Peso massimo della letteratura fantastica – ma che spesso ci confonde per via delle numerose varianti (dal Colosso al Ciclope, dal Leviatano al Titano) -, il Gigante è una creatura leggendaria che ci somiglia sotto tanti aspetti; dotato di fattezze antropomorfe e con un super-ego che ne amplifica il carattere, ci permette di osservarci dall’alto quasi fossimo noi stessi sotto una lente d’ingrandimento (quella di Dio o della Natura). E per non ritrovarci schiacciati sotto l’effetto dell’auto-critica, ecco una serie di romanzi sui “giganti” che ci faranno sentire all’altezza di ogni giudizio (almeno da un punto di vista letterario…)
Peso massimo della letteratura fantastica, ma che spesso ci confonde per via delle numerose varianti (dal Colosso al Ciclope, dal Leviatano al Titano), il Gigante – in greco -gigas, “grande” – è una creatura leggendaria che ci somiglia sotto tanti aspetti; dotato di fattezze antropomorfe e con un super-ego che ne amplifica il carattere, si erge ad antieroe di moltissime avventure per raccontarci di una storia, forse la più antica fra tutte: quella dell’uomo che si confronta con il Divino per ottenere il dominio della Natura. E ne appare, il più delle volte, schiacciato.
È infatti, il gigante stesso, rappresentazione degli istinti primordiali quanto pure delle forze elementali; progenitore delle divinità olimpiche alle quali si ribella per essere stato spodestato – o fatto a pezzi, in La maledizione del Titano di Rick Riordan – capitombola dunque sul nostro pianeta per venirne a conformare le principali strutture (dalle catene montuose alle barriere coralline, ce lo descrivono anche I miti nordici, per Longanesi).
Una sorte, questa della caduta, che sembra condivisa con i reietti nell’Inferno; ma se nell’Antico Testamento il malefico Lucifero viene spedito sottoterra per aver osato contrapporsi a Dio, ne I Libri di Enoch la colpevolezza dei Nefilim – una razza di giganti nata dall’incontro fra le donne terrestri e gli angeli precipitati – deriva, loro malgrado, dall’aver sovvertito l’ordine naturale delle cose.
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Ecco dunque argomentata l’ambivalenza che vieppiù contraddistingue il personaggio; se osservata nel suo lato positivo, la figura del gigante ci apparirà benevola al pari di un genius loci (tipo il guardiacaccia Hagrid, il mezzogigante Custode delle Chiavi e dei Luoghi di Hogwarts); se invece nel profilo distruttivo, allora spaventosa al pari di un mostro (come in The Kaiju Preservation Society di John Scalzi). Eppure, a conti fatti, nessuna delle due narrazioni riesce ad esaurire la poetica del personaggio: perfetto nel recitare tanto la parte del carnefice quanto quella della vittima (come accade per il ciclope Polifemo, non a caso “antropofago” nel libro IX dell’Odissea di Omero), la dimensione del gigante male si presta ai piccoli ruoli – specie se secondari, si pensi ai misconosciuti Noroth de Il Signore degli Anelli – laddove narrazioni di più larga portata meglio si adattano alla sua personalità oversize (viene alla mente Eren Jaeger, sia uomo che gigante nel famoso manga L’Attacco dei Giganti di Hajime Isayama).
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Ciò detto, e senza tralasciare le suggestive interpretazioni secondo cui tali creature sarebbero realmente esistite sulla Terra – ne costituirebbero una prova le strutture megalitiche in giro per il mondo, tra cui le tumbas de sos mannos in Sardegna – ecco una serie di opere che ci mostrano i giganti in tutta la loro magnificenza: altissimi per certi versi, ma infimi per certi altri, ci permettono di osservare questa nostra umanità quasi fossimo noi stessi sotto una lente d’ingrandimento, quella di Dio o della Natura. Per poi scoprirci, al loro cospetto, piccolissimi.
