Loredana Lipperini racconta a ilLibraio.it il suo nuovo romanzo, “L’arrivo di Saturno”, che non è solo “un memoir generazionale. Ma è anche altro: è, soprattutto, una riflessione sulla letteratura e la finzione. Ed è un ibrido: c’è la realtà, c’è un’amicizia femminile, c’è la Storia. E c’è, infine, lo scarto nel fantastico”. Nel corso dell’intervista si parla, tra le altre cose, della sua idea di letteratura: “Anche in tempi di autofiction, tempi in cui il lettore chiede la verità allo scrittore (e lo scrittore è convinto di dirla, quella verità, perché mettendosi in gioco ogni finzione sembra più convincente), nessun romanzo può essere sincero…”. E si parla di tendenze nella narrativa contemporanea, di maschilismo nel mondo letterario e dell’impatto di internet sul mondo dei libri

Loredana Lipperini, giornalista e scrittrice molto attiva sui social, da anni alimenta il blog Lipperatura, ed è una delle voci di Fahrenheit, il programma pomeridiano di Radiotre.

Lipperini è al “debutto” nel romanzo con L’arrivo di Saturno (Bompiani). Finora, infatti, ha pubblicato diversi saggi, tra cui Ancora dalle parte delle bambine (Feltrinelli, 2007), Non è un paese per vecchie (Feltrinelli, 2012), L’ho uccisa perché l’amavo (2013, Larerza, scritto con Michela Murgia), Morti di fama (2013, Corbaccio, scritto con Giovanni Arduino), Schiavi di un dio minore (2016, Utet, scritto sempre con Giovanni Arduino) e il libro per ragazzi Pupa (Rrose Sélavy, 2013). L’arrivo di Saturno non segna propriamente il suo esordio letterario, perché l’autrice in passato ha pubblicato romanzi gotici con lo pseudonimo di Lara Manni.

Il nuovo romanzo racconta una doppia vicenda, e ibrida realtà e fantasia. Una delle due storie principali è quella di Graziella De Palo, giovane giornalista, innamorata della giustizia, che scompare per sempre a Beirut il 2 settembre 1980, assieme a un collega. I due giornalisti si erano imbattuti in una complessa vicenda, legata al traffico d’armi, che si intreccia con il terrorismo italiano di quegli anni violenti e misteriosi. Una vicenda, reale, quella di Graziella De Palo, che tocca molto da vicino Lipperini: la voce narrante del romanzo “doppio”, Dora, è stata molto amica di Graziella durante l’adolescenza. C’è poi un’altra storia, inventata: quella di un pittore olandese, Han van Meegeren, che accetta di dipingere un Giudizio Universale in Italia, nelle Marche, e precisamente in un santuario in provincia di Macerata, a Col de’ Venti, terra colpita recentemente dal terremoto, a cui l’autrice è molto legata.

ilLibraio.it ha intervistato Loredana Lipperini per parlare del romanzo, e non solo.

Lipperini copertina

Ha impiegato circa quattro anni e mezzo per scrivere questo libro, in cui racconta una storia che la tocca molto da vicino: quali sono state le difficoltà principali? Come si è evoluta la storia nel tempo?
“Nei fatti, questa storia mi accompagna da quasi vent’anni. Da quando è diventato chiaro, almeno, che Graziella non sarebbe tornata: perché il non aver mai avuto un corpo da seppellire ha aperto una tremenda e impossibile speranza, che solo con la dichiarazione di morte presunta è, anche se non del tutto, svanita. La difficoltà di raccontarla è la stessa che probabilmente si pone quando si deve parlare, oggi, di questo romanzo: cosa può aggiungere la letteratura a una storia realmente accaduta che è statadimenticata, è vero, ma comunque analizzata in decine di inchieste giornalistiche? In altre parole: cosa lascerà questa storia in chi la legge? Non sarà l’ennesimo resoconto sugli anni Settanta? Per questo motivo il romanzo si biforca consapevolmente lungo due strade: una è la storia di Graziella vista dagli occhi della donna che nell’adolescenza fu la sua migliore amica, l’altra quella di Van Meegeren, che peraltro è realmente esistito e ha davvero dipinto falsi Vermeer. Ma in questa storia non è che un artista fallito, un falsario. E dal momento che tutto quel che si è mosso attorno a Graziella è un falso (i falsari ci sono stati davvero, a coprire i fatti: una giornalista massona che prese l’identità di Graziella a Beirut, un agente dei servizi segreti che deformò ogni avvenimento, per citarne solo due), mi sembrava che percorrere la via dell’assoluta invenzione fosse il modo giusto per illuminare quella verità. Questa è stata e sicuramente sarà la difficoltà maggiore”.

