“Là dove crescono i cedri”, romanzo d’esordio di Pierre Jarawan, ambientato tra il Libano e la Germania, ha il tono ovattato delle favole della buonanotte. Un libro “sensoriale”, fatto di profumi e sapori. Una storia di migrazioni e, allo stesso tempo, uno spaccato della crisi mediorientale

Là dove crescono i cedri (Sem, traduzione di Emilia Benghi), il romanzo d’esordio di Pierre Jarawan, ha il tono ovattato delle favole della buonanotte, storie che con apparente leggerezza portano con sé insegnamenti ma anche metafore crudeli. È proprio con questo approccio che l’autore ci porta a scoprire lo splendore di una terra e, allo stesso tempo, il dolore di un popolo, di intere famiglie, mantenendo un distacco che è solo apparente e che invoglia il lettore a voler scoprire di più di una storia che è più vivida e attuale che mai.

Copertina del libro Là dove crescono i cedri-min

La vicenda si anima attraverso gli occhi di Samir, figlio immigrati libanesi costretti negli anni ’80 a lasciare un Paese dilaniato dalla guerra civile e a rifugiarsi in Germania. Vero protagonista dell’intera vicenda è, però, il padre Brahim, un uomo fiero, orgoglioso delle sue origini, e al contempo estremamente desideroso di scoprire la nuova terra che lo ha accolto.

In Germania, infatti, Brahim e la sua famiglia iniziano davvero una nuova vita e, sebbene la nostalgia sia forte, lo sono ancora di più il desiderio di integrarsi e di superare barriere culturali e linguistiche, e la gioia di condividere ogni traguardo con tutta la comunità.

“Nella calda tarda estate del ’92, quando trovammo la nuova casa, io avevo sette anni, Yasmin nove. Lei e Hakim si trasferirono nell’appartamento al piano di sotto, simile al nostro, ma un po’ più piccolo. In quella strada quasi tutte le parabole erano orientate a 26 gradi est. Stavamo bene lì. Nel cortile della scuola i pupazzetti di Diddl passavano di mano, braccialetti colorati ufficializzavano le amicizie, Bill Clinton giurava sulla Bibbia e i Take That cantavano Could it be magic. In Libano si eleggeva il Parlamento e sembrava che tutto andasse nella giusta direzione”.

Basta una notte, però, perché questa serenità ritrovata venga meno all’improvviso: Brahim scompare a causa di una misteriosa fotografia e da questo momento la vita di Samir è sconvolta da questa perdita. Ecco perché vent’anni dopo decide di tornare nella terra dei cedri alla ricerca di suo padre, un luogo ben diverso da quello immaginato da bambino. Beirut è una città stravolta dalla Storia, dalle questioni di identità nazionale, è una terra che non si è ancora ripresa dalla guerra civile e dall’occupazione siriana, e sconta la difficile convivenza tra diverse religioni.

“Palpita e brilla di notte Beirut la bella, splende come un diadema, un nastro di luce che toglie il fiato. Già da bambino mi piaceva immaginarmi qui, in un futuro imprecisato. Ma adesso il coltello mi affonda tra le costole e il torace esplode per il dolore, tanto che non ne esce neppure un grido. “Ma che fate, siamo fratelli” vorrei urlare, mentre mi strappano lo zaino dalle spalle e mi prendono a calci finché non cado in ginocchio. L’asfalto è caldo. Dalla Corniche spira vento di mare, odo il frangere delle onde sulla riva e la musica che esce dai ristoranti. Fiuto il salmastro, la polvere e l’afa, sulle labbra ho il sapore del sangue, un rivolo metallico solca la pelle screpolata. Sento montare la paura. E la rabbia. “Non sono uno straniero” vorrei urlargli dietro. L’eco dei loro passi mi sbeffeggia. “Qui ho le mie radici” mi piacerebbe gridare, ma esce solo un suono strozzato”.

Foto dello scrittore Pierre Jarawan

Pierre Jarawan

Se si dovesse descrivere questo titolo con un solo aggettivo, si potrebbe dire che è un romanzo “sensoriale”. È una storia fatta di profumi e sapori che si intrecciano – come i piatti che ci fanno sentire a casa e allo stesso tempo connotano le tradizioni di un Paese -, di voci che possono diventare un coro di lingue diverse o un unico grido di violenza; una storia fatta di abbracci di gioia, di consolazione, di paura e di immagini che si alternano tra ricordi dolci e traumi che spezzano il cuore, indelebili allo stesso modo. Un romanzo che scuote tutti i sensi, perché non vive solo tra le pagine, ma è la realtà di un Medio Oriente ancora oggi ferito.

Presentato al Festival du premier roman di Chambéry come miglior debutto in lingua tedesca, la pubblicazione in lingua originale risale al 2016, al culmine della crisi dei rifugiati, e tuttavia il romanzo è più che mai attuale. È uno spaccato della crisi mediorientale, il racconto del dolore di dover abbandonare la propria terra, della costante ricerca di una nuova identità e del limbo in cui vivono le seconde generazioni, che si sentono orfane delle proprie radici e allo stesso tempo figlie di nessun luogo.

Fotografia header: GettyEditorial 09-09-2021

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