Gargantua e Pantagruele, i giganti della satira
Nati dalla stirpe reale di Grangola e Gargamella d’Utopia, Gargantua (padre) e Pantagruele (figlio) sono il perfetto esempio di come la narrazione sui giganti funga da amplificatore per ogni contraddizione della personalità umana, specie se osservata in chiave tragi-comica. È difatti – quella di François Rabelais – una serie di cinque libri a dir poco spassosissimi: redatti nella prima metà del Cinquecento e col proposito di canzonare le principali abitudini medievali (dall’educazione alle battaglie, dalla religione alla politica), rimangono a tutt’oggi i pionieri della letteratura satirica e ciò tanto per caratterizzazione dei personaggi – due veri mangiatori e bevitori – quanto per i suggerimenti di vita che qua e là ci impartiscono. Tipo quello relativa all’ironia: ”E, leggendo, non vi scandalizzate” ci avvisa l’autore nel prologo dell’intera opera, “Qui non si trova male né infezione. (…) Meglio é di risa che di pianti scrivere, / Ché rider soprattutto è cosa umana”. O da giganti, ancora di più (per Einaudi, a cura di Mario Bonfantini).
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I viaggi di Gulliver, tra giganti e lillipuziani
Un consiglio che il poeta e pastore irlandese Jonathan Swift (Dublino, 30 novembre 1667 – Dublino, 19 ottobre 1745) ha ben saputo interpretare nel suo capolavoro favolistico I viaggi di Gulliver – Garzanti, traduzione di Attilio Brilli -; romanzo scolastico per eccellenza, nelle sue avventure “in vari paesi lontani del mondo” il capitano Lemuel visiterà non soltanto i minuscoli lillipuziani – rispetto ai quali egli stesso apparirà enorme – ma altresì la popolazione di Brobdingnag, una società di essere giganteschi appassionata di discipline umanistiche e dalla spiccata attitudine morale. E per voce dei quali l’autore anglicano lancerà il proprio strale nei confronti del governo dell’epoca: dopo che Gulliver avrà finito di relazionare circa i comportamenti delle istituzioni europee, l’Imperatore di Brobdingnag non esiterà infatti a definire gli inglesi “la razza più perniciosa di piccoli odiosi parassiti di cui la natura abbia mai sofferto lo strisciare sulla superficie della terra”. Giusto per non nascondere l’avversione di Swift nei confronti di un sistema politico che lui stesso considerava corrotto.
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Il GGG, un grande gigante gentile
Che i giganti abbiano un cuore grande, questo è certo per anatomia; che a ciò corrisponda un’eguale bontà d’animo, essa è prerogativa di pochi. Fra i quali spicca, per educazione, Il GGG di Roald Dahl (Salani, traduzione di Donatella Ziliotto). A differenza dei suoi simili, è infatti egli vegetariano e contrario a ogni tipo di sopruso; bullizzato dal suo popolo per la straordinaria cortesia che da sempre ha dimostrato nei confronti degli esseri umani, si allea con la piccola Sofia per denunciare alla Regina d’Inghilterra le cattive abitudini alimentari che vieppiù caratterizzano i suoi nemici (l’Inghiotticicciaviva, il Ciuccia-budella e il San Guinario, su tutti). Rimanendo un timidone nonostante la sua stazza; nel timore di diventare troppo famoso per via del romanzo che ne narra le vicende, il GGG chiese all’editore che il manoscritto venisse pubblicato sotto altro nome, quello dell’autore Roald Dahl. Un altro gioco di parole (in pieno stile gobblefunk) che fa il paio con l’acronimo presente nel titolo.
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Il gigante sepolto di Kazuo Ishiguro, un gigante nel pagliaio
Come cercare un ago in un pagliaio; sebbene possa apparire una contraddizione in termini, nel libro di Kazuo Ishiguro (Einaudi, traduzione di Susanna Basso) di giganti non vi è traccia. E ció nonostante l’ambientazione medievale lasci intendere tutt’altro: impegnati in una missione per ritrovare il figlio perduto – che fine abbia fatto non è dato sapere – i coniugi Axl e Beatrice viaggeranno in un lungo e in largo per poi scoprire un terribile segreto. Che il loro erede è da tempo morto e quell’incantesimo – una strana nebbia che ha cancellato i ricordi dell’intero paese – l’unico modo per sopportarlo. Al suo settimo romanzo (che è anche un fantasy distopico di lignaggio post-arturiano) il premio Nobel per la letteratura 2017 ci parla di memoria collettiva e della dimenticanza selettiva quale meccanismo di difesa avverso la realizzazione di certi eventi. Perché spesso la realtà fa più paura che un gigante seppellito nel profondo di noi stessi.
