“L’Antonia” è una raccolta di foto, lettere e poesie di Antonia Pozzi, che Paolo Cognetti ha scelto e curato per ripercorrere la vita, gli stati d’animo, le parole e le immagini dell’autrice milanese morta suicida nel 1938. Era una giovane donna piena di talento e di nobili sentimenti, eppure qualcosa le mancò sempre per sentirsi appagata in amore, serena in famiglia e a suo agio nell’élite intellettuale del suo tempo… – L’approfondimento

Come conciliare il desiderio di essere amata in modo totalizzante con lo slancio a donarsi integralmente alla persona di cui ci si innamora?

Provò a farlo per tutta la vita Antonia Pozzil’Antonia, come la chiama con affetto Paolo Cognetti in una raccolta di sue foto, lettere e poesie che ha scelto e curato per Ponte alle Grazie.

Ogni cosa per me è una ferita attraverso cui la mia personalità vorrebbe sgorgare per donarsi“, scrisse infatti l’autrice nel suo diario, nel 1935. Eppure, proseguiva, aveva ricevuto solo “rifiuti, da tutta la realtà, ad ogni passo”.

Il primo era arrivato da Antonio Maria Cervi, suo professore di latino e greco al liceo, poi suo confidente e infine suo amante: con lui, la milanese classe 1912 avrebbe voluto costruire una famiglia e avere un figlio. Quest’ultimo, però, proprio come il loro futuro insieme, sarebbe rimasto solo una straziante chimera:

“Vedi:
questo è il mio bambino
finto.

Gli ho fatto il vestitino
all’uncinetto
con la lana bianca.

Dice anche «mamma» –
sì –
se lo rovesci sopra il dorso.

Dammelo qui in braccio
per un pochino:
ecco,
hai sentito
come ha detto
«mamma»?

Questo è il mio bambino –
vedi –
il mio bambino
finto.”

(Scena unica, 31 gennaio 1933)

Può interessarti anche

Finto non era, però, l’afflato poetico dell’Antonia, che tuttavia venne scoraggiata perfino dagli intellettuali a lei più vicini: meglio scrivere in prosa, dicevano, dedicarsi ad alte e più grandi opere, con la conseguenza che la giovane provò spesso a cercare quell’altitudine del pensiero in cima alle montagne, peraltro scattando fotografie in grado di catturare la singolare suggestione di paesaggi, scorci e volti umani.

“Con le foto l’Antonia componeva degli album“, racconta Cognetti, “incollandole a gruppi di cinque o sei su grandi fogli di cartoncino nero. Con un pennarello bianco aggiungeva titoli e didascalie. Ne uscivano composizioni grafiche a lungo studiate: quelle di montagna mi ricordano i ‘Bergfilm‘ di quegli anni”.

Fotografia scattata da Antonia Pozzi

Credits: Centro Internazionale Insubrico dell’Università degli Studi dell’Insubria di Varese

Tra una scarpinata e l’altra, quando visitò il Mediterraneo o durante il suo soggiorno di studio a Londra, l’Antonia non mancò di mandare sue notizie alla famiglia. Tra le righe delle sue lettere intuiamo che non si sentì mai veramente a casa: viaggiava, cercava, saggiava vite diverse in posti diversi… In ciascuno di loro trovava un habitat, poi però ne veniva fuori e di nuovo si affannava per trovare stabilità.

I genitori non lo colsero mai fino in fondo, concentrati com’erano a opporsi alle sue relazioni amorose e sempre più lontani da lei ideologicamente da quando appoggiarono il fascismo. Nonostante questo, l’Antonia continuò a cercare nei genitori il conforto che non riceveva da parte loro, in modo simile a quanto le accadde più volte in amore.

Quattro foto scattate da Antonia Pozzi

Credits: Centro Internazionale Insubrico dell’Università degli Studi dell’Insubria di Varese

Dopo la rottura con Cervi si affezionò infatti al filosofo Remo Cantoni e poi al partigiano Dino Formaggio. A quest’ultimo, nel 1937, scrisse addirittura che il suo desiderio era di rammendare calze non sue, “che siano magari le calze piccine e le magline e i corpetti di un topolino nostro“, senza riuscire mai a conciliare “il sogno della baita” con quello di poetessa in carriera.

Cosa le mancò, per riuscire nell’una e nell’altra direzione? Certamente non il talento, non la sincerità dei sentimenti. Né uno sguardo-obbiettivo sulla realtà. A suo padre, prima di togliersi la vita nel 1938, scrisse in un biglietto: “Ciò che mi è più mancato è stato un affetto fermo, costante, fedele, che diventasse lo scopo e riempisse tutta la mia vita”.

Può interessarti anche

È terribile essere una donna“, aveva confidato dopotutto al suo primo amore a 17 anni, in una frase che dà il titolo al suo epistolario completo (portato in libreria da Garzanti) e che sembra aprire e chiudere il cerchio delle sue più profonde e agrodolci contraddizioni.

È terribile essere una donna

Sempre sul punto di spezzarsi o di spiccare il volo, di perdersi pur di darsi all’Altro o di scoprirsi sola ad amarsi, non per niente l’Antonia è rimasta viva, con la sua eco magnetica e malinconica, soprattutto “in tutti i fossi che ho tanto amato” e negli spazi bianchi tra le parole e le sue Alpi.

Fotografia header: Centro Internazionale Insubrico dell’Università degli Studi dell’Insubria di Varese

Abbiamo parlato di...