“Luca”, il nuovo film Pixar, è una storia che parla dei nostri mostri e del coraggio che serve per conoscerli; del ruolo fondamentale di una comunità che sappia accogliere e di quanto sarebbe bello che, un giorno, la strada verso l’inclusione avesse una trama semplice quanto quella di un film d’animazione…

È appena uscito in Italia il nuovo film Pixar Luca che, come ogni film Pixar, indaga un angolo della nostra umanità in cui, da una prospettiva o dall’altra, ciascuno e ciascuna di noi si legge. La forma è quella di un lungometraggio animato (e animato benissimo. Sulle atmosfere della Pixar non è che ci sia molto da aggiungere, quelle parlano da sé) ambientato a Portorosso, un borgo di mare incastrato col pensiero nella zona delle Cinque Terre liguri. Sotto il porticciolo, gli anziani al bancone del bar, i pescatori sulle loro barche sgangherate, i panni stesi ad asciugare al vento salato, i negozi di alimentari grandi come uno sgabuzzino, ci sono i nostri temi quotidiani, quelli che ogni giorno ci muovono: il diverso, l’identità, la comunità. Al solito, ciascuno può scegliere il proprio livello di lettura. 

Come ha scritto Marina Pierri, autrice di Eroine. Come i personaggi delle serie TV possono aiutarci a fiorire (Edizioni Tlon), “Luca è un film sui mostri”. La storia è quella di Luca, appunto, e del suo amico Alberto, mostri marini che, troppo stretti nel loro mondo sommerso, decidono di uscire in superficie, trasformandosi in umani e provando a sembrarlo davvero. 

L’inizio è uno scontro generazionale, stile La Sirenetta. I genitori vietano a Luca di andare nel mondo degli umani perché “a quelli come noi, lassù, danno la caccia!”, e Luca, com’è ovvio, decide di farlo lo stesso. A guardarla così c’è tanto della Sirenetta ma in realtà, questa volta, Luca sulla terra mica vuole andarci per sposare la sua amata o il suo amato ma per conoscere e conoscersi: per vedere cosa succede fuori dal suo spazio, per incontrare chi lo abita, per confrontarsi con sé e con gli altri. E questo, a ben pensarci, fa tutta la differenza. 

La trama, anche per chi non avesse ancora visto film, è facilmente intuibile: Luca e Alberto arrivano a Portorosso, trovano un’aiutante, Giulia, un antagonista, Ercole, e un’intera comunità unita dall’unico scopo di cacciare i mostri marini. A voler vedere un film forte di colpi di scena e intrecci inaspettati sarebbe necessario spostarsi su un’altra scelta, sappiatelo. Ma Luca ha una forza tutta sua, pur avendo una trama decifrabile dopo la seconda o terza scena: in questo film Enrico Casarosa, al suo esordio alla regia di un lungometraggio, racconta temi dal peso specifico grande quanto quello della nostra stessa esistenza, con la solita delicatezza che le storie Pixar sanno avere. 

Intanto in Luca c’è il ruolo fondamentale di una comunità capace di accettare, ascoltare, andare oltre le apparenze e, solo così, migliorarsi e allargare i proprio orizzonti oltre il confine del mare. Una comunità che, all’inizio, può essere un solo amico capace di capirci, un libro che dà forma ai nostri pensieri, un film che ci cambia la vita, un podcast che ci aiuta a capire che la nostra stessa storia, prima di noi, l’ha già vissuta qualcuno e, così, darci il coraggio per vivere fuori dai nostri abissi

E, in questo senso di comunità che include, c’è il nostro mandato, nel mondo che abitiamo e non in quello delle favole: farci portavoce delle cause che si spendono per l’uguaglianza e per il dialogo, anche se ci sembrano lontane da noi. Perché si diventa Ercole, il bullo di Portorosso, non solo osteggiando una comunità ma anche facendo finta che non esista.  

In questo racconto, poi, c’è l’importanza di conoscere i mostri, i nostri mostri, non quelli marini questa volta. Conoscerli e non cacciarli per farci pace. 

E infine, ma non infine, c’è la vittoria di chi ha scelto di rischiare, cercando la propria identità dentro di sé, anche a costo di mostrarsi agli altri con i propri lati spaventosi (non a caso “mostrare” e “mostro” derivano entrambe dalla stessa radice latina). Qui a perdere è Ercole che, ha passato la vita a definirsi in opposizione agli altri, ai presunti deboli, ai “diversi”. 

Tra i critici c’è chi ha definito Lucail film perfetto per l’estate“, chi “un dispositivo di nostalgia, pieno di piccole grandi madeleine”, come ha scritto Gabriele Niola su Wired, e chi lo ha paragonato alle atmosfere di Chiamami col tuo nome di André Aciman (Guanda, traduzione di Valeria Bastia), anche nella sua versione cinematografica diretta da Luca Guadagnino.

Chiamami col tuo nome Andre Aciman

In ogni caso, Luca è una storia quotidiana e, non a caso, il protagonista ha un nome che è tra i più diffusi nel nostro paese. Perché Luca è tutti e tutte noi, con le nostre paure, i nostri mostri e il nostro terrore di non essere accettati e accettate, di non trovare un posto nel mondo. 

La strada per l’integrazione, di certo, non è una trama tanto prevedibile e, non sempre, porta a un lieto fine. Ma forse, per i bambini e le bambine che guarderanno Luca oggi e che saranno grandi domani, questo racconto sembrerà l’unico racconto possibile.   

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