“A pensarci bene, non conosco, nel panorama della narrativa italiana contemporanea, nessuno che ami i propri personaggi quanto Eleonora ama i suoi”. In occasione dell’uscita di “Doveva essere il nostro momento”, su ilLibraio.it la scrittrice Ilaria Gaspari dialoga con la collega Eleonora C. Caruso, che a proposito della nostalgia che attraversa i suoi romanzi ammette: “Questa malinconia del presente che mi porto dentro dipende anche dal fatto che ho assorbito tantissima narrativa orientale, soprattutto giapponese; nel romanzo, nel cinema, nel fumetto, è molto radicata quest’idea di una caducità delle cose…”. E ancora: “La nostra generazione è nostalgica degli anni ‘90, certo, perché sono gli anni in cui siamo stati bambini e ci siamo affacciati all’adolescenza… in questo momento storico è diffusa l’idea che tutto fosse meglio prima, anche se non è necessariamente vero” – L’intervista

Una fattoria in abbandono – un baglio – nel cuore della Sicilia, diventata il quartier generale di una setta che tenta di fuggire il Mondo in Rovina – il presente, anzi, tutto quello che è stato presente a partire dal 2001 – vivendo come negli anni Novanta. Siamo agli inizi del 2020, i notiziari iniziano a diffondere l’allarme della pandemia. Ma nessuno, al baglio, segue i notiziari; e così nessuno (o quasi) sa cosa stia succedendo fuori.

Una mattina presto, una mattina d’inverno, Leo, trentenne che come Hans Castorp nella Montagna incantata al baglio è arrivato per restare pochi giorni, e invece poi si è fermato mesi, sale in macchina e se ne va. Al posto del passeggero, una perfetta sconosciuta: Cloro, ventisei anni, famosa su internet per i suoi video, agli occhi di lui una ragazzina viziata, che scappa senza telefono e si appropria del suo, che scappa un po’ troppo in fretta per aver avuto tempo di fare i bagagli. Ha con sé un Tamagotchi, uno zaino e una borsa di Gucci. Non si conoscono, e fra loro sfrigola una tensione di antipatia repressa.

Ma il loro viaggio attraverso l’Italia, verso Milano che è un miraggio e un incubo, è raccontato da Eleonora C. Caruso, qui al quarto romanzo, il terzo con Mondadori (i precedenti due, Le ferite originali e Tutto chiuso tranne il cielo, sono stati riscoperti di recente grazie al passaparola su TikTok, trasformandola in un’autrice di culto) con la consueta intensità, con una grazia e una partecipazione alle vicende dei suoi personaggi che rendono impossibile a chi legge non attaccarsi quasi morbosamente a queste creature così reali. A pensarci bene, non conosco, nel panorama della narrativa italiana contemporanea, nessuno che ami i propri personaggi quanto Eleonora ama i suoi. Glielo dico sempre, da quando ci siamo conosciute leggendoci. Dopo aver letto questo libro, ne sono ancora più stupefatta.

Doveva essere il nostro momento

Accomuna tutti i tuoi libri una sensazione di profondo struggimento, quasi una nostalgia di una cosa che poi non succede o forse non importa che succeda, un’emozione che io lego molto all’adolescenza. Infatti i tuoi personaggi hanno spesso un legame con l’adolescenza, anche quando non sono adolescenti in senso stretto.
“Non sei la prima persona che me lo dice, anche un’altra amica scrittrice, una delle prime ad aver letto questo romanzo, mi diceva appunto che ha sempre l’impressione che io scriva delle cose che diventano nostalgiche nel momento in cui le scrivo. È qualcosa di molto strano, però mi ci riconosco: io tendo a essere molto nostalgica, del presente ancora più che del passato. Non so come sia possibile, ma è così”.

Ti capisco perché succede anche a me…
“Secondo me, questa malinconia del presente che mi porto dentro dipende anche dal fatto che ho assorbito tantissima narrativa orientale, soprattutto giapponese; nel romanzo, nel cinema, nel fumetto, è molto radicata quest’idea di una caducità delle cose: nel momento stesso in cui una cosa avviene, appartiene già al passato; tutto passa, non puoi trattenere nulla, e quindi devi imparare ad amare questa transitorietà”.

