“Quanto a me, che potevo fare? Qualcosa di più: immaginare una vera e propria autobiogrammatica che ambisse a disegnare un atlante del linguaggio di un singolo individuo: cioè del suo modo di sentire e vivere la lingua”. Con queste parole Tommaso Giartosio introduce “Autobiogrammatica”, sperimentale viaggio letterario nel proprio linguaggio, proposto al Premio Strega 2024 da Emanuele Trevi (ed entrato in “dozzina”). Un’impresa che tocca silenzi, voci e interi alfabeti, scandagliando i freudiani iceberg rappresentati dai piccoli gesti verbali

L’Autobiogrammatica è un gioco sorprendente e vertiginoso: il racconto di un’esistenza – unica e comune – come la storia di un linguaggio.

Viene presentato così l’esperimento letterario di Tommaso Giartosio (edito minimum fax), scrittore romano classe ’63 che, come novello Mary Shelley, compone il suo personalissimo Frankenstein unendo romanzo di formazione e memoir, cronaca famigliare e autoritratto, dizionario pubblico e privato

Autobiogrammatica di Tommaso Giartosio

“Un’impresa che a me sembra preziosa quanto necessaria“, commenta Emanuele Trevi, scrittore romano che ha vinto l’edizione 2021 del Premio Strega con il romanzo Due vite (Neri Pozza) e che proprio con queste parole ha proposto all’edizione 2024 del premio letterario il libro-impresa (tra l’altro, entrato in “dozzina”).

Anche lo stesso Giartosio nelle prime pagine articola l’impulso vitale e l’esigenza primigenia che lo hanno portato a dar vita a questa ardente auto-lettura: “Quanto a me, che potevo fare? Qualcosa di più: immaginare una vera e propria autobiogrammatica che ambisse a disegnare un atlante del linguaggio di un singolo individuo: cioè del suo modo di sentire e vivere la lingua”.

Nel redigere la propria sincera confessione lo scrittore – che ha studiato letteratura italiana e comparata a Roma e a Berkeley – si affida a fugaci parole, pronunciate in maniera talvolta superficiale in quei polverosi interstizi di scambi e dialoghi passati. Delle parole che però, messe sotto la lente d’ingrandimento, rivelano un quid che le ammanta, una ragione ultima che ne giustifica essenza e/o assenza, un’aura pronta a guidare come lanterna nell’oscurità.

Nonostante queste luminose premesse l’indagine linguistica proposta in Autobiogrammatica inizia però in maniera alquanto bizzarra, quasi rocambolesca: una battuta, caustica e mordace, che unisce mondi lontani come giochi di parole e crimini di mafia. Il soggetto di questo scherzoso e piccante intervento è Salvo Lima. O meglio, SalvoLima, salvolima, salvo e lima: delle parole che scisse ed analizzate in tutte le loro proprietà (dalla semantica alla fonetica) rivelano un mondo.

“Se la parola Salvo era sia corruzione che purezza, la parola Lima mi serviva per eludere l’alternativa, per evadere. Lima le sbarre, scappa, fuggi!” afferma in un moto d’autocompiacimento l’autore, giunto – grazie ad un estenuante e meticoloso approfondimento terminologico – nei tenebrosi e kafkiani anfratti di queste due parole.

“Ho fatto i conti con due parole, pensavo. D’accordo. E tutte le altre?”

Da qui ha inizio il viaggio a ritroso di Tommaso Giartosio nello sconfinato mondo delle (proprie) parole. Un’impresa che tocca silenzi, voci e interi alfabeti, scandagliando i freudiani iceberg rappresentati dai piccoli gesti verbali – scambiati in segno di pace (o di guerra).

Dei grossi monoliti di ghiaccio simili a quelli rotti dal padre con un semplice Óla, “parola prima che dona a tutti senza che nessuno raccolga, senza nulla chiedere e senza informarsi”. Una sola particella capace di racchiudere un mondo, al contrario del linguaggio materno: barocco, sfaccettato e sfarzoso, un parlato che travalica idiomi e che si serve di floreali intorni linguistici per sviscerare anche il più semplice dei concetti.

Nel redigere il proprio personale Lessico famigliare (come il romanzo autobiografico di Natalia Ginzburg, pubblicato da Einaudi nel 1963, che l’autore cita a più riprese) Giartosio respira parole, si nutre di esse per poi riversarle sulla pagina bianca alla ricerca di nuove, multiformi connessioni. È esemplificativo, da questo punto di vista, il mosaico di “animali strani” (o esotici) che colonizza la pagina, allo stesso modo in cui da anni abita “semi-abusivamente” la mente dell’autore.

Una pagina di Autobiogrammatica di Tommaso Giartosio

Una pagina tratta da Autobiogrammatica di Tommaso Giartosio

O ancora le ricche autorappresentazioni che, negli anni, assumono diverse forme: dai monogrammi atti a fondere le lettere T e G in uno stemma dal gusto araldico a barocche e surreali illustrazioni, passando per i wall of text di firme, che da sempre sferzano i diari di scuola di studenti annoiati in cerca di autoaffermazione, rivendicando la propria identità attraverso i sali-scendi delle proprie iniziali – degni della più paurosa ed eccitante montagna russa.

Giartosio – che ha pubblicato, oltre a diversi volumi di saggi, i memoir Doppio ritratto (Fazi 1998, Premio Bagutta Opera Prima), L’O di Roma (Laterza 2012), Tutto quello che non abbiamo visto. Un viaggio in Eritrea (Einaudi 2023) e la raccolta di poesie Come sarei felice. Storia con padre (Einaudi 2019, Premio Napoli) – traccia tutti i legami che le parole sono capaci di creare e disfare.

Dei “ponti” tra una persona e l’altra che riguardano tutti per il semplice fatto che tutti (in forme differenti) li usiamo (o attraversiamo). “Sarei stato il pesce che racconta l’acqua” afferma l’autore, forse immedesimandosi nel “saggio pesce anziano” protagonista del discorso di David Foster Wallace al Kenyon college, riportato nella raccolta Questa è l’acqua (Einaudi, traduzione di Giovanna Granato). Questo, nuotando in direzione opposta rispetto a due giovani pesci, fa loro un cenno di saluto e poi dice “Buongiorno ragazzi. Com’è l’acqua?”. “Ma cosa diavolo è l’acqua?” rispondono i due, incapaci di vedere la rarefatta materia che li avvolge.

Tommaso Giartosio in Autobiogrammatica ci mostra creativamente, sinceramente, maniacalmente e a tratti malinconicamente “l’acqua” che lo avvolge, che lo ha avvolto e in cui ognuno di noi galleggia e nuota, a favore o contro la corrente.

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Fotografia header: Tommaso Giartosio, nella foto di Antonio Politano

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