“Perfino il tempo del sonno è cannibalizzato dall’ansia di dover fare qualcosa. Personalmente ho sempre fatto difficoltà a vivere un tempo non produttivo. Sentivo forte questo desiderio di dare importanza all’amore nella mia vita, però era faticoso. Volevo amare, ma non ci riuscivo”. In occasione dell’uscita del saggio “Il capitale amoroso. Manifesto per un eros politico e rivoluzionario”, ilLibraio.it ha intervistato Jennifer Guerra, femminista, autrice e giornalista classe ’95, con cui ha parlato di società della performance, di amore e della mancanza di tempo per viverlo (“il neoliberismo influisce sulla sfera delle relazioni perché crea continue aspettative sull’individuo”), dell’istituzione del matrimonio (“mi sposo a settembre e per me ha un valore di validazione e conferma”), e del sentimento amoroso come strumento rivoluzionario (“l’amore non ci innalza verso l’alto, non ci degrada, ma ci sposta, ci fa vedere il mondo da un altro punto di vista”) – L’intervista

L’amore. Tema centrale di canzoni, romanzi, film, serie tv e pubblicità. L’amore. Obiettivo sociale, coronamento di un’esistenza, oggetto d’indagine e di dissertazione fin dall’antichità. Desiderato e criticato, esaltato e respinto.

Cos’è veramente l’amore? Un sentimento zuccheroso e melenso, adatto solo agli ingenui, o qualcosa di più profondo, che può stravolgere davvero la nostra vita? È un’illusione o una realtà?

Nei confronti dell’amore, abbiamo sempre avuto un atteggiamento ambivalente e contraddittorio. Colpa di una narrazione che lo rappresenta in termini astratti e lontani, estremi e spesso opposti, che spesso non coincidono con quello che sperimentiamo sulla nostra pelle. Forse è per questo che attorno al sentimento si è sviluppato una sorta di tabù, che però non ha impedito a molti di avvicinarsi all’argomento, cercando di sviscerarlo e di comprenderlo meglio.

Tra gli altri, anche la giornalista e scrittrice Jennifer Guerra, bresciana classe ’95, ha elaborato una teoria riguardo all’amore, legandola in particolare all’epoca che stiamo vivendo; un’epoca di individualismo ed egoismo, in cui le relazioni si basano sullo scambio, sull’utilità, sulla convenienza e sulla compatibilità.

Come si può, in un periodo del genere, amare liberamente e in modo disinteressato?

Guerra, femminista intersezionale e già autrice de Il corpo elettrico (edizioni Tlon), nonché del podcast AntiCorpi, ne parla nel suo nuovo saggio Il capitale amoroso. Manifesto per un eros politico e rivoluzionario, uscito per la casa editrice Bompiani nella collana Munizioni diretta da Roberto SavianoilLibraio.it l’ha raggiunta telefonicamente per discutere dei temi affrontati nel libro e per parlare di come l’amore possa essere l’atto più coraggioso e rivoluzionario per cambiare la società in cui viviamo.

copertina il capitale amoroso Jennifer guerra

Il capitale amoroso tratta un argomento che lei aveva già affrontato in un articolo comparso su The Vision, Perché dobbiamo recuperare il senso politico e radicale dell’amore. Com’è nata l’idea di costruirci attorno un libro?
“Di solito scrivo principalmente di femminismo, mentre questo articolo ha attirato l’interesse anche di chi non è necessariamente interessato al tema. Diciamo quindi che, tra tutti gli articoli che ho pubblicato, questo è stato quello più apprezzato in modo trasversale. E di fatto io stessa lo reputo uno di quelli di cui sono più soddisfatta”.

E poi cos’è successo?
“Tra le persone che l’hanno letto c’è stata anche Giulia Ichino (editor di Bompiani, ndr), che mi ha chiesto di ampliare il discorso. E visto che l’articolo era nato da una serie di riflessioni personali, ho accettato volentieri”.

Quali riflessioni?
“Ho avuto per anni una relazione a distanza un po’ complicata. Avevo molta difficoltà a fare esperienza dell’amore principalmente a causa delle circostanze esterne. Lavoravo in una città diversa da quella del mio compagno e dovevo conciliare vari impegni per poterlo raggiungere e stare con lui. Sentivo forte questo desiderio di dare importanza all’amore nella mia vita, però era faticoso. Volevo amare, ma non ci riuscivo”.