In realtà nel romanzo questa sensazione emerge tanto chiara perché ha una cornice perfetta: un viaggio fatto di tappe, in cui la meta non è poi così importante, fra l’altro all’inizio della pandemia – un momento in cui, illusoriamente, sembrava che si sarebbe fermato tutto. No?
“Sì, assolutamente. Il racconto di un viaggio fa risaltare al massimo questo genere specifico di nostalgia… soprattutto considerando che (so che è un po’ strano a dirsi) a volte ho la sensazione di avere nostalgia dell’Italia, anche se ci abito. È come se sentissi una sorta di nostalgia per l’idea dell’Italia che avevo quand’ero bambina e che poi mi si è sgretolata davanti mentre crescevo. Vedo il posto inospitale che ho conosciuto da adulta, ma esiste anche il Paese bellissimo che mi veniva raccontato quando ero bambina. Così è nata l’idea di questo viaggio a tappe, attraverso le regioni, un po’ malinconico e nostalgico nonostante sia ambientato in un passato vicinissimo, che è quasi presente”.

Questa nostalgia dell’Italia come la immaginavamo nell’infanzia, secondo me la sentiamo un po’ tutti noi della generazione dei Millennial, no? Solo che tu hai avuto l’intuizione di farla diventare la colonna portante di una setta, nientemeno…
“La questione della setta è abbastanza divertente, se ci penso, perché non è quella l’idea da cui è nato il libro. Tutto nasce dal fatto che volevo scrivere un romanzo sul personaggio di Cloro [Clorofrilla, la protagonista femminile, capelli rosa che sbiadiscono, occhi enormi, ventenne con una carriera decennale come content creator su YouTube: una piccola diva fai-da-te avviata precocemente al viale del tramonto], che era già comparsa come una presenza molto evanescente, secondaria in Tutto chiuso tranne il cielo, ma che volevo esplorare, raccontare bene. E mentre immaginavo questo romanzo, mi sono resa conto che sentivo l’urgenza di esprimere il mio punto di vista su una serie questioni che potrei chiamare generazionali, per mancanza di altri termini. Così mi sentivo un po’ combattuta, perché da un lato volevo raccontare la storia di Cloro, dall’altra quella di Leo, trentenne come me, anche lui apparso come personaggio secondario in Tutto chiuso tranne il cielo: sapevo di aver bisogno di lui per affrontare questo aspetto della questione. Solo che nell’altro libro, loro due non si erano sfiorati nemmeno per caso, non avevo mai pensato di farli incontrare. Insomma, rimugino e rimugino per decidere quale dei due portare avanti – credo sia una cosa che capita a qualsiasi scrittore: avere troppe idee e non sapere quali scartare. Ma a un certo punto ho avuto una sorta di illuminazione. Mi sono detta: e se fosse la stessa storia, vista da due punti di vista diversi? Mi sono messa a cercare dei punti in comune, da cui cominciare a raccontare questa storia condivisa. E mi ritrovavo sempre a pensare alla faccenda della retromania, al feticismo che in questo momento abbiamo per il passato. La nostra generazione è nostalgica degli anni ‘90, certo, perché sono gli anni in cui siamo stati bambini e ci siamo affacciati all’adolescenza. Però in generale in questo momento storico è diffusa l’idea che tutto fosse meglio prima, anche se non è necessariamente vero. Siamo intrappolati in un labirinto di remake, smaniamo di rivedere cose già viste; poi non ci piace mai come vengono rifatte, eppure continuiamo a ostinarci a rifarle e riguardarle. Dal nulla, pensando a una generazione impantanata in un’immagine del passato, è nata l’idea della setta. D’altronde ho sempre pensato che una setta, come fenomeno, sia qualcosa di terribile, di spaventoso e di affascinante”.

