Qual è la storia dei font? Dove e quando comincia? E ancora: è più corretto dire “il font” o “la font”? Scopriamolo in questo excursus, che ripercorre l’origine dei caratteri tipografici, arriva alle famiglie di font di epoca moderna e svela alcune curiosità legate ai typeface più usati dai grandi marchi ai nostri giorni…

Calibri o Helvetica? Times New Roman o Garamond? Sarà capitato a chiunque, almeno una volta nella vita, di avere difficoltà nella scelta, perché trovare il font giusto (o la font giusta) è una delicata questione di… “carattere“! In base al messaggio che si vuole trasmettere, al suo mittente e al suo destinatario, l’uno potrebbe infatti essere più indicato dell’altro.

Ecco perché numerose sono le guide cartacee e online che aiutano in questa scelta (da Sei proprio il mio typo a Critica portatile al visual design, da Alfabetiere a Segni e simboli, passando per Fuori di testo, Caratteri, testo, gabbia e Giambattista Bodoni, il manuale tipografico completo, tra le tante), illustrando le caratteristiche dei principali caratteri tipografici e citando molti aneddoti sul design.

Qual è, però, la storia dei font? In quale epoca e in quali aree del mondo affonda le sue radici? E soprattutto: è più corretto dire il font o la font? Scopriamolo in questo excursus.

Il font o la font? La parola alla Crusca

Partiamo dalle basi, ovvero da come definire i caratteri con cui ci relazioniamo ogni giorno, che sia per lavoro o per la nostra semplice attività di lettura, a partire dallo schermo del nostro smartphone, passando per pc e tablet e arrivando poi a quotidiani, documenti ufficiali, libri, riviste, cartelli e chi più ne ha più ne metta.

A dirimere la diatriba è l’Accademia della Crusca, che sul genere grammaticale di font riporta quanto segue: “È preferibile impiegare il maschile font per la terminologia informatica e ripristinare il termine originario femminile fonte per quella tipografica; in questo modo, oltre a mantenere la distinzione semantica connessa ai due ambiti, si renderebbe conto della diversa origine” delle due forme.

Il font, infatti, è un anglicismo che, come accade spesso nel gergo informatico, è passato dall’inglese all’italiano nella forma del maschile, mentre la font viene dal francese medievale fonte (cioè fusione) e ha mantenuto il genere femminile anche nella nostra lingua.

Grammatica italiana

In principio erano la Cina, Gutenberg e le lapidi

E veniamo ora alle origini delle font, partendo dal presupposto che, fin dalla loro invenzione, la scrittura e l’incisione sono state effettuate su ogni tipo di supporto: pietre, papiri e poi, soprattutto, pergamene. Si trattava del compito principale dei celebri amanuensi medievali, che copiavano i testi antichi in una grafia elaborata e arricchita da miniature, anche se operazioni altrettanto elaborate si svolgevano nel frattempo pure in Oriente.

Non a caso, fu proprio il cinese Bi Sheng a inventare intorno all’anno Mille dei blocchetti di porcellana su cui incidere gli ideogrammi, poi costruiti in legno e addirittura in bronzo nell’area della Corea. Il legno era il materiale sfruttato anche dalla xilografia praticata nelle stamperie italiche, dove le tavolette venivano incise, inchiostrate e impresse su carta tramite un torchio.

Tutte le tecniche citate vennero implementate e riunite dall’ingegno dell’orafo Johannes Gutenberg, che nel XV secolo pensò di allineare per la prima volta i caratteri tipografici mobili in piombo per stampare la Bibbia nell’edizione del 1453: il glifo corrispondente a ogni blocchetto si spalmava infatti di inchiostro grasso, e veniva così impresso sulla carta.

Per rendere il processo più rapido, semplice ed economico, però, non era pensabile mantenere i tratti svolazzanti dei copisti o lo stesso Gotico scelto da Gutenberg, motivo per cui si rese necessario creare font più comprensibili e scarnificate. Mentre era a Venezia, il francese Nicholas Jenson prese allora ispirazione dall’essenzialità delle lapidi latine e inventò un carattere rettilineo e di facile lettura: era nato il Roman.

