scoperte e delle invenzioni  in maniera fresca e dinamica.

Di questo, e di tanto altro, abbiamo parlato proprio con loro: ascoltare le risposte dalla loro viva voce è stata un’esperienza istruttiva e divertente.

“Ero vestita da gita della parrocchia in montagna, avevo i capelli legati col leghino del pancarrè”; “se metto i bambini a tavola i bambini con prosciutto e mozzarella rischio una denuncia per maltrattamenti”; e infine “sono una di voi”, rivolgendosi al lettore. Serena Martini, più che un’eroina del giallo, sembra un’anti-eroina, familiare, verace e alla portata di mano. Come avete costruito e caratterizzato la protagonista di Chi si ferma è perduto, e com’è nata l’ispirazione?
(Bruzzone): “Serena vive da diversi anni nella nostra testa, piano piano è cresciuta e cambiata, e ci siamo ispirati a ciò che vediamo tutti i giorni: ho scelto di ispirarmi in primis alle amiche, alle avventure e alle disavventure che ci raccontano. Siccome anche noi viviamo in un paese, spesso ci capita di incontrare le vicine e le amiche, che sono sempre di corsa, prese da mille piccole faccende: sono talmente prese che hanno sempre meno tempo da dedicare a se stesse. Il paese induce a questa trascuratezza: magari sei in casa e stai facendo qualcosa o sei in smart working, e devi scappare per prendere i bimbi a scuola, corri, vai, scappi, però poi ti ricordi che il marito torna con il treno e di corsa vai a raccoglierlo, è tutto un affastellarsi di piccolezze, e alla fine ti metti il leghino del pancarrè per legarti i capelli. O li porti corti come me…”.

Siete una coppia anche nella vita privata. Come è stata la fase di editing di Chi si ferma è perduto? Ora che siete usciti allo scoperto, continuerete a firmare insieme?
(Malvaldi): “Probabilmente sì, lavorare a quattro mani per noi è qualcosa di molto lineare perché, volendo usare una terminologia cinematografica, Samantha si occupa della storia (soggetto e sceneggiatura), mentre io della regia e del montaggio. Quindi, la parte di scrittura propriamente detta tocca a me, mentre lei costruisce la storia: io scelgo i personaggi e li descrivo, mentre lei sceglie le motivazioni e le dinamiche. Certo, ne firmeremo altri a doppio nome, non quelli della serie dei delitti del BarLume”.
(Bruzzone): “Quando si lavora a quattro mani, un po’ si litiga e un po’ ci si diverte: essendo sposati, è anche un qualcosa che rende molto meno noioso il matrimonio”.

Chi si ferma è perduto è soprattutto un romanzo di odori, descritti con perizia chirurgica: “odore di camera di adolescenti”, “odore di piedi sudati”…
(Malvaldi): “Noi siamo chimici, e gli odori sono fondamentali: sappiamo che essi sono legati a molecole, ed è una sensazione molto sincera. L’olfatto è un senso difficile da educare, ma anche obiettivo. Abbiamo cercato di usare la nostra esperienza chimica, unendola anche a un po’ di studio. Ci siamo serviti di vari saggi, libri e articoli scientifici, abbiamo tentato di dare una plausibilità a ciò che raccontavamo, per non scrivere cose che sapevamo potessero essere false. Consigliamo Sensi chimici di Silvano Fuso e Il senso perfetto di Anna D’Errico”.

Si parla della comunità chiusa di Ponte San Giacomo, quasi come un recinto in cui i “forestieri” non possono entrare. A quale tipo di comunità o dinamica paesana vi siete ispirati?
(Bruzzone): “Noi viviamo in un piccolo paese: fino all’anno scorso eravamo a Vecchiano, ora a San Giuliano Terme, che sono molto vicini e che si trovano tra Pisa e Lucca. All’inizio eravamo forestieri, i ‘piovuti’, quelli capitati lì per caso: non avevamo conoscenza dei luoghi né delle persone e non capivamo le relazioni tra gli autoctoni. Per fortuna in generale il toscano è curioso ed è anche disposto ad accoglierti, ma dopo un po’. All’inizio sei quello strano, per il semplice fatto che, per esempio, non fai la spesa al consorzio agrario, ma al supermercato”.
(Malvaldi): “Andare al supermercato è un errore clamoroso se abiti in paese, è un’abitudine da turista! Devi capire il codice di comportamento e i ruoli sociali, nel paese di prima c’era una signora che era indicata come la moglie del prete. I ruoli del paese non sono dati tanto dall’attività lavorativa, quanto dall’unicità: è l’unicità a renderti importante”.

Non manca anche una velata critica al mondo scolastico e a ciò che gli orbita intorno (genitori, invadenza, gruppi Whatsapp…).
(Bruzzone): “Sì, è così. Più che al mondo scolastico, a certi comportamenti che si sono sviluppati in questi anni: i gruppi Whatsapp sono un incubo a cui non si sfugge, c’è la costante paura di non essere aggiornata e di essere tagliate fuori. In paese, poi, c’è un doppio problema: conosci le mamme dei compagni di tuo figlio, sai più o meno tutto delle altre famiglie. E quando non sai, c’è sempre qualcuno che si fa carico di fartelo sapere”.

Anche se si parla di omicidi e misteri, il linguaggio di Chi si ferma è perduto è fresco, colorito e colloquiale. Che intento c’è dietro questa scelta linguistica e che funzione svolge l’ironia nella vostra scrittura?
(Malvaldi): “Mi reputo un umorista, e anche Samantha ha questo punto di vista abbastanza scanzonato sul mondo. Puoi scegliere se far ridere, piangere, arrabbiare o spaventare a partire dalle stesse cose, l’importante è creare un’emozione. C’era una comica americana anni ’50, Erma Bombeck, che diceva: se devo ridere penso alla mia vita sessuale, se devo piangere penso alla mia vita sessuale. L’importante è generare un’emozione… Scegliamo di far ridere perché ci piace, e anche perché questi sono morti di carta, sono modellini di realtà, queste persone non sono morte per davvero, ed è bene ricordarlo sempre.
Questa premessa ci aiuta a usare quella che è la capacità principe dell’essere umano: far finta che accadano cose, e usare le cose fittizie per capire il mondo reale”.
(Bruzzone): “Di solito è più difficile far ridere che piangere, è una sfida. Quando un lettore ci dice che lo abbiamo fatto ridere, lo reputiamo un bellissimo complimento”.

La molla e il cellulare, Malvaldi e Bruzzone

Chiudiamo con il saggio La molla e il cellulare. Com’è nato?
(Bruzzone): “Era un po’ che ragionavamo sul fatto che nostro figlio, che ha 13 anni, confonde scoperta e invenzione. Abbiamo pensato che valesse la pena chiarire questi concetti, pensando a un pubblico di ragazzi. Ci siamo chiesti quale sarebbe potuta essere una strada interessante, e abbiamo pensato che l’oggetto più tecnologico che i ragazzini hanno in mano è proprio il cellulare. Così siamo partiti da quello. Da lì, abbiamo scelto di procedere a ritroso e tornare alla molla, spiegando passo dopo passo i concetti fisici che ne hanno permesso la realizzazione, sperando di mantenere viva la curiosità dei ragazzi”.
(Malvaldi): “L’idea è stata di Samantha, non mia: io sono stato solo un mero esecutore di ordini!”.

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