Perché dice “sarà”?
“Perché è evidentemente più semplice leggere solo una parte del romanzo e vederlo come memoir generazionale. Ma è anche altro: è, soprattutto, una riflessione sulla letteratura e la finzione. Ed è un ibrido: c’è la realtà, c’è un’amicizia femminile, c’è la Storia. E c’è, infine, lo scarto nel fantastico”.

Lei stessa, sul suo blog, ha cercato di definire L’arrivo di Saturno: “Non è autofiction e lo è, non è non fiction novel e lo è, non è romanzo di formazione e lo è. Non è realistico. E lo è. Perché nulla in letteratura è reale”. E poi ha lasciato parlare la voce narrante: “Noi volevamo essere ingannate, tutte e due: Graziella dalla ricerca della verità, io dalla ricerca della finzione, che è parente stretta del falso anche se si chiama letteratura”. È questa, da scrittrice, la sua idea di letteratura?
“Credo che la letteratura sia questo. Anche in tempi di autofiction, tempi in cui il lettore chiede la verità allo scrittore (e lo scrittore è convinto di dirla, quella verità, perché mettendosi in gioco ogni finzione sembra più convincente), nessun romanzo può essere sincero.  Cosa è più reale, il vecchio misterioso che propone a Van Meegeren di dipingere un Giudizio Universale sulla cima di una montagna, e che sembra non appartenere al mondo degli uomini, o il gorgo di bugie, depistaggi, stragi che converge sulla morte di una ragazza di 24 anni, Graziella, e dove tutto sembra collegarsi, la strage di Bologna, la P2, tutto quello che è rimasto impunito e dimenticato? La letteratura mente, così come si mente nel mondo reale: ma può almeno tentare di trasformare quella bugia, condividendola”.

Si può (anche) definire un libro sull’amicizia, e sulla memoria?
“Anche. Ma non è un memoir, l’ennesimo, sugli anni Settanta, o lo è soltanto in parte. Certo, è un romanzo sull’amicizia fra due ragazze, e su cosa accade alle ex ragazze che si sentivano immortali quando invecchiano. O se muoiono quando sono ancora ragazze. Ed è un romanzo sulla finzione, dove illusionisti e spie completamente immaginari si mescolano con vere spie e oscuri, quanto reali, autori di illusioni. Non c’è grande differenza fra l’agente del controspionaggio inglese che va a trovare il vecchio Van Meegeren in carcere e il vero agente dei servizi che scopre la verità sugli anni Ottanta e viene trovato impiccato a un portasciugamano”.

Nel caso della tragica storia vera raccontata nel libro, in che modo la letteratura può fare da supporto alle ricostruzioni giornalistiche e alle inchieste giudiziarie?
“Riprendendole e rielaborandole: per anni, i familiari di Graziella e Italo hanno raccolto materiali, hanno registrato colloqui, chiesto che venisse tolto il segreto di Stato. Sono stati disponibili su internet. Sono stati usati per centinaia di articoli. Nulla è cambiato. Non pretendo che un romanzo aiuti a far luce: ma almeno può, auspicabilmente, alimentare la memoria”.

