Analisi, parafrasi e curiosità su “L’infinito” di Leopardi, una delle poesie più celebri delle letteratura italiana, espressione del potere dell’immaginazione. Nelle sue opere l’autore, Giacomo Leopardi (1789-1837), poeta e filosofo, grande intellettuale e autore di una vasta produzione letteraria, è stato in grado di descrivere non solo la propria interiorità e la propria condizione, ma quella dell’essere umano in generale…

Giacomo Leopardi (Recanati, 1798 – Napoli, 1837) è uno dei nomi più noti della scena poetica italiana dell’800 e della letteratura europea in generale. Il suo nome è spesso associato a L’infinito, la sua poesia più celebre, e al romanticismo e al classicismo, correnti letterarie a cui il poeta diede in misura diversa il suo contributo, pur ritenendosi (nel suo Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica) più vicino alla tradizione classicista.

Il pensiero di Leopardi è spesso ricondotto al termine “pessimismo”, e la sua evoluzione scansionata in pessimismo storico e cosmico. Ma non bastano queste classificazioni per esprimere la profondità e l’ampiezza delle sue riflessioni, che dimostrano una maturazione poetica complessa, un grande intelletto e un fine ragionamento filosofico.

Leopardi è stato in grado di descrivere non solo la propria interiorità e la propria condizione, ma quella dell’essere umano in generale, divenendo così non solo poeta tra i più rilevanti e citati, ma anche importante filosofo.

E questa duplice natura è forse maggiormente rappresentata da L’infinito, opera scritta da Leopardi durante la sua giovinezza (si fa risalire infatti al 1819), che introduce alcuni degli elementi successivamente ripresi dalla sua poetica.

Prima di parlare della lirica più conosciuta di Giacomo Leopardi, però, è opportuno definire le coordinate della sua vita (che abbiamo trattato in modo più approfondito, assieme al suo pensiero, in questo articolo), e collocare L’infinito all’interno della vasta produzione del poeta, la cui attività letteraria è cominciata ben prima e soprattutto è proseguita dopo, lasciando un profondo segno nella cultura italiana.

Giacomo Leopardi: la vita

Nato nel 1798 nel piccolo borgo dello Stato Pontificio di Recanati, nelle attuali Marche, Leopardi cresce in una famiglia della nobiltà marchigiana, le cui ricchezze stavano però andando assottigliandosi. Il giovane Leopardi vive la sua infanzia e adolescenza nella grande biblioteca paterna, dedito a quello che definirà, nella lettera all’amico Pietro Giordani, uno “studio matto e disperatissimo“, che da un lato contribuisce a formare la sua enorme cultura e dall’altro indebolisce la sua già fragile salute. Apprende il latino, il greco, l’ebraico, legge i grandi classici e gli autori più moderni (Alfieri, Foscolo, Goethe…) e trova in queste letture lo spunto per la sua prima conversione: dall’erudizione al bello, approdando per la prima volta alla poesia, nel 1816.

Successivamente, Leopardi inizia a maturare sentimenti patriottici e ad allontanarsi dalle posizioni reazionarie del padre, il Conte Monaldo. Parallelamente cresce il suo disagio verso Recanati, che culmina con il suo (vano) tentativo di fuga nel luglio del 1819. È a quest’anno che si fa risalire L’infinito di Leopardi, una poesia strettamente connessa al borgo di Recanati e al suo “ermo colle“. E sempre al 1819 risale la seconda conversione del poeta, questa volta filosofica, dal bello al vero.

Dopo un breve e molto deludente viaggio a Roma nel 1822, Leopardi lascia la casa paterna nel 1825 , quando approda a Milano. Nel 1827 si sposta a Firenze e nel 1828 a Pisa. Ritornato a Recanati in un periodo di grandi sofferenze fisiche e spirituali, nel 1830 Leopardi lascia per l’ultima volta il suo paese d’origine e si reca a Firenze. Qui vive un periodo ricco di stimoli intellettuali e di passioni, con l’innamoramento per la nobildonna Fanny Targioni Tozzetti e l’amicizia con Antonio Ranieri.

Nel 1833 si trasferisce a Napoli con Ranieri, ed è qui che concluderà prematuramente la sua vita, il 14 giugno del 1837, a soli 39 anni.

Le poesie di Leopardi e le opere in prosa

È impossibile scindere le opere e le poesie di Leopardi dalla sua biografia. La produzione letteraria dell’autore comincia presto, a soli 15 anni, con  Storia dell’astronomia, ma le sue prime poesie sono le canzoni civili (come All’Italia) e filosofiche (come Ultimo canto di Saffo), seguite poi dai “Piccoli Idilli“.

L’infinito di Leopardi rientra tra questi componimenti che, a partire dall’osservazione della natura, permettono al poeta di riflettere sulla propria interiorità. Rientrano tra i Piccoli Idilli anche Alla luna e La sera del dì di festa.

Le canzoni giovanili e i Piccoli Idilli si uniscono ai Grandi Idilli (o canti pisano-recanatesi, che comprendono per esempio le celebri liriche A Silvia e Il sabato del villaggio) e compongono la vasta raccolta poetica dei Canti, completata dal Ciclo di Aspasia (dedicato a Fanny Targioni Tozzetti) e dalle ultime poesie di Leopardi, tra cui la nota La ginestra o il fiore del deserto, con cui si chiude il suo canzoniere.

Tra le opere in prosa è importante citare le Operette morali, ventiquattro testi dal tono ironico e disincantato dedicati ad argomenti filosofici ed esistenziali. Impossibile poi non chiudere la panoramica sulla produzione di Leopardi con l’imponente raccolta delle sue riflessioni, lo Zibaldone di pensieri, le cui 4526 pagine trattano un’incredibile varietà di argomenti.

