“Quando si prende familiarità con quel segreto universo e la sua vita che riprende a scorrere ogni volta che si apre un volume dell’enorme libro diviso in sette libri, ci sono espressioni che si intessono come in un codice, un gioco di rimandi cifrati. Esiste un lessico speciale che appartiene alla piccola folla dei personaggi della Recherche, e come ogni buon lessico familiare ci entra nelle orecchie senza che ci facciamo caso”: su ilLibraio.it la scrittrice Ilaria Gaspari racconta il suo rapporto speciale con “Alla ricerca del tempo perduto”, mastodontica opera di Marcel Proust

Era una sera un po’ come questa in cui scrivo, una sera di primavera tiepida, la magnolia iniziava a fiorire e il tramonto scoloriva lentissimo in un azzurro tenue sopra i tetti di Pisa.

Più o meno come stasera, che ho aperto i vetri su un cielo scolorito; solo che io non sono più a Pisa. E non sono più, come allora, una studentessa al primo anno di filosofia, anzi una studentessa e una collegiale, nel senso che abitavo in un collegio e la magnolia cresceva proprio davanti all’unica finestra della mia stanza. Ero, allora, la stessa persona che sono adesso, e insieme ero un’altra, una che non esiste più se non nei brevi attimi in cui la ritrovo, spalancando la finestra sul cielo stanco e dolce della sera, scoprendo un’identica primavera in una primavera diversa, riacciuffando per una frazione infinitesima di tempo il ricordo di quella ragazza che stava per aprire – e non lo sapeva – una porta che non avrebbe mai richiuso; la porta che le avrebbe dischiuso di fronte corridoi tortuosi, svolte, scale, e altre porte, per portarla fino al punto in cui si trova ora.

A potersi pensare, senza per questo farsi venire le vertigini, identica e diversa da quella che era nella sera in cui il suo ragazzo le regalò un libro quadrato Einaudi con la copertina carta da zucchero, che si intitolava La strada di Swann ed era la traduzione di Natalia Ginzburg del primo dei sette volumi della mastodontica opera di Proust, Alla ricerca del tempo perduto.

Quel libro azzurrino si apriva su un mondo intero, un mondo affollato, brulicante di vita come certi quadri fiamminghi che sembrano animarsi e trasformare una parete di museo in una finestra su universi sconosciuti. Il mondo dentro il libro era abitato da personaggi con nomi e cognomi impossibili da dimenticare, redingote e marsine e scarpette rosse e somiglianze e manie e tic e emicranie forse simulati, e vizi più o meno disdicevoli; personaggi talmente vivi, talmente pieni, da dare molto presto la sensazione di essere conoscenze reali.

Ho conosciuto davvero la salottiera Madame Verdurin, e pure il barone di Charlus, con la sua squisita, misteriosa gentilezza e le sue segrete perversioni, ma poi chi non ne ha?, potrei giurarci. Françoise, la meravigliosa governante, in primavera quando dal fruttivendolo compaiono gli asparagi me la vedo di fronte, e spero sempre che mi insegni come cucinarli, ma dev’esserci un’interferenza perché li faccio sempre troppo crudi.

Quando si prende familiarità con quel segreto universo e la sua vita che riprende a scorrere ogni volta che si apre un volume dell’enorme libro diviso in sette libri, ci sono espressioni che si intessono come in un codice, un gioco di rimandi cifrati. Esiste un lessico speciale che appartiene alla piccola folla dei personaggi della Recherche, e come ogni buon lessico familiare ci entra nelle orecchie senza che ci facciamo caso, e in men che non si dica trasfigura le parole, gli aneddoti, le piccole cose di ogni giorno: che sono, in fondo, nel libro ma anche nella nostra esperienza quotidiana, spesso il segno di cose più grandi, se non altro perché, avendole viste in una certa luce, ai nostri occhi si trasformano in formule magiche capaci di tradursi in emozioni.