Ogni giorno a Fahrenheit ha la possibilità di incontrare autrici e autori italiani e internazionali: quali tendenze vede delinearsi nel romanzo contemporaneo?
“La vocazione all’autofiction mi sembra affermarsi, certo in modi diversissimi: non tutti hanno dell’autofiction la stessa concezione che ne ha Emmanuel Carrère, che pone se stesso nei suoi romanzi per sporcarsi le mani e mettere l’io dello scrittore dentro la vicenda, invece di lasciarlo sul ciglio della strada. Ma la tendenza c’è, ed è interessante seguirla”.

A questo proposito, quali sono i romanzi che più l’hanno sorpresa negli ultimi anni?
Citarne pochi sarebbe fare torto ai molti che lascio fuori. Quindi dico soltanto che mi sembra, a dispetto di quanto spesso si sostiene, che in Italia ci sia molta letteratura viva e forte, che il romanzo sta bene, grazie, e che non è vero che non ci sono più gli scrittori di una volta signora mia”.

In questi mesi ha costantemente portato l’attenzione sulle terre colpite dal terremoto: ancora una volta, dopo la grande attenzione mediatica dei primi momenti, ben presto le popolazioni colpite sono state dimenticate, non solo dai media…
“Dalla fine di ottobre ho dedicato il blog solo alle storie che vengono dalle Marche, visto che la Marca maceratese, pur non avendo fortunatamente avuto vittime, è stata devastata, e nulla, nulla viene fatto dopo mesi. E’ l’unica cosa che sono in grado di dare: il racconto. Infatti, come ha ricordato, il santuario dove Han Van Meegeren riceve l’incarico è Col de’ Venti, sopra Muccia, e Muccia è uno dei paesi annientati dal terremoto. Magari, almeno un po’, serve”.

Su ilLibraio.it in più occasioni ci siamo occupati del maschilismo nel mondo letterario: il fatto che, anche grazie a internet, sempre più spesso si ponga l’attenzione su queste questioni, che non riguardano solo l’Italia, sta finalmente cambiando lo stato delle cose? O un’autrice donna non viene ancora considerata alla pari di uno scrittore? 
“Ufficialmente sì. Ma esistono i non detti, quelli che ti portano, nei comportamenti effettivi, a ‘vedere meno’ le scrittrici, a non considerarne comunque il valore come paritario. Non è una questione di politicamente corretto o di quote rosa: quante scrittrici esibiscono ego ipertrofici come molti, moltissimi colleghi maschi, certi di aver scritto il capolavoro del millennio a ogni uscita? Poche, mi sembra. E va bene, ma è come se anche fra le autrici passasse quell’insicurezza e quella mancanza di fiducia in se stesse che viene dalla controparte maschile. Come diceva Grace Paley, le scrittrici leggono i colleghi. Ma la cortesia non viene sempre ricambiata”.

Di recente abbiamo intervistato Pamela Paul, responsabile della prestigiosa The New York Times Book Review e della sezione libri del New York Times, che ha spiegato perché, a suo avviso, vale ancora la pena leggere le recensioni dei critici professionisti nell’era del passaparola sui social. Lei, anche su Repubblica, da anni si occupa del rapporto tra letteratura e internet, tra editoria libraria e social: al di là del livore tra addetti ai lavori (e non solo), che in certi casi sembra farla da padrone sui social, e che sembra difficile fermare, in che modo il web ha “fatto bene” al mondo dei libri?
“Diffondendo storie e pareri, che siano autorevoli o meno. Dando la parola ai lettori. Restituendo il valore ’emotivo’ della lettura. Detto questo, i critici professionisti vanno letti: non vedo contrapposizione ma integrazione. L’unico problema sorge quando i critici professionisti si lasciano andare sui social senza riflettere sul peso delle proprie parole: ma questo riguarda tutti, temo”.

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