“È un’esperienza inedita, quella di ritrovarci faccia a faccia con il nostro viso, quella maschera mobile che esitiamo, vedendola in un mare di altre maschere, a riconoscere come nostra”. Nel nuovo numero della rivista “Sotto il vulcano”, la scrittrice Ilaria Gaspari racconta il potere dello sguardo, uno sguardo che non è solo verso gli altri e le loro “scintille di vite sconosciute”, ma che è anche verso sé stessi, il proprio volto e i propri pensieri – Ecco la sua riflessione

Passo molto tempo a guardare dentro le finestre delle case. Lo so, non si fa, eppure è un richiamo irresistibile; quando è buio, soprattutto. Come se la sera accendesse, in una lanterna magica, scintille di vite sconosciute che mi dissolvo nell’immaginare.

Per la stessa ragione mi appassionano le foto delle agenzie immobiliari. Non mi interessano metrature o prezzi, ma la struttura delle stanze, il colore degli infissi. Quando la pandemia ha incoraggiato le riunioni online, e gli incontri lavorativi sono diventati assemblee di ectoplasmi riuniti su uno schermo, ciascuno con lo sfondo del proprio salotto, della cameretta o della cucina, le mie inclinazioni voyeuristiche hanno registrato un’impennata. E non ero certo l’unica: sui social sono nati gruppi in cui si condividevano le immagini delle case delle celebrità, commentando arredi e illuminazione.

Non abbiamo avuto, però, solo accesso alle finestre degli altri: siamo stati sommersi da un flusso di immagini impossibile da metabolizzare. Dentro questo flusso, galleggiava qualcosa che non eravamo abituati a vedere – non in quel modo, non con quella frequenza.

La nostra faccia. Che parlava, sorrideva, ammiccava. Non una novità assoluta: da oltre un decennio la fotocamera frontale del telefono ci incoraggia a scrutarci nei selfie, a controllare pose e scartare quelle in cui non ci riconosciamo – cioè non ci piacciamo. Ma con l’invasione delle videoconferenze, il nostro viso nel mosaico di ritratti ci stranisce. Chi non cede alla tentazione di osservarsi da quell’inquadratura insolita? Subiamo tutti la seduzione di una trasgressione impercettibile: non siamo progettati per vederci mentre parliamo, ridiamo, ci accaloriamo. Abbiamo occhi da predatori, in posizione frontale, come i rapaci. È un’esperienza inedita, quella di ritrovarci faccia a faccia con il nostro viso, che l’evoluzione ha modellato perché potesse offrire ai nostri simili la possibilità di leggere i segnali del pericolo o dell’eccitazione che ci dilata le pupille. Come tanti Narcisi siamo stati risucchiati dal nostro riflesso; un riflesso dinamico, non statico come quello nello specchio. Un riflesso emotivo che ci ha permesso, per la prima volta, di guardarci dal di fuori, quasi fossimo estranei a noi stessi.

Le statistiche dicono che la sovraesposizione a questa nuova prospettiva ha moltiplicato le richieste di interventi estetici: al naso, alle labbra, per correggere difetti che forse appaiono tali solo per mancanza di familiarità con quella maschera mobile che esitiamo, vedendola in un mare di altre maschere, a riconoscere come nostra.

In questo flusso di immagini troppo torrenziale perché possiamo processarlo, che ci spalanca il discutibile privilegio di guardare ed essere guardati dai nostri stessi occhi, si innesca il potere dello sguardo; un potere non soltanto immaginifico, ma propriamente magico, come dimostrano le etimologie della costellazione lessicale dell’invidia, legata al “guardare storto”, al “guardar male” (in latino invidere), al malocchio: uno sguardo capace di ingiallire l’erba del vicino, se appare troppo verde.

Ma il potere della vista non si risolve nel suo uso maligno; è un potere immenso, che fonda la possibilità di conoscere e capire. La vista è il senso da cui attingiamo la maggior quantità di informazioni; probabilmente, però, non è solo questa la ragione per cui la maggior parte delle persone all’idea della cecità prova un terrore imparagonabile a quello associato all’ipotesi di perdere il gusto o l’olfatto, o il tatto, o persino l’udito. Anche se è dalla pupilla che, come dal diaframma di una macchina fotografica – imitazione tecnologica di quello che l’evoluzione ha saputo congegnare – entra la luce catturata dal cristallino per arrivare alla retina, non è con gli occhi che vediamo. All’atto del vedere, all’elaborazione dell’immagine, è preposto il cervello. E questo legame fra vista e pensiero la filosofia l’ha intuito prima ancora che la medicina ne avesse le prove, tanto che la parola idea è connessa al tema del verbo ἰδεῖν: vedere.

