La scrittura di Loredana Lipperini è debitrice a quella di Shirley Jackson, che viene considerata “la maestra di Stephen King”, per la capacità di creare scenari horror senza però ricorrere alla presenza di mostri e di sangue. Gli incubi di “Magia Nera” sono crepe che irrompono nella quotidianità, sono il caos, l’inspiegabile che fa parte della vita di tutti i giorni. Nei racconti della raccolta la dimensione reale e quella magica si intrecciano in modo così stretto da non riuscire a capire dove inizi una e finisca l’altra… – L’approfondimento

La maggior parte delle storie di magia si fonda su un dubbio sotterraneo: e se fosse vero? Probabilmente non saremmo così attratti dai racconti di fantasmistreghe, spiriti e forze che sovvertono l’ordine delle cose, se non avessimo la paura (e perché no, anche la speranza) che possano realizzarsi veramente. Forse è per questo che, a volte, le storie più coinvolgenti sono proprio quelle in cui il confine tra verosimiglianza e fantasia si fa più sottile. In questo è stata brava la scrittrice, giornalista e conduttrice del programma di Radio3 Fahrenheit Loredana Lipperini con la raccolta di racconti Magia nera (Bompiani).

magia nera Loredana lipperini

Se però si superano il titolo e l’immagine di copertina – in cui fiamme ardono su una tavola imbandita che levita in un bosco – si scopre che l’elemento magico gioca un ruolo diverso da quello che ci si potrebbe aspettare: appena si addentra nella lettura, il lettore si imbatte nella sessione Matrimoni, di cui fa parte il primo testo della raccolta: Tu stessa, per inseguirlo. La protagonista è Cecilia, una giovane donna con un passato doloroso alle spalle. Il suo fidanzato è morto da cinque anni, ma lei non è ancora riuscita a trovare pace. Si tormenta ripercorrendo ossessivamente nella sua testa l’ultima conversazione che hanno avuto. Lei lo aveva accusato di essere un fallito senza ambizioni, e lui le aveva risposto, deluso, “Ho sposato una stronza“. Sono queste le parole che Michele ha pronunciato prima di morire e Cecilia sa che non avrà mai più la possibilità di chiedergli scusa, né di fare la pace. Ecco però che proprio sul finale (che non sveleremo), qualcosa cambia: il racconto subisce un’inversione di rotta che lo fa slittare su un altro piano, più spirituale, metafisico, magico. Eppure non si distacca mai completamente dalla realtà, anzi si integra in essa e ne dà un nuovo senso, un’altra chiave di lettura.

La magia nera che racconta Lipperini fa parte del nostro mondo, non di un altro. S’insinua silenziosa nelle nostre giornate, si nasconde negli oggetti di un mercatino d’antiquariato, tra ninnoli, lampadari di Murano, mobili in stile liberty e due ipnotici cristalli a forma di piramide che sembrano avere uno strano influsso su chi li possiede. Lo scopre la protagonista di Soltanto due euro, Elena, una donna che riesce a riconquistare l’amore del marito grazie al potere di un paio di cristalli acquistati per caso a una cifra modestissima. Che gli oggetti l’abbiano realmente aiutata nei suoi piani resta un mistero, e in fondo poco importa. Perché quello che incute più paura in tutto il racconto è la smania di Elena nel cercare di scoprire la nuova relazione del marito, la rabbia con cui fissa il cuoricino rosso che appare sulla sua bacheca Facebook, il dolore nel guardare le foto della donna che adesso ha preso il suo posto. E se fosse stato proprio il suo risentimento a scatenare gli eventi che hanno portato il marito a tornare da lei? Forse tutte le donne possiedono un’energia sovrannaturale capace di scardinare l’ordinario.

Non è un caso che i dodici racconti che compongono la raccolta (alcuni già precedentemente pubblicati su riviste e antologie) abbiano tutti delle protagoniste femminili. Un po’ probabilmente perché la sfera del magico è da sempre legata femminilità (sono apparsi a questo proposito molti approfondimenti interessanti, come quello di Ghinea sulla stregoneria), un po’ perché, come ha spiegato l’autrice in un’intervista a Minima et moralia, “non sono così frequenti le donne protagoniste: se si escludono, nel genere, le Shirley Jackson, le Margaret Atwood, le Angela Carter, la mai abbastanza rimpianta Chiara Palazzolo e soprattutto le strepitose nuove leve, quelle raccontate nell’antologia Le visionarie, curata per l’Italia da Claudia Durastanti e Veronica Raimo. Oggi i racconti delle donne e sulle donne conoscono una nuova fioritura: diciamo che è un piccolo contributo per riequilibrare un dislivello”.

La citazione di Shirley Jackson è significativa, come ha fatto notare Nadia Terranova sul Foglio, perché la scrittura di Loredana Lipperini è debitrice a quella dell’autrice che viene considerata “la maestra di Stephen King“, in particolare per la capacità di creare scenari horror senza ricorrere alla presenza di mostri e di sangue. Gli incubi di Magia Nera sono visioni, crepe che nascono nella quotidianità, sono il caos, l’inspiegabile che fa parte della vita di tutti i giorni. Sono la trasposizione di quella domanda iniziale: e se fosse vero?, quel dubbio che si insinua nel lettore e che lo terrorizza dalla prima all’ultima pagina.

Nei racconti la dimensione reale e quella magica si intrecciano in modo così stretto da non riuscire a capire dove inizi una e finisca l’altra. Questa caratteristica, presente in quasi tutti i testi della raccolta (in modo più o meno evidente), fa porre al lettore una domanda: si possono ascrivere alla letteratura di genere i racconti di Loredana Lipperini? La risposta la fornisce la scrittrice stessa nella nota finale del libro, pubblicata anche sul suo blog Lipperatura: “Queste storie non appartengono dichiaratamente a un genere, forse perché i generi, in fondo, non esistono. […] Qualcuno di questi racconti può essere classificato in base all’idea di genere che ci siamo fatti, l’horror, il gotico, lo steampunk, la distopia. Tutti sono, certamente, racconti che appartenenti al fantastico, perché scelgono di non percorrere la strada obbligata del realismo. Eppure parlano di realtà“.

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