In uscita con “Nella pancia del papà”, Alberto Pellai, medico, psicoterapeuta e autore, riflette sul cambiamento della figura paterna negli ultimi anni, non più “uomo delle regole”, ma uomo degli affetti: “I ‘nuovi padri’ hanno scoperto l’importanza e la bellezza di generare una relazione con il proprio figlio tale da garantire connessione emotiva, disponibilità e coinvolgimento…” – La riflessione

Coccolami ancora per un po’
Tienimi accanto, non dirmi no.
Con le tue braccia fammi volare
Attento alla barba, mi fa grattare
Se sul tappeto mi tieni incollato
Mentre giochiamo al pugilato
-Aiuto- grido alla mamma per finta
Poi tu ti giri e ti do una spinta
Tienimi forte sul cuore papà
Almeno adesso che la mia età
Consente a entrambi in casa e in terrazzo
Di farci coccole senza imbarazzo.
Tra qualche anno, la legge dei duri
Ci troverà più grandi e maturi
A fare finta che gli uomini veri
Son tutti d’un pezzo e molto seri
Stasera quel tempo è ancora lontano
Tu coccola e gioca con me sul divano.

(tratto da Nella pancia del papà di Alberto Pellai, Salani, 2025)

Forse qualche decennio fa, nessuno avrebbe dedicato ad un papà questa filastrocca. Perché al papà veniva chiesto di essere “uomo delle regole” e non uomo degli affetti. Parlare di paternità oggi significa rivedere tutto ciò che è accaduto nel mondo e nella vita degli uomini. Significa confrontarsi con la revisione del ruolo di genere maschile. Significa incorporare nell’analisi del “ruolo paterno” oggi, quella grande quantità di mutamenti che sono avvenuti a livello macrosociale, ma anche microsociale.

Nella pancia dei papà

Perché negli ultimi 50 anni non solo è cambiato il modo di “fare società” ma è anche profondamente cambiato il modo di “fare famiglia”. In particolare, oggi gli uomini hanno acquisito una nuova consapevolezza di sé e del proprio modo di “abitare la vita”. Non più solo proiettati verso il mondo fuori e le richieste imposte dalla professione, i “nuovi padri” hanno scoperto l’importanza e la bellezza di generare una relazione con il proprio figlio tale da garantire connessione emotiva, disponibilità e coinvolgimento.

Se al padre del secolo scorso veniva richiesto di presidiare un ruolo fondamentalmente normativo, aspettativa che lo rendeva la figura di autorità dentro la vita di un figlio, oggi al padre viene richiesto di coniugare norme e affetti e di rendere il suo ruolo e la sua posizione accanto ad un figlio autorevole, ma non autoritaria.

Ancora oggi, c’è una fatica enorme ad utilizzare un linguaggio emozionale e sentimentale nel mondo maschile. Si teme di perdere status e di infrangere il codice implicito presente nel ruolo di genere, che impone di essere “tutti d’un pezzo”. Ma con un neonato tra le braccia e appoggiato sul cuore, con un bambino che tieni per mano mentre lo accompagni all’asilo prima di andare tu stesso al lavoro oppure che vedi salutarti dal finestrino di un bus, quando parte per la sua prima gita con la scuola dell’infanzia, non si riesce ad essere tutti d’un pezzo.

O meglio, si può fingere di esserlo. Ma dentro, ognuno di noi sente e sa che si è sciolto qualcosa di caldo e intenso, che quel bambino ha coltivato – come un paziente giardiniere dentro la nostra vita – e che ora emerge in tutta la sua potenza.

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Si chiama tenerezza, deriva dalla profonda connessione emotiva che si stabilisce tra il cucciolo d’uomo e chi lo ha messo al mondo ed è uno dei tesori più grandi che la vita mette a disposizione di chi diventa genitore. Un figlio infatti ha la capacità di entrare nella vita dei suoi genitori e di cambiarne non solo il palinsesto, ma anche il funzionamento mentale.

