Il grande dibattito di “Crossroads”, nuovo e atteso romanzo di Jonathan Franzen, è tra ciò che facciamo e il motivo per cui lo facciamo. L’autore de “Le correzioni” attraversa infatti la crisi della morale conformista borghese, raccontando l’imperfetta banalità della vita – L’approfondimento

Gli Hildebrandt, di New Prospect nell’Illinois, sono una normale famiglia del Midwest, infelice a modo suo, nei primi turbolenti anni ’70: la cultura hippy è una minaccia per la devozione rigorosa e moralista della religione, tanto più in una piccola comunità che ruota attorno alla chiesa e alla sua congregazione, tanto più in una famiglia protestante dove Russ è il ministro del culto della First Reformed, in un quartiere residenziale benestante.

Non è facile per i fratelli Hildebrandt essere figli di un predicatore, non è facile per Marion essere sua moglie: cresciuti nella dottrina della colpa, sono tutti alla ricerca di qualcosa, desiderosi di piacere, di essere presi sul serio.

Copertina del libro Crossroads

È un vero crocevia morale quello in cui si trovano i protagonisti dell’atteso Crossroads di Jonathan Franzen (Einaudi, traduzione di Silvia Pareschi): passandosi il testimone lungo l’arco temporale della storia, interpretano, ognuno con il proprio percorso, il conflitto interiore innescato dal mito dell’innocenza, con l’obbligo di essere tanto buoni da essere considerati all’altezza, ma sono ossessionati dalla loro naturale cattiveria, e feriti dalla vergogna delle proprie azioni.

“Il senso di rettitudine che avvertiva in fondo alle giornate peggiori, la sensazione di ritorno del figliol prodigo che ricavava dalle umiliazioni, erano il suo modo di sapere che Dio esisteva”.

Gli Hildebrandt faticano a dare un significato al concetto di virtù: il loro ideale della bontà fa a cazzotti con la realtà dell’esperienza, la devozione di una cultura individualista intrisa di convenzione porta solo al risentimento, il protestantesimo inizia a perdere aderenza sui giovani che vogliono verità e cercano riferimenti.

Chi cerca una risposta insegue la rivelazione, la luce di Dio, la fede che redime, e cerca una dipendenza in cui credere. Senza punti di riferimento, tra disciplina e autodisciplina, sono tutti vittime di slittamenti emotivi e esistenziali che li portano fuori asse, affascinati dalla purezza della sofferenza.

Lo stesso Russ, che dovrebbe essere il faro, della famiglia e della comunità, è un uomo insoddisfatto, in preda alla nostalgia del mondo semplice e genuino che rievoca nel periodo passato tra i navajo, o nel Greenwich Village, e che trova ancora nel dolore puro del blues. Il rimpianto di un’immagine di sé che esiste solo nella sua mente accompagna la frustrazione per la comunità di privilegiati di cui è ministro, e anche la sua debolezza di fronte alla giovinezza, e alla capacità di gioia, delle sue parrocchiane: sono fragilità che minano la sua reputazione, dentro e fuori casa, e lo portano a essere ridicolizzato e umiliato.

“La sua capacità di amare, che era l’essenza della dottrina di Cristo, non avrebbe dovuto procurargli un pochino di stima da parte di Dio?”.

I figli più grandi vivono la loro indipendenza rinnegando il padre, per la sua idea di assolutismo morale, la pochezza del suo impegno di facciata, la sua incapacità di essere guida, e si affannano a cercare un obiettivo altrove: Becky, cheerleader e reginetta della scuola, aderendo per amore a Crossroads, il gruppo giovanile della chiesa, capelli lunghi, pantaloni a zampa e spirito libero, Clem lasciando l’università con l’idea del Vietnam, per poi abbracciare la fatica del lavoro fisico, una dimensione di ruralità arcaica e quasi mitologica. Perry, quoziente di intelligenza 160, dibatte, come Gesù coi dottori al tempio, sul senso del giusto, sulla convenienza del candore emotivo, sul realismo della bontà fine a se stessa, sulla coscienza che non possiamo sfuggire al nostro egoismo.

Il grande dibattito di Crossroads è tra ciò che facciamo e il motivo per cui lo facciamo: l’incertezza morale degli Hildebrandt, che per sua natura è universale, in quel momento storico viene amplificata dalla crisi intergenerazionale e dallo scontro culturale e sociale tra l’America individualista degli anni ’60 e quella anarchica e libertaria degli anni ’70.

“La famiglia lo aveva risucchiato nei lineamenti condizionati dell’io da cui aveva cercato di fuggire con l’azione”.

Di fondo c’è la fatica di penetrare le motivazioni complesse e ingovernabili della morale, rinunciando alla sicurezza di Camus di una coscienza capace di valutare razionalmente le scelte morali. Qui non c’è sicurezza, solo fragilità e dubbi: cercano tutti di sapere cosa è giusto, bloccati tra essere buoni come dovrebbero, o essere cattivi come potrebbero, e girano a vuoto.

Marion, moglie di Russ, è quella che più di tutti soggiace al suo interruttore interno. La sua vita con Russ, cresciuto mennonita, è una continua ricerca di espiazione da un passato tenuto nascosto, una stabilità costruita sulla menzogna: sopravvissuta al peccato, è una donna che incolpa se stessa di tutto, anche del suo corpo cambiato, e che cerca un castigo, privandosi di cibo e di vita.

“Per un cattolico, la colpa non era solo un sentimento. Era l’inevitabile conseguenza del peccato. Era una cosa oggettiva, chiaramente visibile a Dio. Lui l’aveva vista mangiare sei biscotti, e il nome del suo peccato era ingordigia”.

Costruito su una linea di tempo che lega Avvento e Pasqua, in poche manciate di giorni, Crossroads è un dramma della quotidianità raccontato con empatia, con partecipazione. Con la sua consueta prosa rilassata e ironica, e un senso inaspettato di levità a tratti umoristica, Jonathan Franzen attraversa la crisi della morale conformista borghese, raccontando l’imperfetta banalità della vita, che deve costantemente affrontare i suoi crocevia e trovare i suoi numi.

Un libro che ruota intorno alla religione ma senza gravità, diventando racconto umano delle piccole cose: ancora una volta Franzen sorprende per la sua capacità di lettura dell’intimità e delle relazioni umane che ha fatto gridare al capolavoro con Le correzioni, dove un’altra famiglia americana, i Lambert, racconta la crisi diffusa e il fallimento di un mondo sempre più fragile.

Siamo capaci di sincera bontà? Sono le parole di Perry, manipolatore, genio e spacciatore ma tremendamente onesto, a dare l’unica possibile risposta: stiamo facendo del nostro meglio.

Fotografia header: GettyEditorial 23-09-2021

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