Con un’opera dalle tinte body horror – quel sottogenere del brivido in cui le paure vengono manifestate per il tramite di modificazioni corporali – ma che ammicca alle leggende più famose sul tema della maledizione, Violet Kupersmith firma un romanzo d’esordio innovativo e dai molteplici livelli di interpretazione, efficace nel disseppellire la storia del Vietnam e nel ravvivarne i linguaggi con un approccio urbano e di contemporaneità femminista

Una scomparsa, volontaria o meno, all’insegna del mistero: trascorsi nove mesi dal suo trasferimento nella frenetica capitale vietnamita per ragioni di lavoro, dell’insegnante asioamericana Ngoan “Winnie” Nguyen – e delle sue innumerevoli allucinazioni – sembra essersi perduta ogni traccia.

Non vi è anima (viva) che sappia riferire sull’accaduto, così come indecifrabili sono gli ultimi comportamenti della disorientata protagonista: insonne, frustrata e molto spesso ubriaca, la solitaria Winnie potrebbe essersi smarrita in qualche vicolo del Distretto numero 6, o magari aver rinunciato alla propria libertà fra le braccia di un uomo conosciuto per caso (tipo il viscido Long Phan, con cui Winnie ha intrattenuto una relazione di comodo poco prima che si verificasse l’accaduto).

Ma se invece, privata delle sue radici, la giovane expat non fosse davvero svanita nel nulla, un “fantasma americano” fatto e finito ancor prima di morire?

A far chiarezza sulla sorte della donna – e di un’altra sparizione irrisolta, quella della vendicativa Binh, avvenuta nel passato e in circostanze tuttora da spiegare – il debutto letterario di Violet Kupersmith, Costruisci la tua casa intorno al mio corpo, traduzione di Michele Martino, NN, estensivamente indaga sul rapporto fra identità personale e appartenenza a un luogo, evidenziando quanto il sentimento di mancata integrazione finisca per corrispondere, in un certo qual modo, a una fuga dal proprio corpo.

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Non a caso, è alla Eradicazioni Spiriti Saigon Co. che la trama si rivolge per ricostruire la complessa vicenda dell’allontanamento di Winnie: composta da un vecchio Divinatore/esorcista e da un paio di assistenti in grado di comunicare con i trapassati, la straordinaria combriccola di acchiappa-fantasmi partirà dalla moderna città di Saigon per recarsi sino ai remoti altipiani di Ia Kare e da qui, in un viluppo episodico avente origine già nei giorni del colonialismo francese (1949), ripercorrere la storia del leggendario “cobra sputatore indocinese”, un pericoloso animale a due teste il cui veleno potrebbe aver rivestito un importante ruolo nelle vicissitudini della ragazza.

Che tale creatura abbia a che fare con la dimensione dell’ultraterreno, questo è chiaro sin dall’inizio; quanto invece il suo intervento colleghi fra di loro l’intera serie di sottotrame secondarie – l’incendio nella piantagione francese, il ritorno della scheletrica Binh, il rapimento della signora Ma – tal ultima è un’evidenza che non smetterà di ossessionarci sino alla fine del romanzo.

Perché, badate bene, nulla rimarrà sepolto al termine del racconto (tantomeno i defunti); in tal senso, anche laddove taluni passaggi dovessero risultare meno immediati alla comprensione – si pensi ai fenomeni “soprannaturali” che pervadono la narrazione, oppure ai rituali folklorici dei quali è disseminata la storia – ciò non ne affaticherà in alcun modo la fruibilità, ma anzi contribuirà nel far provare a noi lettori quella stessa sensazione di spaesamento che Winnie ha sperimentato sin dal principio del racconto.

Questo libro parla di come il passato non muoia mai davvero, di come tutto esista su un piano esteso, ed è questo che influenza la sua bizzarra linea temporale”, ci racconta l’autrice in un’intervista rilasciata al Center for Fiction in occasione della sua candidatura per il First Novel Prize, nel 2021, “alcune persone entrano e costruiscono una casa a partire dalle fondamenta, altre persone si limitano a spostare i mobili intorno a una casa che è lì da sempre (…) Scrivere è come lasciarsi muovere da qualcosa che è entrato nel tuo corpo, ed è questo ciò che si riflette nel romanzo, e che spero possa strisciare e insinuarsi anche nel lettore”.

Con un’opera dalle tinte body horror – quel sotto-genere del brivido in cui le paure vengono manifestate per il tramite di modificazioni corporali – ma che ammicca altresì alle leggende più famose sul tema della maledizione (da Ring di Kōji Suzuki al The Grudge di Takashi Shimizu), Violet Kupersmith firma un romanzo innovativo e dai tanti livelli di interpretazione, efficace nel disseppellire la storia del Vietnam e nel ravvivarne i linguaggi con un approccio urbano e di contemporaneità femminista.

Che poi, in conclusione di trattazione, della povera Winnie si verrà alfine a sapere qualcosa? Non è certo nostra intenzione anticiparvelo (e può darsi che questo non sia neppure il centro focale dell’opera), ma ciò che davvero non ci è possibile tralasciare è l’indiscussa abilità dell’autrice nel sovrapporre il mondo onirico a quello del quotidiano, in un amalgama di indizi dalla concatenazione a dir poco eccezionale. Perché, nel romanzo della Kupersmith, tutto torna alla perfezione, nodi al pettine e morti compresi.

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