La pubblicazione del Meridiano Mondadori, che raccoglie i sei romanzi di Jane Austen con una selezione di altri scritti, offre la possibilità di rileggere la scrittrice in una luce nuova, che è, in fondo, la luce più storicamente appropriata (anche da un punto di vista linguistico, visto che è la prima volta che l’intera opera dell’autrice è consegnata alla voce di un’unica traduttrice, Susanna Basso). Nel tentativo di raccontare una storia letteraria (ma non solo), che sia “definitivamente altra, non alternativa o aggiuntiva”, la lunga e appassionata introduzione di Liliana Rampello si sofferma su quattro macroquestioni principali: il genere letterario (il romanzo di formazione); il tema dei romanzi (il desiderio di felicità); tre figure di stile (l’ironia, l’indiretto libero, il dialogo); alcune situazioni narrative strutturanti (il ballo, il matrimonio, la passeggiata, la casa)

Grazia Livi, in un libro del 1984, dal titolo woolfiano Da una stanza all’altra, così introduce l’ingresso di Jane Austen in quella che era una – se non la – stanza principale per l’osservazione e l’elaborazione (e molto spesso la messa in atto con le letture e le rappresentazioni familiari) dei suoi progetti di scrittura: “E poi, appena può, appena viene chiamata, eccola far la sua comparsa in salotto, fra gli ospiti in visita. Di solito non sceglie una sedia, bensì uno sgabello rotondo, accanto al caminetto, e vi siede sopra animata, briosa, con le guance rosse, con gli occhi scintillanti, come un passerotto balzato sopra un ramo, che lo faccia stormire. Il salotto è il suo osservatorio, è la palestra delle sue riflessioni. Per una ragazza del suo ceto la vita è unicamente qui che si svolge, è unicamente qui che dispiega i veli delle sue verità e delle sue ipocrisie”.

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Nel salotto molto spesso i familiari di Austen ascoltano in anteprima passaggi di quei romanzi solo tardivamente pubblicati anonimamente, by a Lady, o assistono a delle piccole rappresentazioni domestiche di quei testi, i cosiddetti Juvenilia, che la precocissima Austen compone fra i dodici e i diciotto anni e a cui pure doveva assegnare un valore maggiore di quello che si dà alle prime prove di scrittura se si premura di trascriverli e conservarli in tre quaderni.

In questi primi testi si trova davvero di tutto: quella vena comica che poi si trasformerà nella più matura ironia, la caricatura – che ancora tornerà nel tratteggiare alcuni personaggi ormai noti: Miss Bates o Mr Collins – , in forme assolutamente diverse, frammentarie, teatrali, epistolari, satiriche, parodiche, che si trascineranno talvolta anche negli elementi strutturali dei suoi romanzi: da una certa tendenza all’oralità vissuta che si tramuta nel dialogo fino alla teatralizzazione (e un teatro domestico si trova al centro di Mansfield Park).

Ma il salotto è anche e soprattutto il luogo di contatto di Austen con il mondo là fuori, e che spesso ha portato molti a etichettare Austen come una scrittrice distante dalla Storia, senza contatti con la realtà economico-politica, impermeabile. Pregiudizio che davvero non si fa fatica a ribaltare, anche senza dover necessariamente parlare di una “psicologia politica”, come fa Mario Praz, che notava acutamente che i personaggi, anzi gli individui, che popolano il mondo romanzesco di Austen, “sono sempre in funzione di una società”; o senza necessariamente, e pure è cosa sempre molto utile anche in letteratura, seguire i soldi, se è vero, come ha notato Ellen Moers che all’inizio dei suoi romanzi “Jane Austen parla sempre del denaro; questa può essere considerata la prima caratteristica nettamente femminile dei suoi romanzi, dato che nella narrativa inglese il denaro e il modo di guadagnarlo sono argomenti delle scrittrici”.

Ecco, forse il modo migliore, quello storicamente, più avvertito di ragionare sull’impregnazione storico-politico-economica dei romanzi di Austen è proprio partire dalle “caratteristiche nettamente femminili” della sua scrittura. È quello che fa Liliana Rampello nella sua bellissima introduzione al nuovo Meridiano (il primo di due volumi) dedicato ai Romanzi e altri scritti di Jane Austen: il punto di partenza, la domanda fondamentale che si fa Rampello per inquadrare l’opera di quella che è senza dubbio una delle maggiori scrittrici dell’Ottocento, è proprio verificare “cosa accade quando, in un tempo dominato da millenni di pensieri e scrittura di uomini, in questo caso il Settecento europeo, irrompe la libertà di scrittura e di pensiero di una donna”.

Per cercare di rispondere a questo quesito Rampello, nel tentativo di raccontare una storia letteraria (ma non solo), che sia “definitivamente altra, non alternativa o aggiuntiva”, si sofferma su quattro macroquestioni principali e che, a ragion veduta, costituiscono le chiavi di volta con cui l’opera di Austen è consegnata alle lettrici e ai lettori di oggi: il genere letterario (il romanzo di formazione); il tema dei romanzi (il desiderio di felicità); tre figure di stile (l’ironia, l’indiretto libero, il dialogo); alcune situazioni narrative strutturanti (il ballo, il matrimonio, la passeggiata, la casa).

