“La vita altrove” di Guadalupe Nettel è una raccolta di racconti che accompagna il lettore in un vagabondare tra futuri possibili. Con la sua scrittura asciutta ma precisissima, l’autrice messicana, riesce a trasformare normali quotidianità in storie straordinarie, indagando il fallimento, i silenzi famigliari, la perdita e il dolore…
La vita altrove (La nuova frontiera, traduzione di Federica Niola) è il titolo dell’ultima raccolta di racconti di Guadalupe Nettel, nata a Città del Messico e considerata una delle più importanti scrittrici latinoamericane dei nostri giorni.
Il talento spiazzante di Nettel – messo su carta ne La vita altrove, ma anche nelle sue opere precedenti (da Il corpo in cui sono nata a Bestiario sentimentale, passando per Quando finisce l’inverno, per citarne alcune) – è quello di ribaltare la realtà delle vite normali, trasformandole di colpo in straordinarie, quasi fantastiche.
Il fil rouge che lega gli otto racconti è la ricerca febbrile di una vita altra, di un’esistenza lontana dai propri fallimenti, dai silenzi famigliari, da una relazione che non funziona più o da un passato che non smette di pesare.
Non a caso, il titolo originale de La vita altrove è Los divagantes, i vagabondi.
In effetti nei racconti della scrittrice messicana questa ricerca assume spesso la forma di passeggiate, di viaggi e di spostamenti nello spazio, in cui ogni protagonista è, a suo modo, errante.
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C’è, per esempio, un attore frustrato da una carriera mai decollata che sogna di vivere la vita di un vecchio compagno di classe a cui le cose, apparentemente, sembrano andate meglio. La realizzazione di questo sogno ha la forma di lunghe camminate, quotidiane e compulsive, verso la casa in cui il compagno abita.
Oppure c’è un sessantatreenne ormai stanco della sua relazione coniugale, monotona e senza più coinvolgimento. La sua passeggiata verso una “vita altrove” lo conduce in un piccolo appartamento, poco distante da casa sua e della moglie, dove pensa di trovare delle prostituite e dove, invece, scopre qualcosa di molto più affascinante e misterioso.
E poi c’è una madre che, dopo la fine di un severo lockdown, decide di partire insieme al marito e ai due figli per una breve vacanza in montagna. Vacanza che sarà sufficiente per scoprire i lati più oscuri dei suoi bambini.
E ancora, troviamo una donna che vive in un mondo morente, in cui dormire è meglio che restare svegli; una nipote che incontra per caso lo zio, mai conosciuto e da sempre bandito dalla sua famiglia; una bambina che insegue gli albatros per il mondo; un orfano alle prese con la scomparsa di un uomo e un albero secolare molto malato, al cui capezzale prende vita la storia di un’intera famiglia.
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Nettel indaga il fallimento personale, le omertà emotive, i silenzi famigliari e la fine delle relazioni con un linguaggio asciutto ma incredibilmente affascinante. I suoi scenari sono spesso al limite della fantascienza, eppure del tutto credibili. L’autrice riesce a creare, in poche righe, un patto con il lettore che non si rompe mai, dando forma a un’atmosfera, al contempo, magica e iperrealista, che non smette mai di essere coinvolgente – cosa non semplice per una raccolta di racconti. I protagonisti di Nettel, poi, sovente non hanno un nome, perché le loro storie sono le nostre, il loro fuggire è anche il nostro.
“La vita lascia i suoi segni su coloro che osano guardarla in faccia, con lucidità“, scrive Nettel. E i suoi racconti sono un’ottima lente per guardare alle nostre vite con più indulgenza, nella consapevolezza che una vita altrove, davvero, non possa esistere.
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