Le ferite originali Eleonora C. Caruso

Insomma, tutto è cominciato con i personaggi. Mi domando, tra l’altro, se tu ti renda conto che stai facendo come quei romanzieri alla Balzac, alla Zola, alla King, che creano cicli di romanzi in cui i personaggi emergono e poi riappaiono, come se stessi costruendo una commedia umana, un mondo in cui le storie si intrecciano?
“[ride] è una conseguenza accidentale del mio modo di procedere… Il fatto è che io sento sempre che nei miei romanzi la trama è sempre subordinata ai personaggi. Spesso mi capita di parlare con colleghe e colleghi bravissimi, e mi dicono che per loro è esattamente il contrario: partono dalla trama, poi ragionano per capire quali personaggi siano funzionali alla storia che hanno in testa. E infatti quando poi la storia finisce, anche il personaggio, per quanto magari ci siano affezionati, si esaurisce, avendo esaurito la sua funzione. A me invece viene molto più spontaneo lavorare sul personaggio, cucirgli attorno una trama che possa tirare fuori quello che io voglio che emerga. È un processo molto naturale per me; il problema è che faccio molta fatica a fermarmi: ogni personaggio potenzialmente continua a vivere all’infinito, perché io riuscirei a raccontarlo in qualsiasi momento della sua vita. Quindi devo costringermi a tenere bene a mente qual è il nucleo della storia che sto raccontando, a capire qual è la sua fine naturale. Se mi abbandonassi al flusso seguirei i miei personaggi per sempre; il risultato di questa tentazione è che quando scrivo un nuovo libro mi viene più facile andare a ripescare uno dei personaggi secondari di un romanzo precedente, che crearne uno nuovo di zecca. E quindi continuo a portarmeli dietro”.

Parliamo dei personaggi di questo romanzo. Cloro e Leo sono i protagonisti, ma sono i due vertici di un triangolo che fa capo a Zan, il fondatore e leader carismatico della setta – un personaggio che nasce in questo libro e che mi aspetto di ritrovare. Tutti e tre, ognuno a modo proprio, mi sembrano avere una difficoltà particolare nel mostrarsi, anche se si mostrano molto; nell’entrare in comunicazione con gli altri, nel rivelarsi vulnerabili…
“È così, è un tema che torna sempre nei miei libri. Perché io sono tormentata dall’idea che le persone forse non siano veramente destinate a capirsi, e che per questo facciano tanta fatica. Per questo sono costantemente alla ricerca quei brevi momenti in cui sembra che la comprensione sia possibile; momenti che valgono abbastanza da spingerci a continuare, poi, a ricercare quel contatto. Di fatto è difficilissimo, sentirsi davvero in contatto con qualcuno, a maggior ragione adesso che paradossalmente siamo tutti connessi, e fatichiamo a trovare il modo di stare insieme nel presente. Leo e Cloro li ho messi sotto l’influsso di cause di forza maggiore: condividono per cinque giorni l’abitacolo di una macchina, sono due estranei e quindi devono per forza comunicare, anche solo per riuscire a continuare il viaggio. Cloro è nata, è cresciuta dentro internet; è una persona famosa in rete, lo è diventata in anni in cui era una cosa nuova, e si ritrova in un paradosso: è molto giovane, ha 26 anni, però in un certo senso in quel mondo in cui vive della sua fama è già vecchia, perché ormai sono dieci anni che lo abita. E lei si trova a essere ostaggio di un tempo che è sempre presente: lei su youtube esiste come ragazza di 26 anni e contemporaneamente come ragazza di 13, perché i video di quando aveva 13 anni possono essere la prima cosa che qualcuno scopre di lei”.

Già. Un tema che riguarda tutti i nativi digitali, in misura minore: mentre i nostri 13 anni, come quelli di Zan e Leo, essendo analogici, grazie al cielo si sono dissolti in ricordi…
“Noi, in un certo senso siamo forse stati gli ultimi ad avere il privilegio di un passato propriamente detto: il nostro passato è passato. Ci sono tracce, certo, ma molto private: foto, video familiari… il nostro passato per noi è qualcosa di intimo. Per Cloro invece è come se fosse sempre tutto presente, costantemente. Come se le fosse impossibile cominciare ad essere una versione più adulta di sé. Il suo presente eterno è una fuga, una continua lotta per la sopravvivenza della sua identità. Leo invece è perdutamente attaccato al suo passato. Lei non ha tempo di fermarsi a riflettere sulle cose, è un po’ come gli squali che se si fermano muoiono; Leo al contrario rievoca continuamente il passato, osserva, rimugina. Zan incarna proprio un principio di forza contraria al presente: si rifiuta di vederlo, si ostina a voler tornare indietro, e l’unica via possibile è disconoscere quello che succede. Leo si trova fra Cloro e Zan, fra una forza del presente e una forza aggrappata al passato. Il futuro non c’è, in questo libro è cancellato”.