Il gigante di Edna Ferber, una star del grande schermo
E quale miglior modo per dare visibilità a un gigante se non il grande schermo? Poi adattato in un kolossal cinematografico che valse l’Oscar per la regia a George Stevens, il libro cult di Edna Ferber Il gigante viene oggi riproposto da Astoria (nella traduzione di Emma Claudia Pavesi). Il successo è – di nuovo – assicurato: con quel fascino da bello e dannato che soltanto James Dean avrebbe potuto interpretare, la rivalità in amore fra il bracciante Jett Rink e l’allevatore Bick Benedict torna ad accendersi come già nel 1949 (data di prima pubblicazione dell’opera). E non soltanto perché la contesa fra i due riguarda una stella intramontabile – l’elegante Leslie Lynnton, la cui parte è recitata nel film da Elizabeth Taylor – ma soprattutto perché a incendiare la trama è lo Stato federale del Texas; impegnativo, polveroso e transeunte, è lui il gigante di cui ci parla l’autrice. Che ce lo descrive proprio come ce lo immaginiamo; territorio caldissimo in superficie – tra razzismo e lotte di classe – come pure bollente nelle venature – Jett scoprirà una falda petrolifera nel piccolo appezzamento di sua proprietà -, si impone alla memoria del lettore quale protagonista sconfinato dalle mille problematiche (che perdurano ancora oggi, come il classico conflitto tra modernità e tradizione tipico della mentalità del Sud).
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Matrix di Lauren Groff, una gigantessa per modo di dire
In assenza di una rappresentazione femminile del personaggio (viene alla mente, fra le poche, Olympe Maxime nella saga di Harry Potter), ci affidiamo al romanzo Matrix di Lauren Groff – Bompiani, traduzione di Tommaso Pincio – per raccontarci la vicenda di una “gigantessa”, anche se solo per modo di dire. È infatti questo il soprannome che meglio si addice a Marie di Francia, protagonista dell’opera; figura storica davvero esistita – visse (si pensa) alla corte di Eleonora D’Aquitania per poi venir rinchiusa in un monastero di clausura – viene celebrata all’interno del libro come una vera femminista ante litteram, in grado di trasformare la regola dell’isolamento in una nuova opportunità – di emancipazione dal potere maschile – per tutte le consorelle che con lei convivono. “La mia gigantessa è una donna di potere. Troppo per il mondo” ci dice l’autrice in un’intervista a Stefania Vitulli, “Ho cercato in questo personaggio tutto quello che mi sembrava eco di una forma autoriale forte. (…) una personalità gigante nel corpo e nel pensiero”.
E per non ritrovarci schiacciati sotto l’effetto dell’auto-critica, ecco una serie di romanzi sul tema “giganti” che ci faranno sentire all’altezza di ogni giudizio, almeno da un punto di vista letterario.
Il gigante egoista e altri racconti di Oscar Wilde (DeAgostini, traduzione di Anna Allocca)
La casa del gigante di Elizabeth McCracken (Bompiani, traduzione di Alberto Pezzotta)
Il ciclope di Euripide (Bur, a cura di Guido Paduano)
La caduta dei giganti di Ken Follett (Mondadori, traduzione di William Angiuli)
La salita dei Giganti: la saga dei Menabrea di Francesco Casola (Feltrinelli)
Leviatano di Thomas Hobbes (Rizzoli, traduzione di Gianni Micheli)
Il secolo dei giganti. Il colosso di marmo di Antonio Forcellino (HarperCollins)
Game of Titans. Ascesa al Paradiso di Hazel Riley (Sperling & Kupfer)