Le idee sono luminose entità del pensiero. Diciamo: non ne ho la più pallida idea quando brancoliamo nel buio e non ci pare possibile acchiappare la più sbiadita fosforescenza che rischiari le tenebre. Anche il lessico poetico dell’innamoramento, la lirica lo eredita dall’epoca in cui l’amore era materia filosofica: così, la via dell’attrazione che si apre per gli occhi al cuore sublima il ruolo della bellezza nel colpo di fulmine – di nuovo, una metafora luminescente. Ma, certo, come nel mito platonico della caverna, ogni fonte di luce proietta ombre che deformano le proporzioni degli oggetti e creano immagini illusorie, suggestive; c’è una dialettica, fra ombra e luce, che si nutre della loro compresenza. Di molti grandi pittori – Cézanne, Monet, Degas – si dice che le imperfezioni della loro vista abbiano influenzato l’opera. Lo trovo commovente: l’arte è un varco che apre la possibilità di vedere il mondo con gli occhi di un altro, ereditandone financo i difetti, le imperfezioni che appannano la visione.

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Vista e illusioni ottiche vanno di pari passo. Il nostro cervello elabora in immagine il risultato della lunghezza variabile di onde elettromagnetiche che si trasformano in colori. Il cielo, giureremmo che è azzurro – ma solo perché la luce blu, per via della sua lunghezza d’onda particolarmente breve, rifratta dalle piccole particelle degli strati più alti dell’atmosfera, si diffonde in ogni direzione.

Le stelle che vediamo hanno brillato, in realtà, in un passato lontanissimo: la luce viaggia a 300.000 km al secondo. Il cielo è una mappa del passato eppure, da sempre, dalla nostra piccola Terra blu, l’abbiamo immaginato come il luogo del futuro, dei desideri da esprimere nella scia di una stella cadente – che non è affatto una stella, ma un meteorite in effimera discesa. E continuiamo a farci incantare doppiamente: dalla realtà delle cose che la scienza rivela e dalla loro apparenza illusoria, che ci lascia sognare.

sotto il vulcano copertina

L’AUTRICE DELL’INTERVENTO TRATTO DAL NUOVO NUMERO DI SOTTO IL VULCANOIlaria Gaspari, scrittrice e collaboratrice de ilLibraio.it, è nata a Milano. Ha studiato filosofia alla Scuola Normale di Pisa e si è addottorata con una tesi sulle passioni all’università Paris 1 Panthéon Sorbonne.
Scrive per diverse testate, e collabora con radio, tv e scuole di scrittura. Nel 2015 è uscito il suo primo romanzo, Etica dell’acquario (Voland). Ha poi pubblicato Ragioni e sentimenti – L’amore preso con filosofia (Sonzogno),  Lezioni di felicità. Esercizi filosofici per il buon uso della vita (Einaudi) e, sempre con Einaudi, Vita segreta delle emozioniNel 2022 per Giulio Perrone editore è uscito A Berlino – Con Ingeborg Bachmann nella città divisa. Con Emons, (e con il sostegno dell’Institut Français Italia), sempre nel 2022, ha curato e condotto il podcast Chez Proust.  Per la collana digitale Quanti di Einaudi ha inoltre pubblicato il saggio breve Cenerentole e sorellastre – Una botanica della bellezza.

IL NUOVO NUMERO DELLA RIVISTA – Racconti, reportage, interviste, riflessioni personali e analisi sociali: importanti scrittori, filosofi, artisti, scienziati italiani e stranieri accompagnano i lettori del nuovo numero della rivista Sotto il vulcano attraverso i grandi mutamenti di questo nostro tempo inquieto. Sotto il Vulcano, progetto edito da Feltrinelli, si propone infatti di comprendere e raccontare le trasformazioni che stiamo vivendo. Ogni numero, oltre a ospitare firme e rubriche ricorrenti (tra cui quella di Ilaria Gaspari, che proponiamo, ndr), dedica la parte centrale a un tema specifico, scelto insieme da Marino Sinibaldi e da un curatore ospite, che questa volta è Giacomo Papi, scrittore, giornalista e autore televisivo. Le illustrazioni sono di Andrea Serio.

Nel nuovo numero si parlerà di “selfismo”, ovvero dell’epoca storica in cui viviamo, in cui sembra quasi che che nulla esista più senza una testimonianza diretta e che l’unica realtà descrivibile sia quella filtrata dall’individuo, da ciascuno di noi. Tra gli altri interventi, le analisi del neuroscienziato Vittorio Gallese e dello psicanalista Vittorio Lingiardi, il memoir di Karl Ove Knausgård, gli articoli di Margaret Atwood, Mariarosa Mancuso, Giada Messetti e Filippo Ceccarelli, i racconti di Bruce Sterling, Chiara Gamberale, Guadalupe Nettel e Michele Serra, il poemetto di Aldo Nove e il graphic novel di Silvia Ziche.

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