Le neuroscienze, negli ultimi decenni, hanno rivelato quale impatto ha la vicinanza fisica tra un padre e suo figlio. Come scrive Sarah Blaffer Hrdy nel suo bellissimo libro Il tempo dei padri (Bollati Boringhieri): “Gli uomini che si occupano dei bambini sono sottoposti alle stesse trasformazioni neurologiche, agli stessi incrementi nei livelli di prolattina e alla stessa sensazione di appagamento mediata dall’ossitocina, subiti dalle madri; se il loro livello di testosterone crolla e la loro unica preoccupazione diventa il benessere dei figli; se il loro cervello viene plasmato in modo simile a quello delle madri, non dovrebbero cambiare anche le loro inclinazioni psicologiche? Le loro priorità potrebbero diventare più simili a quelle più prosociali che si suppone siano caratteristiche delle madri? Questi uomini potrebbero forse essere anche più propensi ad agire in modo più cauto e più sostenibile?”.

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Sostenere oggi la genitorialità paterna, significa diventare promotori del valore della tenerezza nel mondo maschile. È incredibile constatare quanta resistenza culturale esista ancora oggi di fronte a questa proposta. Immaginare che un uomo che diventa padre, possa essere “testimone di tenerezza” è da molti inteso come chiedere al maschile di femminilizzarsi, di fragilizzare quella dimensione di potenza che il testosterone, ormone responsabile della forza muscolare e del desiderio sessuale nel maschio (e che di conseguenza viene associato alla mascolinità) presidia nella vita degli uomini.

Ma se è vero come riporta la ricerca neuroscientifica che il neo-padre che vive a contatto con il proprio bambino nelle settimane seguenti la sua nascita va incontro a profonde trasformazioni del proprio assetto ormonale, con la riduzione della concentrazione di testosterone nel sangue paterno, a scapito di un aumento della concentrazione di ossitocina e prolattina, è vero allora che all’uomo che diventa padre l’evoluzione e la neurobiologia chiedono di diventare “tenero”, intimo e accudente, per espletare al meglio il proprio ruolo paterno.

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Questi principi sono alla base di quella rivoluzione silenziosa che molti nuovi padri stanno portando non solo nella vita dei loro figli, ma anche nell’intera società. Perché nulla come l’esperienza della paternità permette all’uomo che diventa padre di rinunciare al modello del “vero uomo” (quello potente, che non deve chiedere mai) per aderire al modello dell’ “uomo vero”.

Buona festa del papà a tutti.

L’AUTORE – Alberto Pellai è medico, psicoterapeuta e ricercatore presso il dipartimento di Scienze biomediche dell’Univerità degli Studi di Milano. Inoltre collabora con diversi media nazionali e nel 2004 ha ricevuto dal Ministero della Salute la medaglia d’argento al merito della Sanità pubblica.

È autore di molti libri di successo, tra i quali L’età dello tsunami (DeAgostini), Io gomitolo, tu filo (DeAgostini), Ragazzo mio (Mondadori), Il lato più bello con Barbara Tamborini (Salani). Ora, Pellai torna in libreria con Nella pancia del papà – Filastrocche per crescere insieme, pubblicato da Salani con le illustrazioni di Maria Cristina Lo Cascio.

Un libro per bambini (consigliato dai 3 anni) che celebra la tenerezza e l’amore rivolgendosi sia ai papà sia ai più piccoli. Perché se è vero che essere genitori non è semplice – un viaggio che non finisce mai fatto di incertezze, dubbi ma anche molta gioia -, anche essere piccoli ha le sue difficoltà: paure, insicurezze e prime volte. Pellai con Nella pancia del papà accompagna bambini e genitori lungo un percorso di crescita che passa attraverso le prime storie raccontate sotto le coperte ma anche la quotidianità di un pomeriggio in bicicletta, evidenziando come non si smetta mai di essere padri, così come di crescere.

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