Che il romanzo di formazione sia la forma simbolica della modernità è ormai un dato acquisito almeno dal fortunato, e a suo modo geniale, libro di Franco Moretti, eppure in una lunga e autorevole linea storiografica che da Hegel arriva a Moretti e oltre, con troppa facilità, nota giustamente Rampello, è stata data per scontata “e non problematizzabile la distinzione fra sfera pubblica e sfera privata”, in modo che venisse assunto “sotto uno stesso nome di quotidiano l’esperienza sia femminile sia maschile del mondo, non registrando un’evidenza, ovvero che per una donna il quotidiano non ha gradini che la portino su o giù nella storia, semplicemente perché così si intende sempre la Grande Storia (e non la “sua” storia, intesa sempre al contrario, sempre come minore)”.

Insomma la formazione del Wilhelm di Goethe, dei vari Rastignac e Rubempré, di Julien Sorel, non appartiene all’esperienza di vita femminile di quell’epoca. Ed è proprio a partire da questa constatazione che Rampello identifica la più grande invenzione austeniana, vale a dire, il romanzo di formazione femminile, all’interno del quale prende forma il tema cruciale del desiderio di felicità individuale di una donna, delineando una “tensione dominante” (sono ancora parole di Rampello) “verso la costruzione della propria soggettività, che apre al tema imprevisto della formazione di sé”.

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E da questo punto di vista il matrimonio non è più il centro di questi romanzi, ma diventa “l’esito di una ricerca ben più cruciale”, la felicità stessa della donna, raggiungibile, sì, sposandosi, ma “in modo consapevole, autodeterminato”, attraverso un amore che si fa “forza di trasformazione personale e vettore di slittamento fra le classi”. E basti guardare la traiettoria, in Orgoglio e pregiudizio, di Elizabeth Bennett, forse la più nota delle protagoniste austeniane: non una ragazza che è riuscita a trovare un marito ricco, ma che è riuscita, che può, migliorare se stessa, “mettere all’opera tutti i suoi talenti”.

Di questa, e di tutte le altre, traiettorie, alcuni momenti sono particolarmente rappresentativi: il ballo, spazio-tempo quasi esterno alla quotidianità in cui sono permesse le prime possibili conversazioni fra i due sessi, o in cui emerge tutta la forza del desiderio non-detto, attraverso il linguaggio del corpo; o ancora la passeggiata solitaria, che troviamo già in Ragione e sentimento con Marianne, fondamentale per “far pensare con la propria testa la protagonista”, o per sfuggire da quel salotto, sui cui magari è seduta su uno sgabello come Austen, ma che talvolta può farsi troppo affollato.

Della formazione, del racconto della formazione femminile, un momento fondamentale, caratteristico con cui la scrittura di Austen riesce a sottrarre le sue eroine “al dominio introiettato dall’uomo” è il vincolo affettivo con un’altra donna, come mostra nella maniera migliore Persuasione, in cui fra le principali conquiste di Anne Elliot c’è la scoperta che “la libertà femminile è relazionale”.

Questa scrittrice, continua Rampello, “unica nel Settecento, ha intuito e mostrato la forza libera della verticalità delle relazioni femminili, che strappa ognuna alla ‘condizione’ orizzontale del ‘tutte uguali’ nella miseria dell’inesistenza simbolica”.

In questo “percorso positivo di autonomia femminile”, una parte centrale, oltre all’ironia – che davvero è la marca centrale e più caratteristica della pagina di Austen – c’è il dialogo, la polifonia delle voci raggiunta grazie al discorso indiretto libero, l’uso di una parola, come si vede con ogni evidenza in Mansfield Park, per affermare la propria soggettività di donna, ma soprattutto la conversazione: il dialogo costituisce il principale attivatore della trama e di interpretazione del tema del desiderio femminile, solo il dialogo offre l’occasione di “stabilire in che modo si sa e si vuole stare al mondo, comunicare all’altro e con l’altro la propria unica e singolare esperienza del mondo, mettendola appunto in comune”.

La pubblicazione di questo meridiano, che raccoglie i sei romanzi di Austen con una selezione di altri scritti (una parte dei Juvenilia, Lady Susan, una scelta di lettere), ci offre, così, la possibilità di rileggere Jane Austen, grazie all’appassionata lunga introduzione di Rampello, la dettagliata Cronologia della vita dell’autrice e le Notizie sui testi, in una luce nuova, che è, in fondo, la luce più storicamente appropriata; e si tratta di una luce anche linguistica: i romanzi sono infatti pubblicati nella nuova (bella) traduzione di Susanna Basso.

È la prima volta che l’intera opera dell’autrice è consegnata alla voce di un’unica traduttrice, che, oltre a ritradurre le opere, restituendoci le caratterizzazioni linguistiche e i vezzi, i tic o le sgrammaticature dei personaggi (tanto importanti in un’opera così vistosamente costruita sul dialogo), conserva anche alcune particolarità grafiche (ma non per questo poco significative), sistematicamente perdute nelle edizioni precedenti, come l’uso del cosiddetto “trattone”, che, spiega la Nota dell’Editore, “conferisce un respiro particolare alla scrittura, restituendo al discorso un andamento esitante, a volte quasi l’efficacia teatrale di un balbettio”.

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