Lo Zibaldone è un diario personale e intimo, ricco di aforismi, annotazioni e discussioni morali; ma è anche una via per osservare l’evoluzione del pensiero di Leopardi e per rintracciare nelle sue stesse parole i temi cardine della sua poetica.

Passiamo quindi a osservare più da vicino la grande opera di Leopardi, L’Infinito

L’infinito di Leopardi: storia e curiosità

Leopardi compone L’Infinito probabilmente tra la primavera e l’autunno del 1819, ma pubblica la poesia per la prima volta solo nel 1825, quando appare sulla rivista milanese Il Nuovo Ricoglitore. L’infinito viene pubblicato nel volumetto Versi (1826) e poi nei Canti a partire dall’edizione del 1831, dove apre la sezione degli “idilli”.

Il termine “idillo” (diminutivo del termine greco εἶδος, che significa immagine), si può tradurre in “quadretto” e si ricollega alla tradizione bucolica iniziata da Teocrito nel IV-III secolo a.C., incentrata sulla descrizione spesso idealizzata della natura e della vita di campagna.

Definito da Leopardi stesso come uno degli “idilli esprimenti situazioni, affezioni, avventure storiche del mio animo”, L’infinito parte di fatto dalla descrizione del paesaggio, del colle solitario e di quella siepe che impedisce di osservare l’orizzonte. Ma ben presto si allontana dagli elementi naturali per lasciare spazio a una profonda introspezione, a un viaggio nel pensiero del poeta che, grazie all’immaginazione, entra in contatto con l’infinito e da esso si lascia trasportare.

Il manoscritto originale dell’opera è conservato nella Biblioteca Nazionale di Napoli; un secondo manoscritto si trova nel Museo dei manoscritti del comune di Visso (Macerata).

Il secondo manoscritto autografo de "L'infinito" di Leopardi

Il secondo manoscritto autografo de “L’infinito” di Giacomo Leopardi

Nel 2019 sono stati celebrati i 200 anni del componimento, che però dimostra di saper parlare all’uomo contemporaneo con la stessa forza di due secoli fa. Una delle iniziative svolte per celebrare l’anniversario ha visto 22 artisti della canzone italiana interpretare un estratto della lirica.

Come abbiamo visto e come è ben noto, la poesia è ambientata su un colle, nello specifico il Monte Tabor (che deve il suo nome all’omonima collina della Galilea), posizionato nei pressi di Palazzo Leopardi (la casa in cui è nato e vissuto il poeta, oggi visitabile) e del Centro Studi Leopardiani. Dalla sua sommità si può osservare tutto il paesaggio circostante, fino ai Monti Sibillini. Oggi il colle è divenuto un parco, e nel punto dove probabilmente Leopardi compose L’Infinito i visitatori possono leggere una targa che riporta il primo verso della poesia.

Ma veniamo appunto alla poesia…

L’infinito di Leopardi: testo

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quïete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare.

L’infinito di Leopardi: analisi e parafrasi

L’infinito di Leopardi è composto da 15 endecasillabi sciolti, cioè non legati da rime. All’interno di questi versi il poeta affronta numerose sensazioni, percettive ed emotive, che possono direzionare la nostra analisi.

Per la parafrasi completa de L’Infinito (a cura di Gigi Cavalli), si rimanda al sito della Treccani.

La poesia può essere scissa in due parti: nella prima ci vengono presentate la “collina solitaria” e la siepe, l’ostacolo visivo che impedisce di osservare “gran parte dell’estrema linea dell’orizzonte”. Questo impedimento porta il poeta a lasciare la dimensione della realtà per passare al piano dell’immaginazione, figurandosi “spazi sterminati, e silenzi non concepibili dalla mente umana, e una quiete profondissima” che quasi lo lasciano sbigottito. Nella seconda parte, Leopardi è riportato nel piano della realtà dal rumore del vento tra le fronde degli alberi, una percezione (questa volta acustica), che il poeta compara al silenzio sovraumano dell’infinito spaziale, giungendo con il pensiero a cogliere anche un’infinito temporale, l’eternità, fatta dalle “epoche passate e ora scomparse” e del “tempo attuale, presente, vivente”

Se fino a questo momento i due piani (quello della realtà e quello dell’infinito) erano stati ben distinti e separati dall’uso degli aggettivi dimostrativi “questo” (attribuito alla realtà vicina) e “quello” (attribuito all’infinito lontano), l’ultimo verso, tra i più famosi dell’intera storia della letteratura, recita: “Così tra questa immensità s’annega il pensier mio:/ e il naufragar m’è dolce in questo mare”. Al termine della lirica, quindi, il poeta si ritrova non solo più vicino all’infinito, ma vi si abbandona dolcemente.

Leopardi costruisce attentamente il suo componimento, con l’obiettivo di evocare la sensazione di vastità da lui vissuta: sul piano lessicale utilizza termini vaghi e indefiniti come “ultimo orizzonte” e “interminati spazi“, su quello sintattico fa prevalere il polisindeto e la coordinazione, dilatando il ritmo, e infine sul piano metrico fa frequente uso dell’enjambement, una figura retorica che, spezzando il verso, rende la poesia di più ampio respiro.

Leggendo questa lirica riusciamo così a rivivere le stesse emozioni provate dal poeta, anche a distanza di secoli. Possiamo percepire tutta la potenza dell’immaginazione, il piacere di questo dolce naufragio, ma anche lo sgomento che provoca il pensiero di una realtà così vasta, di un’eternità che scorre senza interruzioni, legando il passato al presente, e il presente al futuro.

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