Come scrive nel saggio, la mancanza di tempo è uno dei problemi principali della nostra epoca.
“Perfino il tempo del sonno è cannibalizzato dall’ansia di dover fare qualcosa. Personalmente ho sempre fatto difficoltà a vivere un tempo non produttivo. Da quando è cominciata la pandemia, invece, ho cominciato ad avere più tempo per me. Ho imparato a prendermi dei momenti di ozio. Una cosa che da anni non sperimentavo. E poi ho fatto il grande passo, sono andata a convivere con il mio compagno e ho anche scritto questo libro”.

In un certo senso, quindi, la pandemia ha imposto un rallentamento?
“Certo, ma la situazione è diversa per tutti e trovo che sia impossibile generalizzare. Tutti i nostri ritmi, nel bene nel male e nel male, sono stati sconvolti, perché siamo stati costretti a metterci in pausa. Poi dipende anche molto dalle risorse e dalle possibilità che uno ha di investire il proprio tempo”.

Interessante è il concetto che lega l’amore alla performance e alla prestazione. In che modo una società che impone una produttività costante influenza i nostri legami?
“Secondo me c’è un nesso imprescindibile tra i legami e la società in cui viviamo. Il contesto in cui siamo immersi altera il modo in cui amiamo, anche proprio da un punto di vista pratico. Il neoliberismo influisce sulla sfera dei sentimenti e delle relazioni, perché crea continue aspettative sull’individuo. Anche il matrimonio è sempre stato condizionato dalla società, essendo nato come un accordo pragmatico ed economico”.

A questo proposito nel saggio riporta il dialogo tra Amy e Laurie del film Piccole Donne di Greta Gerwig, per spiegare come, in passato, per le donne fosse necessario sposarsi per sopravvivere. Oggi che valore ha questa istituzione?
“Credo che la società attribuisca grande valore al matrimonio, altrimenti non staremmo ancora qui a discutere su unioni omosessuali e coppie di fatto. Certo, non ci sono più matrimoni combinati, almeno nella nostra parte di mondo, però è innegabile quanto sia ancora importante sposarsi per avere un determinato riconoscimento di fronte alle istituzioni. Penso alle persone che si sposano per necessità, per vedersi riconosciuti alcuni diritti, come per esempio andare a trovare la propria o il proprio partner in ospedale. O ancora alle persone religiose, che invece lo vivono come un impegno nei confronti di Dio”.

E per lei?
“Credo che sia soprattutto una celebrazione di fronte agli altri. Attribuisco al matrimonio una funzione non solo istituzionale, ma soprattutto sociale, di validazione e conferma. O almeno questo è il valore che gli do io, che mi devo sposare a settembre”.

Agli antipodi del matrimonio c’è la solitudine, ancora oggi demonizzata dalla nostra società. Qualcuno che non è in coppia ha qualcosa che non va, qualcosa di strano, da correggere. Pensa che questo stigma sia ancora molto forte?
“Siamo in una situazione un po’ ambivalente. Credo che oggi lo stigma verso le persone sole sia minore rispetto a qualche anno fa. E credo che per le donne sia avvenuta una rivalutazione, grazie anche ai film e alle serie tv che ci propongono nuovi modelli di indipendenza. Ma penso che le persone vivano comunque con molta ansia la solitudine. Nonostante le lotte e la consapevolezza, la realizzazione di coppia rimane un modello forte. Poi c’è anche da dire che culturalmente diamo all’amore romantico il primato rispetto alle altre forme d’amore, ma questo non vuol dire che non ce ne siano altre”.

Come liberarsi da questo schema?
“Bisognerebbe smitizzare l’ideale di coppia come unica possibilità di sentirsi realizzati nel campo delle relazioni personali. Cosa intendiamo poi per ‘coppia realizzata’? Una coppia monogama, che sta insieme per tutta la vita? O ci sono anche altri modi per sentirsi realizzati che non rientrano in questo modello? Dovremmo prendere in esame la complessità delle relazioni con gli altri. Ora sto leggendo L’amica geniale e mi chiedo: l’amicizia tra Lila e Lenù è un rapporto canonico, o qualcosa di più complesso? Noi esseri umani siamo portati al disordine e al caos, non possiamo essere rinchiusi in una definizione precisa. Ma questa non è una cosa negativa”.