Per esempio, da quando ho letto la pagina in cui il dandy Swann si innamora di Odette ancora ragazzina, non la prima volta che la vede – la prima volta, anzi, non gli fa una grande impressione: ha le guance un poco rovinate dall’acne e lui, che è un raffinatone, la trova volgarotta e pensa che la fama della sua bellezza sia esagerata – ma un giorno che la va a trovare e lei si china, in un movimento distratto che ai suoi occhi la fa somigliare per un istante a Sefora, leggiadra figura biblica (è la figlia di Ietro nel libro dell’Esodo, e la moglie di Mosè) in un affresco di Botticelli che ho visto, anni dopo, alla cappella Sistina; ecco, da allora, ogni volta che entro in una profumeria Sephora non posso non pensare a quell’amore di Swann.

O ancora: quando nei titoli di testa di un film leggo il nome della casa di produzione Cattleya, di nuovo ripenso a Odette e Swann, e a dire il vero li ripenso con un pochettino di imbarazzo e insieme una grande dolcezza per la prima fase del loro amore, che come tutti gli amori è iniziato con un mare di sciocchezze e una lingua segreta – una lingua che chi si è affacciato sulla soglia del primo volume ha potuto origliare indisturbato, e ora quindi si ritrova ad arrossire al ricordo di cosa voleva dire, per quei due, fare cattleya, mentre si stavano innamorando.

C’è insomma tutta una cabala di oggetti quotidiani e parole trasformati dall’ingresso nell’universo parallelo che vive nelle pagine; e devo ammettere che per me, sulle prime, la forza di queste evocazioni era persino esagerata. Difatti mi ritrovai a interrompere la lettura alla fine del primo volume, perché mi faceva troppo soffrire la storia d’amore di Swann e Odette; mi faceva soffrire perché, è la prima volta che lo confesso, mi sembrava così vera che mi sentivo osservata. Per la prima volta mi ero innamorata sul serio, un amore non da ragazzina, ma che mi pareva più adulto e sarebbe durato molti anni; il fatto che il destinatario di quell’amore fosse anche il ragazzo che mi aveva, con un suo regalo, introdotta a Proust, non fu forse del tutto casuale.

Com’è, come non è, il modo in cui dentro quel libro prendevano forma delle tensioni che per la prima volta scoprivo, nella mia vita, proprio in quei mesi – il desiderio, la gelosia, il terrore di perdere chi ami – era talmente intenso da spaventarmi. Mi terrorizzava il pensiero di non avere una vita segreta, una vita mia, abbastanza interessante da poter tenere accesi i desideri; goffamente cercai di rendermi misteriosa, non ci riuscii, e invece di riderci su accantonai per il momento Proust. Mi faceva paura.

Ma non riuscii a tenermi lontana a lungo dal mondo parallelo in cui avevo mosso solo pochi passi. Un paio d’anni dopo, in vacanza a Parigi, comprai d’occasione l’edizione Folio di All’ombra delle fanciulle in fiore, con la sua copertina bianca e sopra una cattedrale di Rouen dipinta da Monet. E per fortuna – lo dico col senno di poi – mi rituffai nella lettura, viaggiai nella Normandia delle vacanze a Balbec molto prima di metterci piede davvero, e mi piacque tanto che andai avanti, da allora, senza più fermarmi: I Guermantes, e poi Sodoma e Gomorra, dove capitai proprio al momento giusto. Al momento giusto, perché dentro Sodoma e Gomorra, che pure è forse il più complesso, lento e difficile da seguire di tutti i volumi della Recherche, per me almeno lo fu, succede una cosa importante.

