Le streghe in letteratura – come i morti viventi, i fantasmi e le creature raggomitolate nel buio e pronte a saltarne fuori – oltre che essere un divertente e, talvolta, spaventoso intrattenimento, sono straordinari dispositivi narrativi. Attraverso lo sguardo di due autori e alcune autrici, approfondiamo il loro racconto, in occasione della pubblicazione di “Elizabeth – Romanzo dell’innaturale” di Ken Greenhall, un repechage della metà degli anni ‘70…
Tra tutte le “creature” del sovrannaturale, le streghe sono quelle più vicine all’essere umano. Perché lo sono, a tutti gli effetti: donne con poteri paranormali, abilità speciali e conoscenze ancestrali, ereditate dalle loro madri, zie e nonne, seguendo una discendenza matrilineare.
Il fatto è che le streghe sono esistite per davvero, poteri o meno, sono state perseguitate con brutalità e da sempre emanano un fascino profondo.
C’è però una nuova fascinazione che si collega all’ondata di femminismo (la quarta) che dal 2010 sta investendo anche la letteratura.
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Elizabeth
È sicuramente in quest’ottica che si inserisce la nuova pubblicazione di Elizabeth – Romanzo dell’innaturale di Ken Greenhall (Adelphi, traduzione di Monica Pareschi) repechage – letteralmente ripescaggio – della metà degli anni ‘70.
Un romanzo breve, nelle sue 178 pagine, che ben si inserisce nel genere paranormale, vagamente horror e dalle atmosfere disturbanti.
Elizabeth è una ragazzina, ha quattordici anni, ed è la discendente di una stirpe di streghe.
La più abbietta tra loro è Frances, colei che le si palesa in uno specchio durante l’estate che trascorre in uno chalet a due passi da un lago.
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Elizabeth, ancora prima di venire marchiata dalla stregoneria, è ammaliante, maliziosa, cattiva. Il romanzo è scritto dal suo punto di vista, quello di una Lolita gotica e malvagia, una vera strega, di quelle raccontate dagli uomini.
Il suo percorso di affermazione è lastricato di scomparse e di incomprensioni, di rospi, gatti, serpenti e profili distorti da specchi concavi.
In patria, Greenhall era di Detroit, l’autore è molto conosciuto anche per i suoi romanzi successivi a Elizabeth, il suo esordio. Hell Hound (Paperbacks from Hell) e Childgrave, entrambi ripubblicati recentemente da Valancourt Books. È amato soprattutto per la maestria con cui intreccia personaggi orrendi e ambigui ad ambientazioni tetre.
In Elizabeth, le atmosfere evocate da Ken Greenhall (che ai tempi pubblicò questo romanzo sotto pseudonimo, con il nome di sua madre, Jessica Hamilton), sono cupe, drammatiche, tra il seppiato e il nero, cosí come le parole che saettano tra i personaggi come fruste. Un vero classico d’altri tempi.
Altre streghe non convenzionali e contemporanee
Di streghe raccontate da uomini ce ne sono moltissime: tra le più famose (e affascinanti) possiamo trovare Le streghe di Eastwick di John Updike (Big Sur, traduzione di Lorenzo Medici). Uno spassosissimo romanzo del 1984 (recentemente ripubblicato), da cui fu tratto uno spassosissimo film. La storia è quella di tre streghe nei suburbs americani, tra cocktail di benvenuto a nuovi vicini, concerti nella chiesa unitariana e piccole perfidie quotidiane tra casalinghe.
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La scrittura di Updike, ironica e, a tratti, indulgente, è perfetta per empatizzare con Alexandra, Sukie e Jane. Le tre streghe prima vengono sedotte dal demonio, che è un nuovo, ricco e inquietante vicino di casa, e poi dovranno, in qualche modo, arginarlo.
Le streghe sono qui usate come correlativo oggettivo per raccontare il perbenismo borghese della provincia, il suo incrinarsi ed esplodere in mille pezzi, sotto il suo stesso peso bigotto.
In Malefici materni, un racconto pubblicato in Vecchi bambini perduti nel bosco (Ponte alle Grazie, traduzione di Guido Calza), Margaret Atwood usa la stregoneria come spunto per raccontare un rapporto complesso tra madre e figlia.
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Le pozioni, gli incantesimi e le bugie tra loro gonfiano, oppure restringono, le distanze. Il momento in cui è ambientato è quello dell’adolescenza, periodo in cui, secondo chi ama il genere, i poteri vengono trasmessi da madre in figlia.
“«Sei malefica» dissi a mia madre. Avevo quindici anni, l’età delle rispostacce.”, così si apre il racconto, che parla, tra le varie cose, di emarginazione sociale e distanze generazionali.
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Un tuffo nel passato con la caccia alle streghe
Ne Le streghe di Manningtree dell’autrice A. K. Blackemore (Fazi, traduzione di Velia Februari) si torna indietro nel tempo, al 1643, nelle campagne dell’Essex, in un momento storico in cui la caccia alle streghe andava piuttosto forte.
Il romanzo affronta, con il classico stile cupo e ammaliante delle storie del terrore, temi come la povertà e l’abbandono sociale, all’interno di una comunità in cui gli uomini prevaricano e violentano le donne.
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Anche in questo caso, dunque, le streghe non sono solo uno snodo di trama, una necessaria atmosfera del racconto, ma anche elemento fondamentale per raccontare un mondo distorto, dominato da uomini che si sentono minacciati dall’indipendenza femminile.
Streghe nostrane
Dai titoli citati sembra che le streghe siano materia tutta anglofona. Eppure di streghe nostrane ce ne sono diverse, partendo da Loredana Lipperini che nel suo Magia nera (Bompiani), dedica alcuni racconti proprio a loro, oltre a diversi interventi sul suo blog Lipperatura, dove racconta anche di un’altra scrittrice di streghe italiana, Chiara Palazzolo: “Porsi la questione del Male significa, per il fantastico, evitare quelle distinzioni manichee che portano a stereotiparlo: in nessuna grande narrazione fantastica il Male viene separato completamente dal Bene, ma convive all’interno dello stesso individuo. A fare la differenza, ogni volta, è la scelta”.
E lo stesso punto di vista raccoglie, in qualche modo, anche la scrittrice Francesca Matteoni in un articolo su ilLibraio.it in occasione del suo ultimo saggio, in cui ricostruisce la storia delle streghe (che non sono solo donne), Il famiglio della strega (effequ): “Una strega si muove sul confine fra disgusto e fascino, capacità straordinarie ed emarginazione sociale”.
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È forse questa la grande differenza tra i modi di raccontare la figura della strega, tra stereotipi godibili e tentativi di approfondire, tra luoghi comuni del genere horror e narrativa.
C’è chi vede i suoi poteri oscuri e se ne spaventa, e c’è chi invece prova a raccontare attraverso di essa una presa di coscienza – il tanto citato empowerment -, un bisogno di tornare all’essenza, alla propria vera natura selvatica.
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