Questa difficoltà di immaginare il futuro mi pare un tema molto importante del momento che viviamo. Che dà un tono lugubre sia al presente che al passato, mi pare… certo, nel romanzo, Leo che alla fin fine è l’iniziato in questo folle viaggio, trova forse uno spiraglio al dilemma, non in un personaggio umano, ma nell’incontro con un cane. Gli animali – intendo gli animali non umani – secondo te, in questo momento di difficoltà possono insegnarci qualcosa di importante?
“Ogni tanto io guardo il mio cane e penso: a lei non cambia niente, è qua adesso, poteva essere qui trenta o cinquant’anni fa, intanto sono cambiate le tecnologie, la Disney ha fatto tre remake di Cenerentola, il pianeta è più caldo ma a lei non cambia niente, lei cerca solo di soddisfare i suoi bisogni, che sono sempre gli stessi identici bisogni di qualsiasi essere vivente: esporsi al sole, mangiare, avere le coccole (un bisogno che forse abbiamo indotto credo noi esseri umani nei cani, ma è il segno della nostra relazione), uscire, dormire. Questi sono i suoi bisogni fondamentali e sono sempre uguali. Non esistono bisogni indotti: e per noi, invece?”.

ELEONORA C. CARUSO - Comunque vada non importaNoi ne abbiamo a bizzeffe, e passiamo anche molto tempo, in generale, a “soddisfare” il bisogno di attenzione dei nostri smartphone, che mantengono connessi ma che nel libro si rivelano anche per quello che sono… evoluzioni un po’ cannibali dei Tamagotchi, i pulcini telematici da curare costantemente. Non è un caso che tutti e tre i protagonisti abbiano un legame con il mondo di Internet: Cloro crea contenuti, Zan li moderava, Leo lavora in un’agenzia di comunicazione…
“La moderazione dei contenuti è la bassa manovalanza di internet. Noi pensiamo che sia tutto automatizzato, e che sia una grande entità Facebook/Meta quella che ci blocca i post, in realtà ignoriamo che quelle censure siano frutto di una catena lunghissima di moderazione, passata per molti e molti occhi; c’è un primo livello automatico che screma in modo grossolano i contenuti, ma poi c’è un esercito di persone che devono giudicare se i contenuti sono idonei o no. Passno le giornate a guardare e riguardare video di esecuzioni, ad esempio, per capire se siano a scopo di terrorismo politico o religioso e per sapere come segnalarle; riesci a immaginare quanto può essere usurante un lavoro del genere? È uno dei tanti lavori di manovalanza bassissima, sottopagata e brutale di cui non sentiamo mai parlare, ma che ci permettono di mantenere il nostro stile di vita. Ho pensato, quando ho modellato il personaggio di Zan, che un mestiere così poteva essere abbastanza traumatico da giustificare l’invenzione di una setta che ripudia tutto quel che è successo dopo gli anni ’90. Mi interessava poi raccontare come tanti lavori d’ufficio, tutti legati a internet, e apparentemente ‘comodi’ e rispettabilissimi, lavori che ci è stato insegnato a tenerci stretti, siano terribili e poco regolamentati, senza orari, capaci di indurre uno stress mentale fortissimo, e pure pagati male”.

Già.
“Ecco un altro punto su cui questo libro mi ha aiutata a schiarirmi le idee: non se ne parla, manca una forma di coscienza sociale, spesso sostituita da una sorta di coscienza ‘generazionale’. Molto più fatalista, e molto meno liberatoria”.

L’AUTRICE – Ilaria Gaspari, scrittrice, è nata a Milano. Ha studiato filosofia alla Scuola Normale di Pisa e si è addottorata con una tesi sulle passioni all’università Paris 1 Panthéon Sorbonne. Dal 2015 collaboratrice deilLibraio.it, scrive per diverse testate e collabora con radio, tv e scuole di scrittura. Nel 2015 è uscito il suo primo romanzo, Etica dell’acquario (Voland). Ha poi pubblicato Ragioni e sentimenti – L’amore preso con filosofia (Sonzogno), Lezioni di felicità. Esercizi filosofici per il buon uso della vita (Einaudi) e, sempre con Einaudi, Vita segreta delle emozioni. Nel 2022 per Giulio Perrone editore è uscito A Berlino – Con Ingeborg Bachmann nella città divisa. Con Emons, (e con il sostegno dell’Institut Français Italia), sempre nel 2022, ha curato e condotto il podcast Chez Proust.  Per la collana digitale Quanti di Einaudi ha inoltre pubblicato il saggio breve Cenerentole e sorellastre – Una botanica della bellezza.

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