Succede che è morta la nonna di Marcel, il narratore, ma lui si rende conto dell’irreversibilità, dunque della realtà, di quella morte solo un anno dopo; e accade in una scena così bella, piena di un amore così folle per la vita e per la nonna scomparsa, con un dolore così profondo, così vivo, così meravigliosamente capace di superare ogni ostacolo, di tempo e di spazio e di usi e di abitudini, che se non l’avessi letta non so proprio come avrei superato il momento in cui è toccato a me attraversare quello stesso smarrimento che racconta il narratore, ritrovarmi senza nonna come lui si trova a fronteggiare l’assenza, e il silenzio, quando batte sul tramezzo che divideva le loro stanze al Grand Hotel, nella notte. Mi sarei sentita tanto più sola, in quel lutto che anche per me era stato lento, negato, e si era rivelato d’improvviso in un silenzio, un giorno che dopo un esame all’università avevo composto il numero della mia nonna per telefonarle, e il vuoto si era fatto enorme, tutto intorno a me; e avevo pianto a dirotto, e ripensato a quel muro divisorio, e a quella nonna che aveva, in realtà, molti dei tratti di Jeanne, la madre di Proust, a voler essere filologici, ma che al di là di ogni possibile filologia somigliava in un modo impressionante alla mia, di nonna, e forse a tutte le nonne di chi si ritrova a seguire quella voce per sette volumi.

proust audiolibro

Ilaria Gaspari ha curato per Emons l’audiointroduzione dell’audiolibro di Alla ricerca del tempo perduto Vol. 1 – Dalla parte di Swann, letto da Anna Bonaiuto

La cosa che penso, oggi, e il motivo per cui sono felice di essere andata avanti, dalle Fanciulle in fiore in poi, a spron battuto, è che grazie a quel libro ho avuto accesso all’incantesimo più puro di cui sia capace la letteratura: fermare il tempo dentro la vertigine, acchiappare il ricordo di sé nella metamorfosi continua, dolorosa e divertente, che la vita ci impone.

Ricordo che a un certo punto, verso la fine del Tempo ritrovato, l’ultimo volume, mi prese lo sconforto: l’avrei finito presto, e io odio gli addii. Non volevo arrivare in fondo, centellinai le frasi, il che era piuttosto paradossale perché è il romanzo più lungo che ci sia al mondo, 3724 pagine, nientemeno.

Eppure, benché mi allettasse l’idea di poter presto dire di aver compiuto l’impresa, di aver scalato la montagna, quel libro titanico non volevo lasciarlo andare; ma poi mi sono decisa, mi sono fatta coraggio, e ho trovato proprio nelle ultime pagine la rivelazione che non mi aspettavo. Così, è stato un regalo, per me, il primo volume; ma un regalo ancora più grande è stato che tutto il tempo che ho impiegato per leggere quello e gli altri sei è come se mi fosse stato restituito, quasi moltiplicato, dal prisma di significati che il mastodontico romanzo contiene.

Oggi è di nuovo primavera, torno a quel mondo perduto e imperdibile mentre ascolto Dalla parte di Swann nella versione audiolibro. E certo, è una follia, mi dico – quante ore di ascolto saranno, i sette volumi? Ma certo, fa solo impressione pensarle accumulate: quante ore passiamo, ogni giorno, a vedere e rivedere film e serie, a scorrere timeline di social, a perdere il tempo che in fondo è fatto per essere perso?

Ogni ora che passo in quel mondo tanto caro, però, la sento come se mi venisse restituita, moltiplicata, dalla voce di Anna Bonaiuto, mentre rimetto in ordine la mia libreria, mentre carico la lavastoviglie, e mi sento come il piccolo Marcel nel suo lettino, in un lungo dormiveglia sognante, quando la mamma gli leggeva George Sand e tutto doveva ancora iniziare.

L’AUTRICE – Ilaria Gasparicollaboratrice de ilLibraio.it, è nata a Milano. Ha studiato filosofia alla Scuola Normale di Pisa e si è addottorata con una tesi sulle passioni all’università Paris 1 Panthéon Sorbonne. Nel 2015 è uscito il suo primo romanzo, Etica dell’acquario (Voland). Ha poi pubblicato Ragioni e sentimenti – L’amore preso con filosofia (Sonzogno),  Lezioni di felicità. Esercizi filosofici per il buon uso della vita (Einaudi) e, sempre con Einaudi, Vita segreta delle emozioni.

Abbiamo parlato di...