Quindi quando parliamo di ‘amore’ stiamo parlando di amore sentimentale? 
“In realtà ho fatto di tutto per evitare di dare una definizione univoca di ‘amore’, non volevo proporre una gerarchia dei sentimenti. Sono felice della mia relazione, ma non per tutti la relazione romantica è al centro della propria esistenza. Infatti parlo anche dell’amore per la propria famiglia e per i propri amici. Qualsiasi forma di amore è importante nelle nostre vite. Siamo immersi in una cultura dell’esaltazione dell’amore romantico, però questo non lo rende il più importante in assoluto. Proprio per questo all’inizio del libro mi servo della classificazione di John Alan Lee per mostrare le diverse tipologie o, meglio, ideologie dell’amore, di cui si può fare esperienza nel corso della vita”.

In effetti nel suo saggio scrive dell’amore anche come forza politica. Citando una domanda presente nel testo, “che ruolo ha l’amore in una società rivoluzionaria?”
“Al di là dei discorsi sull’amore e sulla possibilità che abbiamo di viverlo, credo fortemente che l’amore abbia un ruolo politico”.

Perché?
“Ci dà la possibilità ad immedesimarci in un’altra persona. Nel momento in cui noi amiamo qualcuno, riconosciamo l’esistenza dell’altro, entriamo in comunione con bisogni ed esigenze che non ci appartengono. C’è un’immagine bellissima che io prendo in prestito da Alain Badiou, che dice che l’amore non ci innalza verso l’alto, non ci degrada, ma anzi ci sposta, ci fa vedere il mondo da un altro punto di vista. Già questo contiene in sé il concetto di amore come capacità trasformativa della realtà. Perché nel momento in cui noi mettiamo da parte noi stessi, possiamo iniziare a sviluppare un’idea di società diversa da quella a cui siamo abituati”.

E nella storia chi è stato in grado di farlo?
“Come ho scritto nel libro, Martin Luther King è una figura che è riuscita a trasformare questa idea in realtà. È stato in grado di trasferire sul piano concreto il principio d’amore, mettendosi da parte e donandosi agli altri. La fine della segregazione razziale è stata forgiata proprio su questo principio. Come evidenzio, però, Martin Luther King non aveva tenuto in considerazione delle importanti differenze di genere”.

Cosa che invece ha fatto Aleksandra Kollontaj.
“Aleksandra Kollontaj ha elaborato una bellissima teoria sull’amore agapico. Lei lo chiama ‘eros alato’, cioè un amore in grado di spiccare il volo rispetto alle consuetudini dell’amore. La sua grande capacità è stata quella di evidenziare la connessione tra la dimensione privata di coppia e una dimensione pubblica e collettiva. Io, da femminista, non posso non pensare che la sua visione dell’amore sia quella più completa possibile, proprio perché riverbera il privato sul politico e soprattutto perché prende in considerazione il tema dell’amore come cura. Un discorso che riguarda il sesso femminile e che a mio avviso è un grande problema inespresso del nostro tempo”.

In che senso?
“Legare l’amore al concetto di sacrificio danneggia la donna, perché alla fine è lei che viene sovraccaricata di questa responsabilità. È sempre scontato che sia la donna a sacrificarsi per gli altri, figli e mariti. L’idea di amore sacrificale non è abbastanza”.

Lei è molto attiva sui social, luogo in cui si riversa un’importante quantità di odio – e dove le emozioni, come scrive, sono facilmente capitalizzabili. Come si fa a portare amore nella rete?
“Questo è un discorso scivoloso, proprio perché, appunto, le emozioni sono facilmente capitalizzabili, da quelle positive a quelle negative. Non vedo tanta differenza tra chi semina odio e chi semina amore. Il punto è che, secondo me, i social hanno un’utilità, uno scopo. Io stessa li uso principalmente come strumento di lavoro e, a mio avviso, è possibile comunicare in modo pacifico, ma non è per forza qualcosa legato all’amore e all’odio. Parlo di femminismo con un taglio informativo e giornalistico, ed è forse questo il motivo per cui sono riuscita a creare un ambiente sano rispetto a quello che comunico, che comunque è un argomento ancora molto divisivo. Purtroppo so che non va sempre così, ci sono altre persone che si esprimono sugli stessi temi e che sono bombardate costantemente da attacchi bassi e spregevoli”.

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