In “Le furie di Venezia”, dopo quasi cento anni Fabiano Massimi porta alla luce, e traspone per la prima volta in romanzo, la vicenda di Ida Dalser, prima moglie di Mussolini, sedotta e abbandonata e infine rinchiusa in un manicomio fino alla sua morte, per evitare scandali intorno alla figura del Duce. Lo stesso trattamento fu riservato al figlio, Benitino Albino Dalser, cui era stato dato, in principio, proprio il nome del padre…

Un libro che intercetta la storia del ventennio fascista e, allo stesso tempo, si pone come voce di denuncia a favore della memoria di figure dimenticate, affrontando le delicate tematiche della condizione sociale della donna e della salute mentale: tutto questo è il nuovo romanzo di Fabiano Massimi, Le Furie di Venezia, edito da Longanesi, autore che ha ormai abituato lettrici e lettori alla felice congiunzione di elementi tipici del romanzo storico, del giallo e del letterario.

copertina massimi le furie di venezia longanesi

Le furie di Venezia coniuga infatti l’efficace suggestione del contesto storico del ventennio fascista e personaggi, alcuni realmente esistiti (ma finora quasi del tutto sconosciuti), altri d’invenzione, tutti allo stesso modo protagonisti drammatici con le loro profondità psicologiche ed emotive.

L’incipit fotografa un episodio storico di assoluto rilievo: la data è il 15 giugno 1934. Il luogo è Venezia, per l’esattezza la cima della torre dell’orologio, luogo che domina piazza San Marco.

È la cornice di un evento irripetibile: per la prima volta Benito Mussolini e Adolf Hitler si incontrano in pubblico alla presenza di un’immensa folla di italiani.

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Sono presenti anche Siegfried Sauer, ex commissario di polizia, e il suo compare Mutti, che hanno preso parte alla cospirazione antifascista e il cui obiettivo è riuscire a cambiare il corso degli eventi con un attentato al Fuhrer, affinché l’alleanza fra Italia e Germania non si concretizzi.

Ma qualcosa va storto, lo sparo non colpisce il bersaglio, e poche ore dopo i due si ritrovano, nottetempo, a seguire in motoscafo Mussolini, che si reca, inspiegabilmente, all’isola di San Clemente, dove incontra un uomo che indossa un camice bianco.

Sauer e gli altri membri della banda indagano, scoprendo che a San Clemente si trova un manicomio femminile e che il probabile motivo che ha spinto il Duce a recarsi lì ha un nome e cognome: Ida Dalser, una paziente, internata perché sostiene di essere la prima moglie di Benito Mussolini, nonché madre di un figlio del Duce mai riconosciuto.

Sauer e gli altri si recano al manicomio di San Clemente per raccogliere informazioni su Ida Dalser e scoprono che la donna, tenuta in segreto e di cui non figura neanche il nome nei registri, è tutt’altro che una folle bugiarda.

Ida Dalser è davvero la prima moglie di Benito Mussolini, la loro relazione è precedente all’ascesa al potere di lui, e dal loro amore è nato un figlio, abbandonato dal padre fin dalla nascita, chiamato in prima istanza Benitino e il cui nome fu poi forzatamente cambiato in Albino Bernardi, per cancellare qualsiasi traccia onomastica di connessione col padre.

Dall’isola di San Clemente, dove i protagonisti fanno questa prima sconvolgente sorpresa, ancora oggi Venezia sembra a portata di mano. Una distanza geografica apparentemente così breve che diventa icona di quel labile e quasi arbitrario confine che intercorre fra sanità e follia: ai tempi del Regime era infatti sufficiente deviare di poco da quell’idea di condotta che una donna doveva mantenere che si veniva recluse in un manicomio, magari per tutta la vita.

Il fallimento dell’attentato di quella giornata era evidentemente voluto dal destino affinché venissero a conoscenza di questa ennesima vicenda di ingiustizia legata alla figura di Mussolini: una donna condannata alla detenzione in un manicomio e un figlio non riconosciuto, la cui esistenza è costantemente minacciata per la sola colpa di essere nato.

Sauer coglie subito, infatti, che queste verità nascoste sulla vita privata del Duce rappresenterebbero un’arma ben più potente di qualsiasi attentato per far crollare il fascismo, poiché screditerebbero Mussolini agli occhi di tutti gli italiani proprio rispetto a quei valori, come la famiglia, su cui l’ideologia fascista è stata fondata.

L’obiettivo della banda di cospirazionisti antifascisti diventa ora trovare Ida e Albino Dalser: la prima è dunque internata a Venezia, il secondo invece, dopo essere stato espatriato per alcuni anni, riottoso fino allo stremo a tacere in merito alla propria discendenza, è stato a sua volta rinchiuso in un manicomio, a Mombello, in Brianza.

 

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Fra le due città di Venezia e Milano si divide infatti il romanzo, seguendo i tentativi di liberare prima la moglie e poi il figlio di Mussolini. Due grandi città del Nord, ricche e vitali che, da un lato, nascondono al loro interno, individuali spiriti antifascisti, membri di una resistenza silenziosa e privata, pronti ad aiutare Sauer e compagni nella loro missione, dall’altro rappresentano un campo minato di pericoli, spie del regime e potenziali traditori.

Massimi riesce così a condurre il lettore fra le isole della laguna veneziana prima e fra le strade e i grandi viali milanesi poi, con un’attenzione meticolosa alla realtà toponomastica, che permette di figurarsi plasticamente ogni scena narrata.

Ad arricchire la suggestione storica, lungo la lettura si incontrano anche documenti d’archivio, riprodotti in maniera fedele fin nei minimi dettagli, come nel caso delle lettere che Ida scriveva a Mussolini.

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Massimi, che, considerando i suoi ultimi romanzi (L’angelo di Monaco, I demoni di Berlino, Se esiste un perdono), della ricostruzione di vicende storiche mediante esatte fonti d’archivio ha fatto negli anni il suo piano operativo di lavoro, in questo ultimo libro ha riscattato quasi un secolo di silenzio intorno alla vicenda di Dalser; silenzio che, una volta letto il romanzo, apparirà al lettore contemporaneo ancora più assurdo e insensato, una macchia insomma, di cui solo oggi, grazie all’autore, forse ci liberiamo.

Ida Dalser non è infatti solo una vittima illustre, ma assurge a esempio femminile di impavida resistenza all’interno di una società – allora come oggi – maschilista e patriarcale. Per tutta la vita ha cercato di far valere il suo diritto di essere riconosciuta come moglie di Mussolini, rifiutando l’oblio cui quello stesso uomo che aveva amato, con la complicità degli organi lui sottoposti, ha provato a relegarla.

È una figura storica, dunque, ancor prima che un personaggio, la cui statura morale, per la semplicità spiazzante del coraggio e della dignità che l’ha contraddistinta, è stata del tutto ignorata, e che dunque giganteggia a merito all’interno del romanzo di Massimi.

Ed ecco infatti che, ricordando quale sia uno dei fini cui debba tendere un’opera letteraria, Fabiano Massimi scrive che per queste figure “un romanzo mancava, e un romanzo ho provato a trarne. Il motivo è forse l’unica cosa che conosco con certezza, e mi rincuora sapere che si tratta di un motivo antico, antichissimo, primordiale.
Da sempre ci raccontiamo storie per dire: Anche questo è accaduto.
Da sempre ci raccontiamo storie per dire: Non lasciamo che accada mai più’”.

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