“Famiglie” di font, grazie e bastoni

Dal Rinascimento alla fine dell’Ottocento, le “famiglie” di font si sono succedute senza tregua, dando vita ai caratteri che conosciamo e usiamo ancora oggi. Se parliamo di famiglie è per ben due ragioni: la prima è che in tal modo si definisce tecnicamente un insieme di caratteri uguali (per stile, altezza, larghezza); e la seconda è che la definizione assegnata a molte font deriva proprio dal nome di famiglia del loro inventore.

È stato così per il corsivo, anticamente noto come Aldino dal nome di battesimo di Aldo Manuzio (in inglese conosciuto come italic proprio perché veniva dallo Stivale), ma anche per il Garamond del francese Claude Garamond, per il Caslon dell’inglese William Caslon, per il Bodoni dell’italiano Giambattista Bodoni e per il Didot messo a punto dall’omonima famiglia di tipografi francesi.

Con il proliferare delle font sono nate anche le prime classificazioni, la più famosa delle quali contrappone i caratteri con le grazie o serif (piccoli allungamenti agli estremi di una lettera) ai caratteri senza grazie o sans serif, che invece costruivano le lettere solo attraverso curve e bastoni. Al primo gruppo appartengono, per esempio, le famiglie Old StyleBaskerville, mentre del secondo fanno parte Verdana, Arial e Lucida Sans.

‘800 e ‘900, tra cromolitografia e avanguardie

All’Ottocento risalgono, poi, due svolte importanti: da un lato, nel 1884 è stata brevettata infatti la linotype americana, una macchina per la stampa monotype con tastiera, che ha sostituito la composizione manuale grazie al connubio di digitazione umana e successiva composizione meccanica dei caratteri tramite fonditrice.

Dall’altro lato, la produzione industriale via via più massificata ha portato a un sempre maggiore sviluppo della cromolitografia. Si trattava di una tecnica grazie a cui si potevano stampare a colori scritte e disegni, così da rendere più decorato e appariscente ogni sorta di oggetto, nel tentativo di catturare l’attenzione dell’acquirente a discapito della concorrenza.

Si è deciso quindi di sbizzarrirsi nell’ideazione dei font più bizzarri, ispirandosi ora all’interesse per l’egittologia (vedi Slab Serif, Glyphic Serif) e ora a un certo gusto per il macabro (come accade per il Grottesco). Dopodiché, il primo Novecento è stato segnato dalle rivoluzioni artistiche: sono nati in quest’ottica il Gill Sans e il Johnston, poi affiancati da font più geometrici e da altri ispirati al Bauhaus, fra i quali Futura e Avant Garde.

I totalitarismi, specialmente nella Germania nazista, hanno poi coinciso con un ritorno ai font antichi, per esempio il Blackletter, ma soprattutto l’Antiqua e il Fraktur, mentre nel 1957 lo svizzero Max Miedinger si è basato sull’Akzidenz Grotesk per concepire il suo Helvetica, il cui nome coincideva con quello latino dato alla Svizzera.

I font dei grandi marchi di oggi

Negli ultimi decenni, l’evoluzione dei e delle font è andata di pari passo con l’affermazione sulla scena internazionale di diverse personalità influenti, che hanno rinnovato o immaginato da zero dei caratteri tipografici adatti alle nuove frontiere del marketing e della comunicazione elettronica.

Ciò ha consentito di accedere a un incalcolabile assortimento di typeface (come vengono oggi chiamati in inglese), a volte disponibili gratuitamente e a volte registrati e utilizzabili dopo l’acquisto di una licenza, mentre alcuni font sono intanto diventati una componente fondamentale dell’identità dei grandi marchi contemporanei.

Dalle variazioni di Helvetica usate da Fiat, Lufthansa o Nestlé passando per il Noto scelto da Google, fino ad arrivare all’amore per Didiot dimostrato da Vogue, Dior, Boss, Yves Saint-Laurent, Giorgio Armani, Guess e perfino Zara, per non parlare del Sans Serif rivisitato ad hoc per McDonald’s o del Verdana di Ikea.

E il discusso Comic Sans? È stato introdotto nel 1994 da Vincent Connare per Microsoft, con l’obiettivo di associarlo nel sistema operativo di Windows 95 all’assistente virtuale Rover, un cagnolino che doveva sembrare brioso e spontaneo agli occhi dell’utente alle prime armi. Brioso al punto che nel 2012 il Cern l’ha usato addirittura per comunicare la scoperta del Bosone di Higgs, con buona pace dei grafici di tutto il mondo.

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